Pubblicato il 27/05/23 da Andrea Borzì

TLOZ: Tears of the Kingdom – Recensione

Nuovamente ad Hyrule, nuovamente ad esplorare con grande libertà
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A 7 anni dal rilascio della Switch, con il nuovo The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, rimettiamo piede nella Hyrule più esplorabile di sempre, questa volta ad affrontare il terribile Ganondorf. Ma come si comporterà questo titolo rispetto all’acclamato predecessore Breath of the Wild?

Nuovo gioco, stessa storia.

La struttura di base dei giochi di Zelda è la medesima fin dalle origini: il male incarnato nella forma di Ganon/Ganondorf si risveglia desideroso di ottenere un grande potere e dominare Hyrule. Toccherà a Link, l’eroe della spada/tempo/carbonara, l’onere di compiere il viaggio che poterà alla sconfitta di Ganon e, alla salvezza di Hyrule e della principessa Zelda. Insomma una formula cementata nel tempo che trova sempre nuovi modi per raccontarsi ed incuriosire il giocatore.

Tears of the Kingdom, prende luogo pochi anni dopo la fine di BOTW, in una Hyrule in piena ricostruzione. Durante una spedizione sotto il castello, Zelda e Link si imbattono in delle antiche rovine in cui viene rappresentata una antica guerra. Giunti in fondo alle rovine ritrovano una mummia sigillata da un braccio, ma non appena mettono piede all’interno della stanza, la mummia (di  Ganondofr) si risveglia e solleva il castello, facendo precipitare Zelda e Link in un baratro. Poco tempo dopo Link si risveglierà in una grotta su un isola volante, accolto dal fantasma di Raul, possessore del suo nuovo braccio destro, che lo aiuterà a riacquistare i poteri del braccio e ci guiderà in questa nuova avventura.

Da questo momento in poi (o meglio dopo le prime 5 ore di tutorial) verremo catapultati definitivamente ad Hyrule dove avremo modo di girovagare liberi per la mappa, potendo decidere in autonomia se seguire la trama del gioco o spostarci a zonzo per scoprire i segreti di questa regione.

A differenza di BOTW, devo dire che sia la narrativa generale che il quantitativo di secondarie e missioncine varie sono state migliorate, rendendo, non solo la storia ed il modo in cui viene raccontata più interessanti, ma anche regalando nuove motivazioni per esplorare la vasta mappa del gioco. Infatti, ammetto, che uno degli elementi che non ho mai apprezzato di BOTW è la mancanza di attività significative che portassero il giocatore ad esplorare la mappa (tolti sacrari e semi korogu che rimangono una attività presente e priva di reale necessità). In Tears of the Kingdom, al contrario, sarete sovrastati da attività da svolgere, che cercheranno di ridare quel senso di crescita del giocatore. Sebbene i poteri vi verranno sbloccati nuovamente fin dall’inizio, altre funzioni di gioco richiederanno la risoluzione di determinate missioni per essere sbloccate: ad esempio le fate per il potenziamento delle armature, che vi doneranno il loro potere solo dopo aver portato a conclusione determinate richieste.

Le uniche pecche che posso attribuire a questo titolo sono: in primis una reale mancanza di continuità. Ora, so bene che in tutta la serie di Zelda ogni titolo, anche quelli collegati tra loro, sono sempre stati affrontati come giochi a se stanti; tuttavia viene difficile accettarlo nella Hyrule di BOTW e TOTK. Per spiegarmi, sebbene ci siano diversi riferimenti al titolo precedente, mancano gli elementi che hanno caratterizzato l’Hyrule di BOTW, ovvero i guardiani e i colossi che sono scomparsi del tutto. Non dico che debbano essere attivi o utilizzabili (sarebbe insensata come cosa), ma almeno presenti nella mappa, o comunque giustificare come abbiano fatto a scomparire completamente, sia loro, che tutte le tracce dell’antica tecnologia Sheika (qui soppiantata dalla ancora più antica tecnologia Zonau). Ancor di più si avverte questa mancanza quando nei nuovi Dungeon troviamo elementi che richiamano palesemente i colossi di BOTW, lasciando il dubbio su quale siano i collegamenti tra queste tecnologie e che fine abbiano fatto. Mentre, al contrario, stona la presenza di elementi che non esistevano nella mappa precedente, come i glifi giganti che vengono presentati come opere realizzate dagli antichi e quindi già presenti nella mappa.

La riproposizione degli stessi step narrativi, che, come detto pocanzi, si sono ripetuti nel corso del tempo, nel caso di TOTK risultano più evidenti, facendo apparire questo titolo, non tanto un DLC di BOTW, come in molti lo hanno definito, bensì una versione 2.0, limata e migliorata dello stesso gioco, con elementi che avvicinano maggiormente TOTK ai precedenti titoli della serie, facendo sentire il giocatore navigato a casa.

Ed infine, la narrativa vs la libertà esplorativa. In questo titolo purtroppo, collidono l’estrema libertà data con la narrativa generale. Per ovviare al problema, parlando con gli NPC sparsi nella mappa ci verrà spesso detto cosa dovremo fare per seguire in maniera lineare la trama del gioco, tuttavia se decideremo di svolgere prima le altre missioni principali, ci imbatteremo in imbarazzanti dialoghi in cui ci verranno date delle istruzioni, seguite da frasi del tipo “ma come hai già trovato l’oggetto che ci serve??”. Insomma, una soluzione che poteva essere implementata meglio. A questo si aggiunge un elemento che già stonava in BOTW: le secondarie che raccontano i retroscena degli avvenimenti e che portano ad importanti scoperte, sembra vengano totalmente ignorati dal gioco con questline che continuano ad andare avanti, sebbene possediamo già la risposta, non noi in quanto giocatori, bensì in quanto Link.

Guarda Mamma, ho un Megazord!

In Tear of the Kingdom torna la grande libertà di Breath of the Wild, rifinita e migliorata con nuove ed interessanti meccaniche. I comandi generali di Link sono rimasti totalmente invariati rispetto al predecessore, sia nei movimenti esplorativi che in quelli di combattimento, con lo stesso identico (e pessimo, almeno per quanto mi riguarda) mapping, poco modificabile, dei tasti. Dove abbiamo un reale stravolgimento è nelle abilità esplorative prima legate alla tavoletta sheika, ora al nuovissimo braccio di Link, che sebbene possano apparire solamente un upgrade delle precedenti, si mostrano molto più utili e versatili.

  • Prima di tutto l‘Ultramano, una versione potenziata del magnete che vi permetterà non solo di muovere gli oggetti, ma anche di poterli saldare tra loro, dando spazio alla creatività del giocatore nel creare strutture utili al raggiungimento dei propri obiettivi, macchine incredibili per lo spostamento in mappa e opere di dubbio gusto (quando riuscirete a disporre i pezzi per bene, altrimenti continuerete a piangere nel tentativo di realizzare il vostro operato).
  • Compositor, con cui potremo fondere oggetti, armi e componenti alle nostre armi e scudi per potenziarne le statistiche o aggiungere effetti peculiari. Ad esempio legando uno scudo ad un arma a due mani potremo difenderci anche senza scudo.
  • Ascensus, con la quale potremo nuotare attraverso le strutture sopra la nostra testa in linea retta, perfetto per fuggire da grotte o ancora scalare le isole volanti.
  • Reverto che ci permetterà di riavvolgere il tempo degli oggetti selezionati. Perfetto per utilizzare le pietre che cadono dal cielo come trampolini per volare lontano o come mezzo per attaccare o rilanciare indietro oggetti ai nemici.

A questo aggiungiamo la modifica più importante del combat system: l’arco. Se prima infatti potevamo contare su diversi tipi di frecce, ora potremo attaccare oggetti o parti di mostro alle punte per ottenere gli effetti più disparati (ad esempio fiori bombe per gli esplosivi o le gelatine per effetti elementali). L’unica reale pecca di questo specifico sistema è la lista interminabile di oggetti nel nostro inventario che mal si sposa col semplice sistema di selezione a scorrimento scelto per il gioco.

Tears of the Kingdom notte

Il gioco nuovamente ci pone dinanzi ad un’ampissima gamma di approcci ai combattimenti e all’esplorazione, lasciate all’inventiva del giocatore, che potrà sperimentare soluzioni diverse alle problematiche più disparate.

La mappa di gioco viene ingrandita su tre livelli, il suolo, il cielo (costellato di piccole isole fluttuanti) ed infine il gigantesco sottosuolo che avrà le medesime dimensioni della mappa principale. Un elemento che ho particolarmente apprezzato sono le nuove torri con la quale potremo scoprire i vari pezzi della mappa, che oltre a fungere da osservatori, faranno da colossali trampolini di lancio verso il cielo, aumentando drasticamente la mobilità di Link e l’esplorabilità verticale e orizzontale del titolo.

Al contrario tornano elementi che avrei preferito non avere: prima di tutto gli innumerevoli e tediosi semi korogu con la quale potremo ampliare la borsa delle armi, cosa necessaria vista la veloce deperibilità di spade, archi e scudi. A seguire la scarsa resistenza delle armi che ci costringerà spesso a ricercarne di nuove (migliorate dal compositor che ci permetterà di creare armi specifiche in ogni momento), ed infine i sacrari, nuovamente sparsi per il mondo, che rompono costantemente il ritmo di gioco, sebbene a differenza di BOTW siano spesso più semplici ed immediati.

I campioni (in questo gioco chiamati saggi) fanno a loro volta ritorno, ma vengono totalmente “reworkati”, sia nei poteri che nelle funzioni (ma su questo punto non aggiungerò nient’altro per lasciarvi il piacere di scoprirli da voi).

Insomma, anche in questo caso il titolo appare una versione rifinita e perfezionata di BOTW, che in molte meccaniche e approcci risultano generalmente meno frustranti.

Un quadro da portare sempre con se.

Graficamente parlando c’è ben poco da dire, Tears of the Kingdom porta con se la bellezza di BOTW e la amplia rendendo quello che una volta era solamente un bel quadretto, un’opera da esplorare a 360 gradi. Certo, le texture generali non sono le migliori viste sul mercato e spesso si percepisce una leggera delusione nel sapere che la console purtroppo non può spingersi oltre a ciò che vediamo, ma nel suo insieme, il mondo colorato e “pastelloso”, reso vivo da quegli sporadici passanti, mostri e animali, genera un fascino ipnotico nei confronti del giocatore.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, cercherò di esprimere al meglio la mia neutralità nei suoi confronti. L’ottimizzazione di Tears of the Kingdom è tanto incredibile quanto pessima. Un gioiello che sembrava impossibile da realizzare su una console come Switch per grandezza, profondità e complessità che collide con un framerate poco stabile, che a tratti può rendere l’esperienza frustrante. Non fraintendetemi, il gioco è godibile al 100%, ma determinati momenti, come cali drastici che impediscono l’input dei comandi durante i combattimenti, lasciano l’amaro in bocca.

Il comparto sonoro è l’aspetto sicuramente più debole. Un riuso quasi totale di tutte le tracce e suoni di BOTW, con pochissime nuove aggiunte, creano sicuramente un effetto nostalgico nei confronti degli amanti di BOTW, ma lasciano il desiderio di sentire dei nuovi remix e tracce inedite, tipici della serie di Zelda.

Conclusione

Tears of the Kingdom, a differenza del suo predecessore, è Zelda in tutto e per tutto. Un titolo divertente e accattivante, che impegnerà il giocatore per ore ( tra le 50 e 60 ore per portare a termine la storia principale) senza mai annoiarlo. Una gemma rara, che non è priva di imperfezioni, specie nel dubbio lavoro fatto per unire narrativa e libertà di gioco, o nel collegarlo con BOTW, facendo apparire questo titolo non un seguito, bensì come Breath of the Wild sarebbe dovuto essere.

  • Zelda al 100%
  • Narrativa migliorata e coinvolgente
  • maggiore varietà di nemici
  • abilità divertenti e studiate con criterio

 

  • Bilanciamento tra narrativa e libertà migliorabile
  • Sembra un rework generale di BOTW
  • ottimizzazione del titolo altalenante

BoarZo - Biografia

Videogiocatore fin dal 1995. Cresciuto con la tecnologia e i mondi virtuali...

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