Pubblicato il 14/03/17 da Neko Polpo

The Legend of Zelda: Breath of the Wild – The true link to the past

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Quattro anni di sviluppo, l’annuncio di una nuova console (con conseguente porting del gioco) e numerosi rinvii hanno costellato la storia alle spalle dell’hype che si è creato dietro a The Legend of Zelda: Breath of the Wild prima che uscisse lo scorso tre marzo. Hype che non si è stemperato dopo l’uscita, vista l’orda di recensioni estremamente positive, i record di vendite letteralmente distrutti e la spinta che ha dato alle vendite di Nintendo Switch.

Pur essendo un fan hardcore della serie, ho comunque deciso di non prendere le recensioni dei miei colleghi per oro colato, anche perché l’ultimo episodio in tre dimensioni dell’Hylia di verde vestito, Skyward Sword, mi era sì piaciuto ma aveva delle imperfezioni grosse come una casa che nel 2011 lo rendevano un gioco poco in linea con i tempi. Così, ho messo mano al portafoglio e mi son munito di Switch, gioco e – non pago – versione WiiU, per farne un confronto e dirvi senza remore cosa ne penso.

Partiamo dal fatto che, se non siete fan della saga, probabilmente questo capitolo vi farà perlomeno avvicinare a una delle leggende del gaming più belle mai raccontate: Breath of the Wild cambia la formula base degli Zelda in maniera sostanziale, pescando direttamente dalle sue origini. Già, perché i Sandbox Game (o Open World, come li volete chiamare) esistono ormai da 30 anni, dal lancio del primissimo The Legend of Zelda.

Link e il suo fido cavallo Sbranzo cavalcano verso l’ignoto.

Breath of the Wild strizza l’occhio al suo antenato, donandoci un mondo enorme (360 km quadrati) da esplorare in totale libertà, con pochi indizi per quanto riguarda qualsiasi cosa: tecniche di combattimento, posizione dei sacrari, ricette di cucina, tesori, campi nemici, posizione dei miniboss. Tutto, e dico tutto, è lasciato in mano all’esperienza del giocatore e alla sua voglia di esplorare, di parlare, di sperimentare. Certo non mancano la classica main quest da seguire e le varie subquest, ma spesso, soprattutto per quanto riguarda le sub, starà al giocatore capire cosa fare, come farlo e dove recarsi.

Ho apprezzato molto questo approccio, mi ha restituito quel senso di scoperta in un gioco che non provavo da tempo. Volete un esempio pratico? Di solito certi set di armature le si trovano nei negozi dedicati, ma per alcuni serve girare, parlare con NPC che non solo si trovano nelle città ma vagano per il mondo sconfinato, giusto per avere un indizio allo scopo di scoprire quel dettaglio che ci permette di sapere dove si trova lo scrigno che contiene il pezzo che ci serve. Questi dettagli, questa necessità di imparare, di segnarsi le cose su un quaderno, come facevamo nell’era pre-internet, è questo che mi piaceva del gaming e Breath of the Wild me l’ha riportato, sia a casa che nella mia borsa.

Le subquest sono estremamente varie, ci troveremo anche a fare da agenzia incontri.

L’altro aspetto che trovo estremamente riuscito è la narrazione: se temete lungaggini tipiche dei giochi giapponesi, con ore totali passate sul gioco divise tra il 10% in-game e 90% passato a guardare cutscene, dormite pure tranquilli: la main quest è costellata da sporadicissimi filmati, della durata di pochi minuti, che ci danno un’infarinatura generale di cosa sia accaduto al regno e cosa dobbiamo fare nell’immediato, ma al di fuori di quei 50 minuti o giù di lì di video, saremo liberi di esplorare la terra di Hyrule, in cerca della vera trama. Sì, perché il grosso della trama è chiuso nella testa di Link, che, dopo il suo coma, non ricorda più nulla e dovremo aiutarlo noi a recuperare i suoi ricordi, sempre affidandoci all’esperienza, esplorando ogni angolo del regno, combattendo mostri, arrampicandoci su impervie montagne, attraversando deserti o planando per kilometri per raggiungere zone sempre più lontane.

Di cose da fare, già considerando quelle che ho elencato, non mancano: completare la main quest e scoprire ogni memoria di Link vi richiederà in media una quarantina di ore, nel caso decidiate di tenere al minimo l’esplorazione della mappa. Il dopo poi è anche meglio, perché il gioco ci offre centinaia di Sacrari da esplorare.

Disseminati per la mappa, i Sacrari non sono altro che micro-dungeon (i dungeon più grandi ci sono, ma evito di far spoiler dicendovi solo di non aspettarvi la solita ricetta dei passati capitoli) che propongono varie sfide in un numero di stanze esiguo (a volte anche una sola). Ci sarà richiesto di dimostrare la nostra abilità in combattimento, oppure sfruttare bombe, Kalamitron, Stasys e Glacior per risolvere enigmi basati sull’eccelso motore fisico del gioco. Altre volte, invece, l’unica cosa che dovremo fare sarà trovare il Sacrario, nascosto in zone impervie o comunque agendo direttamente sullo scenario, risolvendo indovinelli scovati parlando con persone o leggendo libri. Aggiungiamo a tutto questo le molte subquest e gli scrigni segreti sparsi per la mappa e il tempo richiesto per completare al 100% questa lunga avventura si moltiplica a dismisura.

L’ingresso di uno dei particolari dungeon più grandi.

Ad essere sincero non riesco a trovare evidenti difetti, soprattutto sul lato gameplay. Abbiamo tra le mani un testo sacro del game design, confezionato in maniera certosina, un regalo per i giocatori più avidi che vogliono un gioco che gli dia tutto e anche di più, che fa dell’interazione con il mondo di gioco il fulcro del tutto, che ci obbliga a tenere a mente ora del giorno, meteo e temperatura per non rischiare morti atroci, che ci da la soddisfazione più grande quando otteniamo un oggetto o risolviamo un Sacrario particolarmente ostico, senza bisogno di sterili achievments. Ogni azione ha un senso, che sia combattere con un gruppo di mostri o fotografare un fungo o un’arma utile da registrare nel compendio per poi ritrovarla grazie a un radar installato sulla Tavoletta Sheikah.

Sul lato prettamente tecnico non ho riscontrato i cali di framerate letti nelle recensioni di altre testate ma c’è da dire che ho giocato la versione post-patch day one del gioco che, a quanto pare, è andata a risolvere gran parte dei problemi di aggiornamento video. Non che non accada mai, ma in genere succede in zone boscose molto dense d’erba e fronde (e solo in modalità TV), mentre sia durante i combattimenti sia nelle situazioni concitate non ho avuto grossi problemi se non molto sporadicamente, in particolare contro i Grublin nelle fasi finali del gioco. Su Wii U invece la situazione cambia drasticamente, con cali di framerate nei villaggi più popolati in cui il tutto peggiora di botto, rendendo le subquest all’interno dei centri abitati una vera spina nel fianco.

La qualità delle texture sulla nuova ammiraglia Nintendo, seppur non ai livelli di altri giochi usciti di recente sulle console concorrenti, rimane molto godibile ma soprattutto si amalgamano bene con lo stile grafico, molto curato e dalle tinte pastello, che renderà ogni panorama un vero e proprio quadro d’autore, con tramonti splendidi, nottate stellate e monti innevati. Purtroppo su TV la risoluzione raggiunge i 900p e si può notare un leggero aliasing, principalmente su tutto ciò che non è un modello 3D (fiori decorativi e fronde degli alberi, ad esempio), mentre sullo schermo 720p della portatile il tutto è molto più definito. Su Wii U la resa grafica risulta un pelo più grezza e slavata, ma c’era da aspettarselo vista la risoluzione di 720p sullo schermo del televisore.

Certe inquadrature nelle cutscene o panorami ingame lasciano senza fiato.

Musicalmente, ahimè, si sente la mancanza di Koji Kondo. I temi sono sì ottimi e adatti alle situazioni, quasi eterei mentre esploriamo le lande di Hyrule, con pochi accenni di pianoforte qua e là che accompagnano il “respiro” naturale delle terre selvagge presente nel titolo, e le soundtrack che accompagnano le nostre visite ai villaggi ricordano i vecchi episodi della saga, ma per quanto riguarda le novità, poche mi rimarranno in mente quanto il tema di Kakariko di A Link to the Past o quello del Grande Mare di Wind Waker.

Parlando invece della questione doppiaggio, mi son guardato la maggior parte delle cutscene sia in italiano che in inglese, e alcune anche in giapponese. La recitazione è di buona qualità per quasi tutti i doppiaggi e doppiatori, e la nostra Zelda è di gran lunga migliore di quella delle altre due lingue, che risultano poco espressive e con voci molto più cantilenanti. Pollici in alto invece per la doppiatrice inglese della Gerudo, che dà molta più forza all’interpretazione rispetto alla nostra compatriota, che però si difende bene.
Un ulteriore appunto per quanto riguarda la localizzazione: molti dialoghi italiani hanno battute diverse rispetto all’inglese. Non so se ciò sia dovuto al fatto che i localizer italiani si son basati sul testo giapponese che purtroppo non comprendo e quindi son fedeli alla fonte, o se semplicemente han deciso di discostarsi dalla versione della Nintendo Treehouse. Inoltre,  la pronuncia di certi termini a volte presenta problemi, con Hyrule e Sheikah pronunciati all’italiana, così come sono scritti, mentre nomi come Gerudo o Nabooru vengono correttamente pronunciati all’inglese (Gherudo e Naburu, per intenderci), senza una logica apparente.

Dopo tutta questa trafila, non posso che confermare i giudizi che ho letto prima di mettere le mie sudice manine sul gioco: ci troviamo di fronte a una gemma splendente, una pietra miliare del genere, che va a prendere concetti vecchi e nuovi, li rielabora e li piazza in un’avventura estremamente accattivante e profonda. Non sarà il meglio che potremo trovare nell’immediato futuro, perché c’è ancora margine di miglioramento per questa formula, ma è il meglio che si può trovare per ora, sempre che non vogliate un gioco con una grafica iper realistica in 4K ma, che ve lo dico a fare, qui il comparto ludico rende quello grafico (comunque stilisticamente eccelso) un orpello secondario, e ovviamente non lo troverete su Switch.

Fatevi un favore e fatevi una cavalcata per quel quadro in movimento che è Hyrule in Breath of the Wild, perché se non lo farete avrete perso un gioco che rasenta la perfezione.

Game Design sopra le righe

Tutto in mano al giocatore

Subquest estremamente varie

Stile artistico unico

  • È il giocatore che plasma l'avventura
  • Ridefinisce il genere
  • MUST... PROTECT... ZELDA'S... SMILE

 

  • Framerate molto altalenante su Wii U
  • In modalità TV l'aliasing si nota
  • I Grublin mettono in difficoltà il motore di gioco

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