Pubblicato il 01/06/18 da Riccardo Trillocco

A Way Out

"Con gli anni capirai che siamo fratelli ormai, perché il destino ha deciso che c'è un vero amico in me!"
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Mi risulterebbe francamente impossibile parlare di A Way Out senza prima offrirvi un excursus su Josef Fares, il suo vulcanico creatore. Nato a Beirut (Libano) nel 1977, fu costretto a lasciare il paese insieme ai familiari a causa della sanguinosa guerra civile in atto all’epoca.
Stabilitasi in Svezia quando Josef era ancora un bambino, la sua famiglia ha avuto un’importanza rilevante nell’indirizzarlo verso la sua carriera cinematografica; un’opera meritoria, subito ripagata dal figlio, che ha affidato ai genitori e al fratello maggiore Fares Fares ruoli di primo piano in alcune sue pellicole.
Individuato da Variety nel 2006 come uno dei dieci registi da tenere d’occhio, Fares dal 2010 ha abbandonato il cinema, per dedicarsi a tempo pieno allo sviluppo di videogiochi, nonostante i film da lui diretti avessero ottenuto un plauso unanime da pubblico e critica.
Il perché abbia scelto di lasciare (temporaneamente?) il mondo della celluloide in favore di quello videoludico, il buon Josef lo ha spiegato in più di un’occasione, ma c’è una frase, o meglio tre parole, da lui pronunciate che meglio di tutte sintetizzano questa transizione: no, non sono “sole, cuore e amore” bensì “fuck the Oscars”. Chiunque tra voi segua un po’ le vicende che ruotano attorno ai videogiochi sa bene a cosa mi riferisco, agli altri dico solo: “Buona visione!”.

Prima di fondare il suo team di sviluppo, Hazelight Studios, Fares ha collaborato con Starbreeze Studios (The Darkness, Payday 2), che gli ha prontamente lasciato carta bianca per un progetto personale. Il suo approccio da neofita entusiasta non ha tardato a emergere, portando subito a un frutto succosissimo: Brothers: a Tale of Two Sons, un gioco geniale, vincitore di numerosi premi riservati alla categoria indie, che è riuscito a raccontare in maniera fresca e moderna un certo tipo di letteratura nordica, grazie anche a una meccanica di gameplay così innovativa da non essersi mai vista prima, se non in brevi sessioni di gioco: il controllo dei due protagonisti deputato ai due stick analogici.
Se non lo avete mai giocato ve lo consiglio caldamente, si trova ormai a prezzi irrisori per ogni piattaforma, oltre a essere un vero e proprio gioiello di innovazione, narrazione e gameplay.

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Il toccante e innovativo Brothers: a Tale of two Sons. Questa immagine è esplicativa del talento registico di Fares.

“Cosa potrei escogitare di ancor più dirompente di una co-op a un solo giocatore?” Sicuramente Fares si sarà posto questa domanda durante le sessioni di brainstorming aziendale in quel di Stoccolma, e la risposta ai suoi dubbi si è concretizzata nello sviluppo di A Way Out.
Immaginate la faccia dei dirigenti Electronic Arts quando si sono visti proporre un gioco da giocare interamente e OBBLIGATORIAMENTE in split screen. Immaginatela di nuovo quando è stato detto loro che c’era l’intenzione di far giocare un secondo giocatore gratuitamente, anche se non in possesso di una copia del gioco. Evidentemente Fares deve essere stato molto convincente, se una multinazionale con un fatturato annuo di 4.845 miliardi di dollari ha acconsentito a investire in un progetto simile, accollandosi le spese di distribuzione e marketing, e garantendogli anche il 100% degli introiti.
Un comportamento indubbiamente da elogiare, per un colosso dell’industria spesso vittima di critiche gratuite e infondate. Un progetto così originale e fuori dagli schemi sarà riuscito a superare l’esame più difficile, ovvero quello del pad? Andiamo a scoprirlo.

L’intreccio di A Way Out non è molto complesso: Vincent è stato appena imprigionato nella più classica delle carceri americane. Appena arrivato si trova coinvolto suo malgrado in una rissa, anzi, in un tentato omicidio. La vittima designata è Leo, in carcere per una rapina finita male. Dopo un rocambolesco salvataggio, i due, anche se di carattere opposto, si troveranno a collaborare in un tentativo di evasione, stringendo al contempo un’inaspettata amicizia.
Questi sono, più o meno, gli avvenimenti della prima ora di gioco, ma preferisco non dilungarmi oltre per non togliervi il piacere della scoperta, visto che ogni capitolo delle vicende di Leo e Vincent è radicalmente diverso dal precedente, andando ad abbracciare più generi di gameplay.

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Mentre Vincent fa amicizia con i nuovi compagni di carcere, Leo naviga decisamente in brutte acque: è l’inizio di una grande amicizia.

Il ritmo di A Way Out è piuttosto regolare e vede l’alternarsi di sequenze action adrenaliniche à la Uncharted a macro aree dove l’esplorazione e le attività secondarie la fanno da padrone. Ognuna di esse risulta appagante (tranne il basket, che può vantare la peggior fisica di un pallone mai vista in un videogame) e incentrata su meccaniche concepite per stimolare sia la collaborazione che la competizione tra i due giocatori.
Vi faccio un esempio per tipologia, così da chiarire di cosa sto parlando: una sezione vede Leo e Vincent, appena evasi, costeggiare il corso di un fiume. Costretti a nascondersi, l’unico modo per procurarsi il cibo è pescare. Costruito un rudimentale arpione, un giocatore deve indirizzare i pesci verso l’altro, che cercherà di infilzarli.
Un esempio di situazione competitiva è invece il baseball: costretti a nascondersi temporaneamente in una zona degradata della città, i due fuggitivi si imbattono in due ragazzi intenti a lanciare e battere. Preso possesso di mazza e guantone, i due giocatori possono alternarsi nei ruoli di lanciatore e battitore, con tanto di quattro tipologie di lancio e di counter per la battuta più lontana.
Ogni elemento predisposto da Fares e dal suo team è stato pensato esclusivamente in funzione del divertimento e del coinvolgimento dei giocatori. Non c’è un singolo momento di stanca, nessun backtracking allunga brodo, nessun picco di difficoltà, solo un alternarsi continuo di situazioni divertenti, fino ai titoli di coda. I caricamenti sono brevissimi, i checkpoint ben disposti, la difficoltà decisamente tarata verso il basso.
Lo scopo era sicuramente il rendere accessibile A Way Out alla più ampia fetta di pubblico possibile ed è stato decisamente raggiunto. Chi in un videogioco cerca in primis la sfida farebbe bene a tenersene alla larga; siamo più dalle parti di un film interattivo con dei minigiochi al suo interno, puntellati da dialoghi molto ben scritti e da alcune situazioni esilaranti.

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Nessun oviparo è stato maltrattato durante la scrittura di questa recensione.

I due personaggi sono antitetici: Vincent rappresenta il tipo riflessivo, dai modi gentili, pacati, che farebbe di tutto pur di non ricorrere alla violenza. Leo è vulcanico, dalla lingua tagliente, sempre pronto alla rissa, ma non privo di autoironia. Inutile dire che il mix di caratteri e i loro scambi di battute è alla base della narrazione e delle tematiche presenti nel titolo sviluppato da Hazelight Studios, le cui fonti di ispirazione sono radicate in alcuni buddy movie (genere cinematografico incentrato sulle avventure di due amici e sull’evoluzione del loro rapporto) particolarmente riusciti.
Anche la scelta di ambientare il titolo negli anni ’70 va vista in questo senso: senza orpelli tecnolgici di mezzo risulta più naturale incentrare la narrazione sui dialoghi tra i due protagonisti. Nel corso della mia prova ho colto riferimenti e similitudini con Butch Cassidy, Prima di mezzanotte, Arma letale, 48 ore e molti altri. Evidentemente Fares apprezza molto il genere, dato che anche i primi due film da lui diretti ne facevano parte, Jalla! Jalla! e Kops.
Le analogie tra questi due film e A Way Out non si limitano al genere, perché a recitare nel ruolo di Leo ritroviamo Fares Fares, fratello maggiore di Josef, protagonista delle due pellicole succitate e ormai lanciato verso una brillante carriera hollywoodiana, tanto da essere stato inserito nel cast della seconda stagione di Westworld.

L’assenza totale di matchmaking imposta da Fares è risultata vincente: l’obbligo di giocare con un amico, offline od online che sia, perdipiù condividendo lo stesso schermo, porta a delle dinamiche esilaranti, riuscendo a ricreare quell’atmosfera collaborativa/competitiva tipica delle pellicole tanto amate dal regista svedese.
Mi è capitato più volte di far morire volutamente il mio compagno solo per gustarmi la sua reazione sbalordita, oppure di ostacolare la visuale con il mio personaggio per rovinarargli una cutscene. Credo che stimolare azioni simili nei fruitori di A Way Out fosse nelle intenzioni del team di sviluppo fin dai primi stadi del progetto, perché è il gioco stesso che le incentiva.
Quasi all’inizio del gioco c’è una sezione completamente al buio, dove i due fuggitivi sono obbligati a passarsi l’unica torcia in loro possesso, una situazione ideale per ostacolarsi a vicenda, cosa che per buona educazione non faremmo con un giocatore (s)conosciuto online. Il tono della narrazione però non sempre risulta leggero e scanzonato: non mancano momenti drammatici e toccanti, senza risultare stucchevoli.
In particolare le dinamiche familiari dei due protagonisti ricoprono un peso importante nell’economia della sceneggiatura, ma non vado oltre per il rischio spoiler.

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Uno dei momenti più esilaranti dell’intera produzione.

Hazelight non è uno studio con mezzi produttivi da tripla A, fattore che emerge dai modelli poligonali, non troppo ricchi, e da alcune texture scarne e un po’ sottotono . Il colpo d’occhio generale però risulta molto buono, specie nelle sezioni all’aperto, dove l’esperienza cinematografica di Fares regala alcuni scorci e giochi di luce notevoli. La regia e il montaggio recitano però la parte del leone: la padronanza del mezzo c’è e si vede, la sezione ambientata nell’ospedale da questo punto di vista è da applausi.
Il comparto sonoro è notevole, con musiche adrenaliniche ad accompagnare le scene più concitate, mentre delicati arpeggi acustici punteggiano i momenti drammatici. La recitazione è ottima, ma non poteva essere altrimenti, con un doppiaggio inglese da applausi (sono presenti i sottotitoli in italiano).
La durata potrebbe invece non soddisfare tutti, attestandosi tra le sei e le otto ore, in base al tempo dedicato alle varie attività secondarie, presenti in gran quantità.

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Grenade Brothers potrebbe di piacervi così tanto da aumentare considerevolmente la longevità del gioco principale.

Non ci sono grandi incentivi per un secondo playthrough, gli achievements sono ottenibili tutti nella prima run e, anche se doveste mancarne qualcuno, un comodo selettore dei capitoli fa sì che possiate recuperarli in poche decine di minuti.
Riguardo al fattore longevità mi preme puntualizzare che il prezzo di lancio del titolo distribuito da EA si attesta sui 29,99 €, inoltre una sola copia è sufficiente per poter giocare l’intero titolo con qualunque membro della vostra lista amici. A questo proposito vorrei spendere ancora due parole sul funzionamento di questa lodevole iniziativa: per usufruire di questa possibilità l’unico requisito necessario è il download della cosiddetta “versione di prova”, che altro non è che l’intero gioco bloccato.
Il giocatore che ha acquistato il gioco manda l’invito et voilà, siete pronti per giocare. Il bello di questa iniziativa è che non prevede limitazioni, potete farlo con chiunque, basta solo che sia presente nella vostra lista amici. Da sottolineare però che gli achievements vengono sbloccati solo per il giocatore che in possesso del gioco, mentre giocando in cooperativa locale si sbloccano per entrambi i giocatori.

A Way Out rispecchia, ovviamente, i pregi e i difetti del suo creatore: irriverente, diretto, sfrontato e molto, molto divertente. Se volete vivere, rigorosamente in compagnia, un’avventura adrenalinica, appagante, in grado di strapparvi moltissime risate e, nel caso siate particolarmente sensibili, anche qualche lacrima, non potete certo lasciarvelo scappare.
Con un trailer così ben confezionato sfido chiunque a non volergli dare una chance!

  • Tante attività secondarie, tutte riuscite...
  • Diverte dall'inizio alla fine
  • Regia ai massimi livelli
  • Classico, nell'accezione migliore del termine

 

  • ...tranne il basket, il basket è pessimo
  • Tecnicamente non fa gridare al miracolo

 

 

Leo

Buddy Movie

Fares Brothers

Risate continue

trillo81 - Biografia

È passato da Basketball per Atari 2600 al 4K HDR in soli 38 anni. Crede che il gioco più bello sia sempre quello che deve ancora iniziare ed è fermamente convinto che, come tutte le tendenze transitorie del web, le biografie in terza persona siano destinate a sparire. Aiutatelo ad azzeccare questa profezia iniziando col non leggere la sua.

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