Quante volte abbiamo pensato perchè alcune meccaniche di certi giochi non potessero essere inserite in un ambiente in cui non trovano proprio il loro spazio? Questa è probabilmente la domanda che in casa Straka.Studio si saranno posti quando, in fase di realizzazione, hanno pensato come creare qualcosa di stranamente innovativo, un insieme omogeneo tra ambientazioni e stile alla Dark Souls, un pizzico di Roguelike e qualche meccanica alla Tetris.
Questo insieme sarà riuscito a sorprenderci? Scopriamolo insieme in questa recensione di Loot River su PC.
Indice
Che terribile notte per essere cursati.
Per colpa di un misterioso evento, tutte le terre del nostro mondo si sono allagate, lasciando liberi solo alcuni ultimi baluardi di salvezza, nei quali si radunano le persone. Ma là fuori, sulle zattere che compongono le vie oscure, si annidano creature infernali e mostruose che aspettano con ansia il prossimo malcapitato. Noi saremo degli avventurieri incaricati di spezzare la maledizione che sta colpendo queste terre e cercare di riportare tutto alla normalità.
Malgrado le premesse potevano portare a degli sviluppi interessanti, la storia di Loot River risulta essere abbastanza sottotono e poco ricercata, caratterizzata da una linearità di azioni che si ripetono, volta dopo volta, livello dopo livello: parti dal santuario, percorri il livello, uccidi eventuali boss e continua la tua strada.
Quanti livelli di Tetris riesci a superare?
Se la storia del gioco ci ha lasciato un po’ interdetti, la parte interessante a nostro avviso è il suo gameplay, con questo connubio alquanto unico che potrebbe stranire durante i primi minuti di gioco ma che pretende un minimo di trial and error per poter essere masterato.
Da una parte abbiamo un combact system che prende a piene mani dal genere Roguelike e si lascia trascinare in un turbine di crudeltà e spadate, ma che su questo fronte non porta alcuna novità, ma compie il suo lavoro fedelmente, purtroppo con un quantitativo di armi molto ristretto.
A dare un pizzico di sfida in più è il permadeath, per il quale ogni volta che moriremo dovremo ricominciare tutto da capo, portandoci a dover imparare i pattern degli attacchi dei nemici e boss al fine di procedere in maniera più tranquilla. Un buon espediente che però innalza il livello di difficoltà del gioco che già di base, unendo il doppio movimento del personaggio e delle zattere, risulta essere molto macchinoso.
Dall’altra, abbiamo l’elemento Tetris: per proseguire nella nostra avventura dovremo salire sopra queste zattere e spostarci in giro riuscendo a creare concatenare gli spostamenti insieme al combattimento coi nemici, magari usando una zattera per muoverci velocemente ed evitarli o raggrupparli tutti in un’unico punto e colpirli. Questa meccanica risulta esere realizzata molto bene, permettendo di sbizzarrirci in combo particolari mentre scappiamo dagli NPC avversari.
Ad aggiungersi a questo elemento, anche la proceduralità dei livelli: infatti, a ogni nostra morte il mondo si rigenererà con un nuovo pattern, in modo tale da avere un’esperienza sempre nuova ogni volta che ci approcciamo a ricominciare la partita, che però a volte risulta come il mescolamento dei soliti pattern di level design facilmente individuabili.
Andando avanti nel gioco riusciremo a guadagnare alcuni punti esperienza, che potranno essere spesi nel menù statistiche per aumentare una variabile a nostra scelta tra Forza, Vitalità, Destrezza, Resistenza e Intelligenza, che ci torneranno utili nel nostro processo di trial and error per continuare a esplorare.
L’inventario di gioco, seppur ricorda quello di alcuni souls like, con la presenza delle nostre statistiche, è veramente risicato, complice il fatto di voler inserire nello stesso spazio più informazioni possibili.
Il titolo, però, fa intuire fin da subito che il miglior modo per essere provato è usando un controller al posto di tastiera e mouse, in quanto la macchinosità dei controlli (che su tastiera è relegata a WASD per spostare il nostro personaggio e le freccie direzionali per le zattere) viene di gran lunga semplificata (con l’uso degli analogici per gestire gli spostamenti), risultando più godibile.
Fuoco sull’acqua…
Con Loot River, ci troviamo davanti a un esempio di come la semplicità grafica possa essere un fattore positivo e che non danneggia l’esperienza. Questa pixel art che permea tutto il mondo di gioco risulta essere molto dettagliata, restituisce dei fondali e delle strutture molto ben disegnate con lo stile cupo del gioco, nonostante questo genere di grafica non sia una novità, ma che in questo caso ha un costrutto particolare, partendo da subito con i vari NPC che troveremo sulla nostra strada.
La caratterizzazione dei nemici che incontreremo è molto originale, ma purtroppo pecca di varietà, ritrovandoci spesso a combattere lo stesso tipo di nemico anche in molti altri livelli. Questo trattamento lo subiscono anche gli NPC amici che troveremo in giro e che porteremo con noi nel Santuario, che molto presto si popolerà di qualche personaggio e basta.
Il gioco è stato recensito nella versione Steam, su un Ryzen 1700x con 16GB di DDR4 a 3200mHz e una nVidia RTX 2080, senza mai incontrare cali drastici di framerate (che si attestava sui 75fps per la maggior parte del gioco) e con caricamenti abbastanza veloci, della durata giusta per farci osservare la splash art e il testo sotto essa.
A condire l’esplorazione del mondo di gioco è una colonna sonora molto viva, che ci accompagnerà con le sue tetre e liriche note nei lunghi corridoi acquiferi e nelle nostre battaglie, non risultando pesante durante la partita ma che sa esaltare l’azione in corso.
Anche i Pixel hanno un cuore… o una barra salute
Loot River risulta essere un’ottima combinazione degli elementi cardini del genere Roguelike e il gameplay alla Tetris, portato su schermo in una pixel art deliziosa ma allo stesso tempo elaborata, con un comparto sonoro che sa esaltare ogni momento dell’esplorazione. Purtroppo, i controlli non proprio semplici rendono difficoltoso l’accesso ai giocatori che vogliono avventurarsi su queste piattaforme acquifere, uniti a una storia sottotono che minano l’esperienza del titolo.
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