In venti anni di onorata carriera da videogiocatore, raramente mi è capitato di ritrovarmi nei panni di leader di un culto. Senza ombra di dubbio, però, non mi è mai successo di ritrovarmi a creare e comandare un culto nei panni di un agnello sacrificale.
Cult of the Lamb è l’ultimo gioco firmato Massive Monster e pubblicato da Devolver Digital l’11 Agosto scorso per Switch, PC, PS4, PS5, Xbox One e Xbox Series X|S, ma nonostante il potenziale e il lato artistico particolarmente curato, purtroppo non è scevro di problematiche.
Indice
Sia lodato il culto!
Come già anticipato, Cult of the Lamb ci vedrà prendere i panni di un piccolo e indifeso agnello, che a causa di particolari circostanze si ritroverà a dover creare il proprio culto nel tentativo di sovvertire lo status quo del predominio dei Vescovi, quattro entità pronte a tutto pur di professare l’Antica Fede, nella speranza di liberare il salvatore del protagonista, ovvero Colui Che Attende Di Sotto, una divinità abbandonata ma intenzionata a ritornare.
Forte di un nuovo potere, il protagonista avrà il compito di creare un nuovo culto e invitare quanti più seguaci possibili per ottenere le risorse necessarie per affrontare i quattro Vescovi.

Considerando la tipologia di gioco che andremo ad affrontare, un roguelike misto a un gestionale, sinceramente non dovrebbe sorprenderci scoprire che il titolo non presenta una trama particolarmente ben costruita: il tipico viaggio dell’eroe in cui il protagonista inizia l’avventura con ben poche abilità per poi crescere e rafforzarsi durante il prosieguo della storia. L’unico plot twist presente, se così si può chiamare, avviene sul finale ed è decisamente prevedibile (per non dire addirittura spoilerato dalla stessa schermata di caricamento salvataggio).
Cult of the Lamb: Il peso dell’inesperienza
Quello che avrebbe davvero dovuto essere il focus del gioco, ovvero il lato gameplay, è purtroppo anche ciò che presenta più problematiche, e sotto questo punto di vista si può sentirela mancanza di esperienza del team di sviluppo, che prima di Cult of the Lamb ha pubblicato solo due giochi di poco conto.
Partendo dalla parte gestionale, l’inizio del gioco funziona alla grande: se all’inizio l’obiettivo sarà esclusivamente far sopravvivere i nostri fedeli e costruire il necessario per poter gettare le fondamenta del proprio culto, rendendo il gioco quasi più vicino a un survival che a un gestionale vero e proprio, più si va avanti nella propria avventura e più la parte gestionale diventa secondaria, per non dire addirittura futile.
Se si giocano bene le proprie carte, già dalla metà del gioco ci si ritroverà ad avere ben più risorse di quanto necessario a portare avanti il culto, con i fedeli che saranno sempre più autonomi nelle attività quotidiane. Dopo ancora qualche ora, ottenere risorse per sviluppare nuove aree del culto sarà solo una questione di completismo. Questo purtroppo porterà il giocatore ad eseguire meccanicamente sempre le stesse due o tre azioni ogni volta che ritorna alla base del culto, in maniera piuttosto ripetitiva, per buona parte delle circa tredici ore necessarie a completare il gioco.
Parlando invece della parte roguelike, purtroppo la situazione non migliora. Una buona varietà di armi, maledizioni (una specie di magie che possono essere utilizzate solo consumando una risorsa chiamata “fervore”, ottenibile durante i combattimenti), power-up ed equipaggiamenti rende l’esperienza di gioco sempre diversa, ma non necessariamente divertente: iniziando sempre con una combinazione casuale di armi e maledizioni, con l’aggiunta di un sistema di power-up completamente aleatori a loro volta, si traduce in un gioco che spesso e volentieri si basa sulla fortuna tanto quanto (se non addirittura più che) sulle abilità del giocatore.
Come se non bastasse, anche il sistema di combattimento lascia a desiderare: fra nemici nascosti da elementi del background, attacchi non sempre comprensibili a prima vista, un bug che rallenta l’acquisizione di fervore durante le bossfight e un terzo dungeon con un picco di difficoltà semplicemente ridicolo portano Cult of the Lamb ad essere un esperimento con una buona idea, ma una pessima esecuzione.

Una luce in fondo al dungeon
Al contrario dei campi discussi finora, il lato grafica di Cult of the Lamb è sicuramente l’ambito in cui il gioco splende di più. Dalle ambientazioni perfettamente coerenti con i temi dei Vescovi ai seguaci carini e coccolosi, passando per le piccole finezze come il cappello da taglialegna che compare in testa ai personaggi quando sono intenti a produrre legna o le espressioni contrariate quando si decide di metterli ingiustamente alla gogna, si può chiaramente notare tutta la cura che il team di sviluppo ha messo nel reparto artistico. Anche le OST del titolo, seppur non memorabili, rimangono comunque un accompagnamento più che degno per gli avvenimenti del gioco.

Altrettante lodi, purtroppo, non possono essere decantate per il reparto tecnico del titolo. I caricamenti sono soddisfacenti in termini di velocità su PS5, ma persino sulla console ammiraglia di Sony non mancano cali di framerate piuttosto frequenti, alcuni dei quali anche durante le sezioni di combattimento. Non solo, ma potrà addirittura capitare di tanto in tanto di rimanere bloccati all’infinito in una stanza, nonostante il completamento di quest’ultima, ed essere costretti a riavviare il gioco e perdere i progressi dell’ultimo dungeon affrontato.
Cult of the Lamb in poche parole
In sintesi, l’opera di Massive Monster è una buona dimostrazione di ciò di cui il team di sviluppo è in grado: il lato artistico è già a un buon livello e persino le fasi di gameplay, nonostante le evidenti problematiche, hanno delle solide fondamenta.
Purtroppo, però, le numerose pecche e sviste, dal bilanciamento alla ripetitività e passando per i bug e la mancanza di una trama solida, rendono difficile consigliare il titolo in questo momento. Con un po’ più di cura, Cult of the Lamb avrebbe potuto essere un gioco molto più valido di quello che, al netto di tutto, è stato alla sua uscita.