Se dovessi descrivere questo gioco raccontandovi una barzelletta vi direi: “Cervantes, Geralt di Rivia e Marge Simpson entrano in un bar e… schiaffi!”
Ma Soul Calibur VI non è una barzelletta, ma bensì un’elaborata storia scritta dai soliti sospetti di Bandai Namco. Era da tempo che aspettavo il sesto capitolo di una serie che mi ha visto consumare le dita sui pad già in tempi non sospetti e che, soprattutto, ha portato alla fine un numero di amicizie ben più alto del numero di iterazioni che questo gioco ha avuto.
Soul Calibur VI è un picchiaduro 3D onesto, che rimane coerente con se stesso e non ha la minima paura di dimostrarlo: le meccaniche a cui siamo sempre stati abituati dai fratelli più grandi sono rimaste identiche. Il caro e vecchio sistema carta-forbice-sasso che in Soul Calibur è rappresentato dalla magica triade attacco orizzontale-calcio-attacco verticale permane come caposaldo di tutto il sistema di combattimento su cui si basa il gioco, venendo anzi esaltato grazie alla prima grande novità introdotta: il Reversal Edge.

Il Reversal Edge è un momento cinematico molto particolare dove i due sfidanti andranno a giocarsi un velocissimo round di carta-forbice-sasso, premendo un solo tasto che permetterà loro di eseguire una singola mossa. A seconda di quale mossa il giocatore ha deciso di fare, tra le 3 disponibili, il personaggio potrà vincere quello scontro infliggendo danno, perdere l’ingaggio (subendo l’attacco da parte del nemico) o, addirittura, gli attacchi andranno ad annullarsi tra loro, facendo indietreggiare i due contendenti che ora dovranno reagire e cambiare la loro strategia, tornando però al combattimento classico.
Se da un lato, essendo un assiduo giocatore di picchiaduro, so benissimo che l’interezza di questo genere videoludico ruota attorno allo sfruttamento di questa tipologia di meccaniche (viene in mente il Priority System di Street Fighter V) che viene più o meno nascosta agli occhi del giocatore, accettandola quindi di buon grado, dall’altro mi sono trovato un po’ contrariato nel constatare in maniera così netta e quasi sterile proprio questa implementazione di design.
Per quanto riguarda gli aspetti positivi del Reversal Edge, è indubbio che il momento cinematico cattura l’occhio e, anche grazie ad un motore grafico rinnovato e sicuramente ad alti livelli (che comunque in alcuni casi, almeno su console, perde nella resa finale), mette in risalto la spettacolarità del momento. D’altro canto, sebbene sia vero che Soul Calibur non ha mai brillato per essere uno dei picchiaduro più complessi del pianeta, trovo che la linearità con cui questo titolo si presenta sia fin troppo semplicistica.

Come ogni sua precedente iterazione, Soul Calibur VI ci offre una nuova ospitata, un personaggio completamente avulso dal contesto del gioco stesso: questa volta è stata la volta del buon Geralt di Rivia. Il protagonista di The Witcher, infatti, è uno dei personaggi giocabili fin da subito, con un suo moveset dedicato ed unico, modellato sulle stessa abilità e capacità che tanto abbiamo imparato a conoscere grazie ai ragazzi di CD Projekt Red.
Ma le particolarità di Soul Calibur VI non finiscono qui: in questo capitolo, infatti, i giocatori avranno a disposizione un completissimo editor dei personaggi dove potranno creare un combattente modificandone tutti gli aspetti fisici e facendogli ricalcare lo stile di combattimento di uno dei personaggi base del gioco. Qui capirete la mia barzelletta di prima: l’editor è così efficace da potervi dare la possibilità di creare anche personaggi del calibro di Marge Simpson, pronta a punirvi a colpi di nunchaku.
Questi personaggi saranno utilizzabili non solo per giocare la storia principale, ma anche nelle partite online. Venendo proprio a single player e multiplayer, è qui che ho riscontrato due punti piuttosto dolenti: la story mode rimane un’accozzaglia di eventi scritti in maniera approssimativa e spesso confusionaria, che ci servirà solo per apprendere le basi del gioco, spostandoci da un punto all’altro di una mappa. Il multiplayer, invece, è rallentato dal fatto che la ricerca di un avversario si trasforma in un momento lungo e particolarmente tedioso: per poter giocare con uno sconosciuto ho dovuto obbligatoriamente scegliere di combattere in un ranked match ed aspettare svariati minuti prima di poter menare le mani.

Soul Calibur VI si presenta comunque come un gioco facilmente giocabile all’inizio, ma che diventerà più profondo e meccanicamente complesso più la vostra dimestichezza con esso aumenterà. Ci sono moltissime sfumature che il giocatore dovrà imparare seriamente per poter apprezzare completamente la profondità del gioco.
In definitiva, Soul Calibur VI è un gioco solido e che offre ai giocatori la certezza di potersi divertire per svariato tempo grazie alle chicche introdotte in questa iterazione della serie. Grazie ad una grafica convincente, un comparto audio all’altezza e una profondità di gameplay tutta da far emergere, questo capitolo alza sicuramente la barra qualitativa verso la quale i picchiaduro 3D dovranno tendere in futuro.
See you, Game Cowboys!
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