È proprio bello quando si vedono realtà, grandi o piccole, arrivare al proprio sogno partendo da un progetto, da un’idea scaturita dalla propria passione e raggiungere la vetta. Il team Invader Studios ha realizzato, anche se non totalmente, le sue aspirazioni grazie alla piccola perla rappresentata da Daymare: 1998: nato come remake di Resident Evil 2, durante il suo sviluppo il team italiano si è fatto notare da molteplici realtà dell’industria videoludica, tra cui Capcom stessa. Il risultato di anni di fatiche è un prodotto tutto originale, che strizza l’occhio a un pubblico di videogiocatori che ormai non è molto considerato: gli amanti dei survival horror.
Daymare: 1998 non rappresenterà la perfezione, soprattutto in un mercato pieno di eccellenze o tripla A, sfortunatamente si notano alcune lacune tecniche ma, giungendo alla fine e guardando lo (spaventoso) quadro complessivo, Invader Studios è riuscito a partorire un gioco di tutto rispetto, mantenendo le aspettative delle persone che lo stavano aspettando da mesi, se non da anni.

Indice
Un, due, tre… stella! No, morto!
Nel modesto villaggio Keen Sight avviene un disastro: dal centro di ricerca della H.A.D.E.S., un’organizzazione politico-militare, fuoriesce un gas altamente tossico che trasforma in zombie, o simili, tutte le persone che ne vengono a contatto (suona molto familiare come incipit) e, da pacifico il villaggio si trasforma nel parco degli orrori. Le vicende si dividono tra i tre protagonisti durante la notte del 19 agosto del 1998, in molteplici location collegate al villaggio (come il centro di ricerca stesso o un ospedale). Ognuno persegue uno scopo, ma i loro percorsi sono destinati a intrecciarsi. La particolarità del comparto narrativo di Daymare: 1998 è l’importanza data al profilo psicologico dei personaggi, la quale rende la trama interessante. Però, nonostante il gioco mantenga una sua originalità, la sensazione di già visto è molto forte, riportando alla mente troppi elementi e ricordi legati alla famosa saga Capcom; inoltre, alcune parti della sceneggiatura, specialmente quelle più importanti verso la fine del gioco, non sono scritte proprio benissimo e il fattore sorpresa viene meno, a causa di una narrazione sviluppata troppo velocemente.
Mi sono piaciuti i documenti sparsi nei livelli, che forniscono dettagli sul villaggio, sul governo e sulle varie sperimentazioni. Ho apprezzato ancora di più la lore, che si espande al di fuori del gioco, attraverso un portale web: grazie a dei codici, sparsi nel mondo di gioco, si potrà accedere a dei file che espandono di molto il background delle vicende narrate.

Quando il survival si fa duro, i duri ballano!
Un elemento molto importante, se non addirittura portante, è il gameplay: un puro survival horror hardcore. Il team è riuscito nell’impresa di creare un gioco divertente, che vede il giocatore districarsi in ambientazioni cupe, che strizzano l’occhio ai giochi di riferimento del genere (ospedale, campeggio nella foresta, città “abbandonate”, laboratori, etc), con un gameplay classico ma non privo di chicche interessanti. Oltre alla solite meccaniche da Resident Evil (gestione dell’inventario, approccio con i nemici, visuale in terza persona), nel gioco mi ha colpito la meccanica della ricarica: il giocatore ha la possibilità di ricaricare in due maniere diverse, una rapida e una lenta; la prima fa sì che i personaggi lancino via il caricatore, con la conseguenza di doverne prendere un altro dall’inventario e sostituirlo, mentre quella lenta permette di ricaricare il caricatore con i proiettili presenti nell’inventario, senza doverlo buttare. Questa meccanica, anche se appare marginale, dona un valore aggiunto sul piano tattico non da poco, soprattutto considerando che i caricatori non sono infiniti e sono gli unici mezzi per ricaricare le armi, oltre ai proiettili ovviamente.

Ma qui non si spara solo, ci si devono spremere anche le meningi! La presenza di puzzle è un tassello importante del gioco e, attraverso delle sezioni che definire complicate è riduttivo, regala dei momenti memorabili. In Daymare: 1998 è molto importante osservare gli scenari, dagli sfondi a tutte le descrizioni disponibili, che talvolta risulteranno fondamentali per la risoluzione dei puzzle (maledetta tastiera greca!).
I nemici sono molto discutibili, specialmente i boss, per la maggior parte sono i classici zombie, senza infamia e senza lode, compresi quelli speciali. I boss non sono granché e non offrono quell’esperienza indimenticabile tipica dei nemici di fine livello… si limitano a rincorre il giocatore e ad attaccare a testa bassa, senza nessuna varietà. A dire il vero hanno qualcosa di unico rispetto agli altri nemici: uccidono con uno o due colpi, se va bene, il che rende gli scontri troppo ostici, superando la definizione di difficile e raggiungendo quella di snervante.

L’alba del comparto tecnico morente!
Senza girarci troppo attorno, il comparto tecnico di Daymare: 1998 è quello più problematico: ottimizzazione inesistente, animazioni legnose e mal gestite, cutscene insufficienti, volti inespressivi e alcuni bug.
In parte dispiace parlare di questi problemi, soprattutto quando il comparto grafico è molto carino e con modelli anche ben realizzati ma, sfortunatamente, il gioco non rispetta gli standard tecnici del 2019. Il problema più grosso, nonché motivo principale del ritardo di questa recensione, è stato proprio l’ottimizzazione: settando tutti i dettagli al minimo, disattivando tutti gli effetti grafici e usando una bassa risoluzione mi è stato quasi impossibile giocare. Dalla patch 2.0, datata 24 ottobre, ho avuto un frame rate stabile, o almeno che non scendesse sotto i 30fps, ma sono comunque stato costretto a sopportare troppi compromessi dal punto di vista grafico. C’è poco da fare, il gioco è eccessivamente pesante sotto questo punto di vista.
Un’altra nota dolente, che secondo me ha minato anche il comparto narrativo, sono le cutscene: non rendono giustizia alla sceneggiatura e possono anche scadere nel ridicolo a volte, per colpa di animazioni troppo legnose e meccaniche.

Invece tutt’altra storia per quanto riguarda il comparto sonoro: musiche, effetti audio e doppiaggio mi sono piaciuti e rendono bene l’ambientazione cupa e malinconica di Daymare: 1998.
Conclusioni
Daymare: 1998 di Invader Studios è un progetto italiano molto ambizioso che, nonostante mi sia piaciuto, non è riuscito a centrare l’obiettivo che gli sviluppatori si erano prefissati. Ovviamente il team ha avuto un budget molto limitato per la realizzazione del gioco, ma sfortunatamente non può essere una giustificazione per il risultato finale, perciò vi sconsiglio l’acquisto in caso non foste amanti del genere survival horror. Se invece rientrate in quel gruppo di giocatori e non siete troppo pretenziosi sugli aspetti tecnici o, semplicemente, il progetto vi ha incuriosito sin dall’inizio, troverete pane per i vostri denti e un ottimo esponente del genere.
Attualmente il gioco si trova solamente su Steam al prezzo di 29,99 € con un costante supporto da parte del team, che aggiunge sempre più caratteristiche, mentre l’arrivo su PS4 e Xbox One è fissato ad inizio 2020.
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