Indice
Resident Evil Village è una promessa mantenuta
A venticinque anni di distanza dal primo capitolo, Capcom ha rilasciato il tanto atteso Resident Evil Village, un validissimo seguito dei titoli precedenti e il cui padre putativo è ovviamente Residen Evil 4.
Da accanito fan della saga sono rimasto estremamente appagato dalle otto ore e qualcosa che servono per completare senza fretta la prima run: ho scoperto una trama che riallaccia gli eventi di questo capitolo sia a quello precedente che agli albori del franchise; una miriade di riferimenti a ogni singolo titolo principale della saga – tranne che al sesto ed è facile immaginare il perché; un gameplay che alterna fasi da survival puro ad altre da action puro e tanto altro. C’è insomma tanto di cui parlare e preferisco andare con ordine. Vi invito a leggere le considerazioni di questo articolo e a condividere le vostre nei commenti.

Resident Evil e il Village
Cominciamo col dire due cose: tutto quel che Capcom ha anticipato prima dell’uscita da una parte è stato confermato, dall’altra il titolo ce lo tira addosso nella prima ora di gioco e ci fa chiedere cosa potrà mai accadere nella restanti sette – e ne accadranno veramente molte.
Vestiamo nuovamente i panni di Ethan Winters, in questo capitolo decisamente sugli scudi, che vive una tranquilla vita famigliare con Mia e la loro bambina. Questo almeno fino a quando Chris Redfield – presente ininterrottamente dal quinto capitolo, in quest’avventura una figura tutta da (ri)scoprire – non fa irruzione in casa e dà il via alla nuova avventura. Ci ritroviamo presto in un villaggio sinistro e pieno di creature che vogliono conoscerci da vicino. Da troppo vicino.
Grazie a un sonoro limpido e ad una palette di colori foschi, girare per il villaggio ci fa stare in costante apprensione. E questo è forse l’elemento che più richiama i primi capitoli, quando la telecamera fissa e i corridoi angusti ci davano la sensazione che qualcosa di brutto potesse saltarci addosso da un momento all’altro: Capcom ci è riuscita di nuovo, ma stavolta con la visuale in prima persona e spazi ampi. Sia chiaro, non mancano neanche fasi di gioco claustrofobiche, ma far soffrire il giocatore di agorafobia è molto più difficile.
Il villaggio infine, come si era già intuito dalle anticipazioni, connette le diverse aree di gioco e si rivela il centro nevralgico di una mappa talmente vasta che l’assenza del viaggio rapido è appena tollerabile.
Capcom riscrive le regole del survival horror
Resident Evil Village rimane a mio avviso un titolo survival, nonostante la forte componente d’azione. Va detto però che le regole per sopravvivere sono cambiate. Non si tratta più di gestire un’inventario ridotto all’osso e scegliere quando usare le pallottole, ma di capire come vogliamo sopravvivere.
Possiamo infatti portare con noi una buona quantità (forse anche un pelino troppo) di oggetti, armi e munizioni. E il fatto che il gioco ci ricompensi per ogni avversario sconfitto, ci invita a sparare molto più che in passato – ma sicuramente meno che nel quinto e nel sesto capitolo. Ci sono però due componenti fondamentali che rendono Resident Evil Village più di un semplice sparatutto e lo mantengono sui binari del survival horror: il crafting e lo sviluppo del personaggio.
Quel che non ci ritroveremo a fare nel titolo sarà evitare gli scontri per risparmiare munizioni, eludere i nemici e rinunciare a qualche oggetto: l’inventario è infatti molto simile a quello di Resident Evil 4 e non ci sono le casse oggetti. Però la sopravvivenza – anche se, io ve lo dico, nel gioco si muore – dipende da come decideremo di affrontare l’avventura: potremo creare moltissime munizioni per la nostra arma preferita e rinunciare alle altre bocche da fuoco; e potremo decidere di dare al nostro Ethan delle abilità invece di altre grazie all’aiuto del Duca. Non aggiungo altro per non fare spoiler, ma ecco, godremo di una libertà di sviluppo insolita rispetto agli standard della saga.
Qualcuno potrebbe anche dire: “Questa non è la tradizione di Resident Evil“. Vero. Ma pensate a cosa sarebbe la tradizionale cucina italiana senza il pomodoro, originario dell’America, e il basilico, proveniente dall’India e dall’Asia tropicale.
In Resident Evil Village succede proprio questo. Capcom ha preso il meglio di ogni titolo della saga in fatto di atmosfere, gameplay, ricompense e meccaniche di gioco; ha accolto le influenze di altri generi; ha mescolato e rinnovato il tutto in modo che risultasse attuale sia rispetto alla saga che al panorama videoludico odierno; ha incastrato questi elementi in modo coerente e ne ha creato un titolo accattivante con il giusto mix di azione, backtracking ed enigmi (anche se questi ultimi potevano essere un po’ più accattivanti).
Variazioni sul tema dell’orrore
La cosa che colpisce del nuovo capitolo della saga è la grande varietà dell’orrore. Giocando sul fatto che le aree esplorabili sono diverse e ognuna con le sue caratteristiche, Capcom ci mette davanti a molte declinazioni del terrore: gli sviluppatori hanno attinto a molti topos del genere, passando per la tradizione gotica, quella sassone, rumena e mitteleuropea, Tim Burton e Roman Polansky, i film slayer anni ’80, il body horror, l’horror psicologico.
Questo comporta una buona variazione nell’azione di gioco. Alcune volte (molte) ci ritroviamo braccati, altre invece (poche) siamo noi a dare la caccia; in un’occasione svuotiamo i nostri caricatori contro il mostro di turno, in quella dopo esploriamo o fuggiamo senza esplodere un colpo; possiamo affrontare orde di avversari o tirarne giù una alla volta.
L’approccio al gioco insomma cambia a seconda della situazione, delle armi disponibili e delle aree accessibili. A questo proposito mi pare quasi superfluo notare che risolvendo gli enigmi avremo accesso ad aree altrimenti inesplorabili: la differenza rispetto al passato è che alcune cose andranno fatte al momento giusto, nonostante quel che sta succedendo intorno a noi, perché non sempre sarà possibile tornare sui nostri passi.

Considerazioni finali: il debito di Resident Evil Village coi suoi predecessori e futuri sviluppi
I riferimenti ai capitoli precedenti sono innumerevoli, nessuno è forzato e se da una parte fanno un gran piacere, dall’altra sono anche funzionali alla trama e all’esperienza di gioco. Come detto mancano referenze a Resident Evil 6, probabilmente il capitolo peggiore considerando i mezzi che a disposizione quando è stato pubblicato, e non saprei dire se questa è un’operazione che Capcom ha fatto coscientemente, come a rifiutare quel titolo.
Fatto sta che sin dai primi minuti di gioco riconosceremo molti elementi della saga. Tant’è vero che anche Ethan in un particolare momento del gioco dirà: “Questo mi sembra famigliare“.
Quel che conta però è che, al di là del citazionismo fine a se stesso, queste referenze sono come detto funzionali al gioco. Lo rendono un capitolo degno del franchise in tutto e per tutto, ma allo stesso tempo, mentre la storia progredisce, molti nodi vengono al pettine: saranno svelate novità legate alla trama principale della saga e succederanno cose che faranno molto felice chi a Resident Evil giocava qualche generazione di videogiochi fa. Anzi, se siete un minimo sentimentali come il sottoscritto è capace pure che ci scappi una lacrima.

Insomma, Capcom ha mantenuto le promesse: voleva realizzare un gioco che accontentasse i vecchi fan della saga, ma che allo stesso tempo riuscisse a sviluppare le novità e le meccaniche che il capitolo precedente aveva svecchiato. Ci è riuscita.
Allo stesso tempo, se da una parte, com’era da aspettarsi, il gioco apre a un seguito, rimane l’interrogativo sul tipo di seguito che ci aspetta, sia da un punto di vista di gameplay che di trama. Le influenze degli action RPG open world sono appena accennate ma innegabili, e il tipo di sequel che ci troveremo davanti dipenderà molto dalle caratteristiche del gioco che verranno implementate e sviluppate.
Questo però lo vedremo tra diversi anni. Per ora, Resident Evil Village rimane un titolo molto buono e la sensazione è che pochi capitoli finora siano stati in grado di creare un legame così forte tra quel che c’era prima e quel che verrà dopo.