Reduce dal clamoroso e in parte inaspettato successo di Life is Strange, DONTNOD Entertainment al momento è uno dei team di sviluppo più ricercati di tutta l’industria, con grandi publisher come Namco Bandai e Square Enix a contendersene i servigi, ma non sempre le cose sono andate così a gonfie vele per la software house parigina. Il loro primo gioco, Remember Me, nonostante la buona accoglienza da parte della critica e alcune meccaniche innovative e ben implementate, su tutte la manipolazione dei ricordi, non fu un successo commerciale, anche a causa della poca promozione effettuata all’epoca da Capcom, publisher del gioco.
Vampyr, terzo titolo sviluppato dal talentuoso team transalpino, ha molto in comune sia con Remember Me che con Life is Strange: sarà dunque un flop, come l’action ambientato nella Parigi del 2084, o un blockbuster al pari delle avventure di Chloe e Maxine?

L’incipit di Vampyr è di quelli che non si dimenticano: vi risvegliate in una fossa comune, con accanto decine di cadaveri. Uno scenario tutt’altro che insolito, d’altronde Londra nell’anno domini 1918 non è certo il posto ideale nel quale vivere: un’epidemia d’influenza spagnola ha disseminato le strade di cadaveri, e la Prima Guerra Mondiale non ha di certo contribuito a rendere le cose migliori. Davanti a voi solo il buio, l’unica sensazione tangibile è la sete, una sete tremenda. Con i sensi offuscati e le ossa intorpidite riuscite finalmente a uscire da quella maledetta fossa, ma questa sete incontenibile non accenna a darvi tregua, non lasciando spazio a nient’altro nella vostra mente. In lontananza intravedete una figura femminile, sta cercando qualcuno. In un attimo vi si avvicina, gettandovi le braccia al collo. Sembra farfugliare qualcosa, il suo tono di voce è sollevato, quasi felice, ma voi non la sentite, sentite solo una parola: bevi! Si sa, l’essere umano (sempre che voi lo siate ancora) è un animale, e quando è l’istinto a prendere il sopravvento non può più nulla: in un attimo afferrate la donna e le mordete il collo, abbeverandovi alla sua giugulare. Le forze stanno tornando, insieme agli altri sensi, appena il tempo di abbassare lo sguardo e riconoscete nella donna, che sta esalando il suo ultimo respiro, vostra sorella Mary, la quale, sapendovi ormai morto, era accorsa a cercare la vostra salma. Mentre tentate un disperato tentativo di rianimazione, due passanti che hanno assistito al terribile fratricidio vi costringono alla fuga.
Iniziano così le avventure del Dr. Jonathan Reid, un ematologo, considerato un luminare nel suo campo, rientrato a Londra dopo aver prestato servizio al fronte. Grazie all’incontro chiave con Edgar Swansea, chirurgo e direttore amministrativo del Pembroke Hospital, riuscirà a saperne di più sulla sua nuova condizione di vampiro, su ciò che sta avvenendo davvero nei bui vicoli di Londra e su chi, seppur indirettamente, lo ha costretto all’omicidio della sorella.

La dicotomia che sta alla base delle vicende narrate, ovvero il conflitto paradossale che vede un medico specializzato in trasfusioni costretto a tenere a bada la sua costante sete di sangue, è anche alla base del gameplay del titolo DONTNOD. Se a un’occhiata distratta Vampyr potrebbe sembrare il classico action RPG, con crafting, NPC che forniscono missioni primarie e secondarie, collezionabili che arricchiscono il lore, personaggio principale che sale di livello e migliora le sue abilità, a un esame più approfondito la sua doppia natura è evidente. La professione di medico del protagonista non è stata scelta a caso: Londra è divisa in quattro quartieri, che vanno dai malfamati Docks al ricco West End, passando per Whitechapel, conosciuto ai più perché teatro dei delitti di Jack the Ripper. Ognuno di essi è abitato da un numero variabile di personaggi, con i quali è possibile interagire. Il loro stato di salute determina quello generale del quartiere, che può variare da disinfettato a critico, in base alle cure che forniremo ai nostri cari concittadini. Una volta che il quartiere è sprofondato nello stato critico le sue vie vengono popolate da mostri, con la conseguente scomparsa di tutti i personaggi e delle missioni a essi collegate.
La cura dei cittadini non ha il solo scopo di mantenere in salute la città, anzi, è qui che DONTNOD ha avuto il colpo di genio: sia l’uccisione dei nemici che il superamento delle missioni forniranno pochissimi XP, con la conseguenza di rendere la progressione del personaggio e lo sblocco delle sue abilità di una lentezza esasperante. Ma il Dr. Jonathan Reid è pur sempre un vampiro, e cosa c’è di meglio per donare forza e abilità a una creatura della notte? Giusto, del caldo sangue umano! Quando saremo in difficoltà potremo quindi decidere di sacrificare uno tra i sessantaquattro personaggi che popolano le strade di Londra, così da salire di livello e sbloccare una delle molteplici abilità legate ai poteri vampireschi. Non solo, più le nostre interazioni con quel determinato personaggio sono in stato avanzato, più punti esperienza otterremo bevendo il suo sangue. Ma occhio a essere golosi, la morte di troppi personaggi può mettere a repentaglio lo stato di salute del quartiere; inoltre, per garantire una certa linearità nella trama, l’uccisione dei personaggi è legata al nostro livello di fascinazione, pertanto più importante è il loro ruolo all’interno della società londinese, più difficile risulterà riuscire a succhiare il loro sangue.

La gerarchia di ogni quartiere vede un personaggio chiave, attorno al quale ruotano le vicende di tutti gli altri, anch’essi uniti in micro cerchie di conoscenze, di solito composte da una o due persone. Queste dinamiche sociali sono molto importanti nell’economia di Vampyr, tanto da avere un loro menu dedicato, che ci permette in qualsiasi momento di sapere quale personaggio ci ha affidato una determinata missione, il suo stato di salute, a quali altri personaggi è legato, il grado di fascinazione necessario per poterlo uccidere e i punti esperienza che ci fornirà il suo sangue. Inoltre approfondire la conversazione con un personaggio spesso porterà alla scoperta di indizi relativi agli altri conoscenti della sua cerchia sociale, in un gioco di scatole cinesi che rende le interazioni quantomai interessanti. Indizi che spesso si trovano anche all’interno delle missioni stesse; visto che il numero di XP fornito dal loro completamento è piuttosto irrisorio, la ricerca di indizi e la raccolta di oggetti, con i quali in seguito migliorare le armi o creare le medicine utili a curare i cittadini rappresentano le uniche vere motivazioni per affrontarle.
Purtroppo sono proprio le missioni e le fasi prettamente action a incarnare la parte meno riuscita di Vampyr. Se la storia e i dialoghi risultano piacevoli e mantengono sempre alta l’attenzione del giocatore, le sezioni esplorative e di combattimento non si dimostrano altrettanto ispirate. In particolar modo gli scontri con i nemici rappresentano in assoluto la parte meno riuscita: ispirati chiaramente ai Souls, a partire dall’interfaccia, la quale prevede tre barre, la prima dedicata alla vita, la seconda alla stamina e la terza legata ai poteri vampireschi.
Il Dr. Reid può imbracciare due armi, una primaria e una secondaria, oppure un’arma a due mani. La maggior parte delle armi secondarie ha la caratteristica di stordire i nemici, così da poterne poi bere il sangue per ricaricare le abilità legate al nostro status di vampiro. Tali abilità possono essere di tre tipi: offensive, difensive ed elusive. Ce ne sono molte, tutte ben congegnate e appaganti. Inoltre è possibile effettuare il lock sui nemici, e passare dall’uno all’altro direzionando l’analogico destro verso quello che si desidera affrontare. Il sistema di lock non funziona molto bene, generando spesso confusione, ma non è il problema maggiore, che è rappresentato dalla difficoltà, o meglio, dall’assenza di essa, dovuta principalmente a un’intelligenza artificiale risibile.
Mi spiego meglio: il Dr. Reid, essendo un vampiro, ha la capacità di autorigenerarsi; fin qui nulla di strano. Il fatto è che quando ci troviamo in fin di vita, braccati dai nemici, è sufficiente fare qualche passo indietro per farli dimenticare di noi, giusto il tempo necessario affinché la nostra energia vitale si riempia di nuovo. È vero, alcuni colpi accorciano la barra della vita in modo permanente, ma attraverso un’abilità, la prima sbloccabile in ordine cronologico, è possibile ripristinarla in un attimo, al costo di una quantità di sangue irrisoria. Inoltre la barra della stamina, che dovrebbe rappresentare un deterrente agli attacchi compulsivi, è mal bilanciata, tanto che credo di non aver mai utilizzato uno dei consumabili atti a ripristinarla.
Per farla breve, tutti i miei combattimenti nell’arco delle venti ore circa necessarie a completare il titolo si sono svolti nella stessa maniera: colpi ripetuti di arma secondaria per stordire i nemici, morso per riempire la barra dei poteri vampireschi, artigliata (una delle abilità a essi legate), repeat. Alla minima difficoltà facevo qualche passo indietro, i nemici si dimenticavano di me, aspettavo che la vita si rigenerasse e tornavo all’attacco.

Qualche volta si muore anche, ma la penalità che ne deriva è praticamente nulla, si riparte dal checkpoint più vicino senza perdere niente, se non l’esperienza accumulata nel combattimento che ci ha condotto alla morte. La bassa difficoltà non sarebbe un problema di per sé, visto che la parte action rappresenta solo una porzione del pacchetto; inoltre, come ho già detto, le dinamiche sociali e i dialoghi con gli NPC sono estremamente curati e risultano sempre interessanti. Il vero nodo della questione però è il fatto che tutto in Vampyr è basato sulla dinamica del resistere alla tentazione di sacrificare i cittadini per potenziare il personaggio. Su questa meccanica DONTNOD ha basato l’intera progressione: faccio una missione secondaria, sblocco un indizio, aumento il numero di XP fornito da quel determinato cittadino nel momento in cui decido di cibarmi di lui. Anche la scrittura stessa è influenzata da questa dinamica: alcuni personaggi risultano talmente odiosi da dare l’impressione di essere stati messi lì solo per farci venire voglia di ucciderli.
Capirete che se il gioco è così facile da non farci mai sentire davvero questa necessità, tutto il castello di carte costruito con passione dalla software house francese va a farsi benedire. Ho completato la mia prima run senza uccidere nessuno e senza neanche aver mai minimamente pensato di farlo, mentre nella seconda ho ucciso tutti diventando potentissimo, un percorso che credo sia stato condiviso dalla maggior parte dei giocatori.
Un altro difetto a mio modo di vedere è l’assenza del ciclo giorno-notte. Non intendo dire che i programmatori avrebbero dovuto implementare le ore diurne, sappiamo tutti che i vampiri esposti alla luce del sole muoiono. Il fatto che venga menzionato più volte che il Dr. Reid è assegnato al turno di notte al Pembroke Hospital per la sua esigenza di evitare l’esposizione ai raggi solari, senza che questa possa mai davvero verificarsi, rompe un po’ la sospensione dell’incredulità. L’avvicendarsi delle giornate è scandito solo dal ritmo dei nostri salvataggi, con notti che possono durare dieci secondi come sei ore, una meccanica un po’ antiquata. Avrei preferito un sistema di countdown à la Dying Light, con un orologio mostrato a schermo, magari sullo stile di quelli da taschino in voga nei primi del ‘900, volto a ricordarci le ore di oscurità rimanenti. Questa trovata avrebbe aumentato sia la difficoltà che il livello d’immersività di Vampyr, portando un duplice beneficio. Evidentemente le risorse a disposizione di DONTNOD non lo hanno reso possibile.

Rimanendo in tema di budget, la realizzazione tecnica non fa certo gridare al miracolo, con modelli poligonali che sembrano risalire a svariati anni or sono, nonostante il gioco sia stato sviluppato con Unreal Engine 4. Anche l’espressività dei personaggi lascia alquanto a desiderare, tanto da far rimpiangere le bistrattate animazioni facciali di Mass Effect: Andromeda. Caricamenti lunghissimi, in particolare all’inizio delle missioni, vanno a completare un quadro alquanto problematico. Dal punto di vista artistico invece il team di sviluppo parigino ha svolto un lavoro egregio: Londra sprizza atmosfera da ogni vicolo, grazie a degli effetti di luce al limite del fotorealismo, con mucchi di cadaveri bruciati, manifesti che invitano ad arruolarsi o a prendere precauzioni contro l’influenza a ogni angolo di strada, e tanti altri piccoli dettagli.
A definire ulteriormente il contesto storico contribuisce l’ottimo comparto sonoro, con un doppiaggio ben riuscito e carismatico, nonostante il gran numero di personaggi presenti, e delle musiche bellissime, composte da un Olivier Derivière (Remember Me, Assassin’s Creed IV: Black Flag Freedom Cry, Alone in the Dark) particolarmente ispirato.
A completare il quadro segnalo l’implementazione degli effetti atmosferici, con la classica pioggerellina londinese a farla da padrone, un’accuratezza storica nell’uso dei termini medici curata al limite del maniacale, tanto da avermi ricordato più volte The Knick, serie tv ambientata nella New York dei primi del ‘900, diretta da Steven Soderbergh, conosciuta proprio per l’estrema fedeltà alle pratiche mediche dell’epoca. Eccellente la localizzazione italiana, anche se limitata ai sottotitoli.

Tirando le somme, Vampyr è un gioco riuscito a metà: scritto benissimo, ambientato in un contesto molto poco battuto in ambito videoludico e basato su una premessa geniale, mettere un vampiro nel ruolo di ematologo. Purtroppo la realizzazione non mantiene fede al 100% alle enormi aspettative, perlopiù a causa di una parte action mal realizzata e a un livello di difficoltà calibrato maldestramente. Quello che rimane è un’opera che lascia comunque il segno, che mi sento di consigliare agli amanti di un certo tipo di atmosfere gotiche, permeate di morte e desolazione, raramente trasmesse così bene da un videogioco, oltre che agli appassionati di vampiri tout court.
Anche con questo titolo DONTNOD ha dimostrato il suo enorme talento, oltre alla voglia di non uniformarsi ai trend dominanti dell’industria, proponendo ancora una volta una storia ben scritta ambientata all’interno di un contesto originale, esattamente come in Remember Me e Life is Strange. Chapeau!
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