La storia di Pixel Ripped 1989 parte da lontano, precisamente da una ragazza brasiliana, Ana Ribeiro, la quale, dopo aver lavorato nel tribunale di Maranhão e aver gestito una pasticceria capace di sfornare fino a quattromila torte al mese, decide di inseguire il sogno che aveva fin da bambina: diventare una sviluppatrice di videogiochi. Con un passato nel team MythLadies, squadra tutta al femminile attiva nella scena competitiva di Counter Strike, Ana decide di trasferirsi in Inghilterra per frequentare la prestigiosa National Film and Television School, mantenendosi nel frattempo lavorando come commessa in una catena di negozi di videogiochi.
Conseguita la laurea a pieni voti nel 2014, per il suo Master in Game Design and Development le viene chiesto di sviluppare un progetto tutto suo: nasce così Pixel Rift, un nostalgico omaggio alla Storia dei videogiochi, che vede protagonista Nicola, una studentessa che ama così tanto la sua console portatile da non poter fare a meno di fruirne anche durante le ore scolastiche. Al giocatore il compito di aiutarla, sia distraendo con astuti stratagemmi l’insegnante della scuola affinché non la colga in flagrante, sia giocando al videogioco preferito di Nicola attraverso il Gear Kid, uno sfavillante simil Game Boy partorito dalla fervida immaginazione della Ribeiro.

L’idea risulta così fresca e originale da attirare subito le attenzioni della comunità, ma per sviluppare un gioco completo, seppur piccolo, servono fondi: nasce così la campagna Kickstarter di Pixel Ripped 1989. Il progetto ora è più ambizioso e punta al nascente mercato della realtà virtuale, pertanto sparisce la parola Rift dal titolo. L’obiettivo è quello di raccogliere 40.000 £, così da poter inserire dei retro mini giochi e degli Easter egg a tema geek, ma sfortunatamente non viene raggiunto. Quando Pixel Ripped 1989 sembra ormai destinato a rimanere confinato nei sogni di una visionaria game designer è Arvore a salvare capra e cavoli: una compagnia con sede a San Paolo, Brasile, specializzata nella creazione di contenuti in realtà virtuale e realtà aumentata.
Ana Ribeiro, che nel frattempo ha avuto l’onore di fare da tedofora alle olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, indossando per l’occasione un Gear VR, viene messa a capo del progetto, che porta a termine con successo. Pixel Ripped 1989 è finalmente realtà e viene rilasciato il 31 luglio 2018 per HTC Vive e Oculus Rift, mentre la versione PS VR, che ci troviamo ad analizzare in questa sede, è arrivata in Europa il 16 ottobre. La release definitiva è rimasta fedele al concept iniziale, ma si è arricchita di una trama che fa da collante tra i due mondi presenti, quello a 8 bit di Adventureland, nel gioco che siamo chiamati a completare nei panni di Nicola, e la realtà nella quale la giovane studentessa vive abitualmente.

Le vicende iniziano nel mondo in bianco e nero di Dot (che in italiano è traducibile in puntino), che viene messo a soqquadro dal malvagio Cyblin Lord. Durante l’attacco, oltre ad aver inconsapevolmente raso al suolo l’abitazione di Dot, lo stregone riesce a rubare la Pixel Ripped, una pietra magica in grado di aprire un portale tra mondi ed ere diverse, che viene usata da Cyblin Lord prima per conquistare Adventureland importando dei robot dal futuro, in seguito per invadere e soggiogare anche il mondo “reale”. Starà a noi, calandoci nei panni di Nicola e, di conseguenza, in quelli di Dot, impedire che questo avvenga.
La vicenda si dipana attraverso quattro livelli, ognuno ambientato in un’area della scuola frequentata dalla protagonista. Lo scopo di ogni livello è quello di portare a termine lo stage del videogioco portatile, senza apparire disattenti agli occhi della professoressa. Da qui la scelta della realtà virtuale: grazie al visore è possibile seguire la lezione e, quando la prof. non guarda verso di noi, abbassare lo sguardo sul Gear Kid per giocare al nostro gioco preferito.

A livello di gameplay questo si traduce in due fasi che avvengono sullo stesso piano temporale, ma diversissime tra loro: in classe è possibile interagire con vari elementi all’interno dell’aula attraverso una cerbottana, il classico aggeggio che di solito veniva costruito svuotando una penna Bic e che veniva utilizzato per sparare proiettili composti da una mefitica combinazione di carta e saliva. Colpendo con questi proiettili alcuni oggetti, contrassegnati da un luccichio, costringeremo la professoressa a indagare sull’accaduto, aumentando così il tempo a disposizione di Nicola per giocare con la sua amata console portatile. Nel “gioco nel gioco” utilizzeremo invece Dot, in quello che è un vero e proprio clone dei migliori run ‘n gun dell’epoca 8 – 16 bit: le fonti d’ispirazione vanno da Mega Man a Ghosts ‘n Goblins, senza disdegnare una spruzzatina di Metroid, in particolare per l’abbigliamento e l’arma principale della protagonista.

La particolarità di questo metagioco è data dal sistema di danni al quale è sottoposta Dot: la protagonista parte con l’aspetto di un puntino ma, raccogliendo i pixel sparsi nei livelli, può evolvere la sua forma in uno sprite sempre più definito, fino a prendere le sembianze di una novella Samus Aran bidimensionale. A ogni colpo ricevuto però perderà tutti i pixel accumulati, dovendo ripartire da zero, esattamente come avveniva in Sonic the Hedgehog. Per fortuna le vite sono infinite e i checkpoint numerosi, perché la difficoltà di queste sezioni è piuttosto alta.
Nicola però non ha goduto dello stesso trattamento di favore: basterà essere sorpresi a giocare per tre volte dall’arcigna professoressa e sul Gear Kid apparirà la schermata di game over. Alla fine di ogni livello un particolare evento farà coincidere le due dimensioni, quella “reale” di Nicola e quella virtuale di Dot, portando a situazioni di gameplay originali e sopra le righe, con gli sprite del mondo bidimensionale che invadono la “realtà” in una vera e propria pixel flood (DOVEVO scriverlo).

Un paio di esempi: nel secondo livello, ambientato durante la ricreazione nel cortile della scuola, Cyblin Lord tenterà di rapire i compagni di classe di Nicola utilizzando dei piccioni. L’intervento di Dot però fa sì che, mirando attraverso il Gear Kid, la giovane studentessa possa utilizzare la sua arma, un cannone a impulsi, per uccidere i piccioni e scongiurare il piano diabolico di Cyblin Lord. Nel terzo livello invece verremo catapultati nell’ufficio del preside, che ha sequestrato la console di Nicola. Per sconfiggerlo e rientrare in possesso dell’amata portatile dovremo utilizzare Dot la quale, saltando su delle piattaforme a forma di tetramini, dovrà innescare delle cariche di dinamite.
Come avrete capito Pixel Ripped 1989 è un gioco dal gameplay vario e folle, in senso buono, anche i modi per distrarre l’insegnante sono piuttosto strani: facendo canestro nel cestino con la cerbottana apparirà un calciatore con la maglia del Brasile che, attraverso la sua esultanza, scatenerà il panico all’interno della classe. Oppure, colpendo un cartello con un punto interrogativo alla destra di Nicola, un coin-op apparirà sul suo banco, consentendole di giocare una porzione del livello su uno schermo più grande, ammirata dai suoi compagni.

L’originalità e la varietà delle situazioni rappresentano il fiore all’occhiello di Pixel Ripped 1989, in trent’anni di videogiochi non ho mai provato qualcosa di simile, ve lo assicuro. Già dai primi secondi, quando nei panni di Dot assistiamo alla distruzione del suo villaggio, si capisce che saremo chiamati a vivere un’esperienza innovativa e indimenticabile: essere letteralmente all’interno di un gioco del Game Boy, poterne ammirare in prima persona gli sprite e le iconiche gradazioni di grigio su sfondo verde, per chi ha vissuto quell’epoca è qualcosa di magico. Tecnicamente è stato svolto un lavoro eccezionale: gli sprite ricordano tantissimo l’era d’oro dei classici Nintendo e Capcom, senza però scimmiottarli.
Anche le musiche, che siano le tracce chiptune che fanno da colonna sonora al metagioco o le canzoni in stile anni ’80 riproducibili attraverso il Walkman di Nicola, vi provocheranno un tuffo al cuore. Merito di Terence Dunn, giovane compositore originario di Hull dal talento smisurato. Cura e passione trasudano anche dagli elementi di contorno: lo zaino di Nicola, decorato con immagini dei suoi giochi preferiti, le riviste di videogiochi sotto il banco, il Boombox ascoltato dai compagni nel cortile, i floppy disk, il cubo di Rubik, i cestini per il pranzo, le penne multicolori, c’è persino il Konami code!

Per chi ha vissuto quegli anni giocare Pixel Ripped 1989 sarà una piacevole tortura. Per me, che ho passato gran parte delle superiori alternando Super Mario Land ai romanzi di Stephen King, rigorosamente durante le ore di lezione, è stato come tornare indietro nel tempo, un’esperienza che mi ha portato a fantasticare ancor di più sulle applicazioni future di una tecnologia rivoluzionaria come la realtà virtuale. L’unico limite oggettivo di Pixel Ripped 1989 è la sua breve durata: chi ha letto le mie precedenti recensioni sa che a mio parere giudicare un’opera dalla sua durata è un concetto che lascia il tempo che trova; frequentando forum e altri siti videoludici ho notato però che la longevità rappresenta una discriminante per molti amanti del medium. Ve lo dico subito, Pixel Ripped 1989 è un gioco breve, che è possibile completare in una manciata di ore. Viene però venduto a un prezzo contenuto e sprizza passione e amore per i videogiochi da ogni pixel, da ogni sprite, da ogni nota musicale, oltre a rappresentare uno dei concept più innovativi nei quali mi sia mai imbattuto. (N.d.A. Il 31 ottobre, in occasione di Halloween, gli sviluppatori hanno rilasciato un aggiornamento gratuito, il quale introduce un nuovo livello a tema horror, molto divertente e curato. Pertanto le osservazioni sulla breve durata da me espresse, che peraltro non avevano influenzato il giudizio complessivo, vengono ulteriormente ridimensionate.)
Originalità che lo ha reso oggetto dell’attenzione dei media e dell’amore incondizionato della comunità indie, sin da quando era solo un piccolo progetto studentesco. Un affetto decisamente ben riposto, per un progetto che ha il potenziale di far innamorare dei videogiochi di un tempo anche chi è cresciuto a pane e Fortnite. Per chi invece quegli anni li ha vissuti in prima persona, o fosse appassionato di chiptune e retrogaming, Pixel Ripped 1989 rappresenta assolutamente un must buy. Non mi ritengo affatto un nostalgico, ma siamo seri: esiste davvero qualcuno che rifiuterebbe un passaggio su una macchina del tempo?
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