Pubblicato il 24/10/16 da Neko Polpo

Ride 2 – Tutto suo padre

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Bello, no? Io mi esalto sempre quando una software house si lancia in una nuova avventura annunciando una IP inedita, magari slegata da licenze di terzi. Quando Milestone annunciò nel 2014 un nuovo gioco dedicato alle motociclette, o meglio dedicato al motociclismo in senso lato, mi sono subito interessato al loro progetto; mancava a quei tempi – e (spoiler) manca anche adesso – un’esperienza videoludica, specifica per le due ruote, che potesse replicare le sensazioni provate giocando ad un Gran Turismo. Perché, al di là di essere riuscita a pubblicare il primo titolo pseudo-simulativo di successo su console, Polyphony Digital era riuscita ad imbrigliare i giocatori del 1997 grazie ad un affascinante sistema di progressione, reso gratificante da un parco macchine variegato e davvero sconfinato per i tempi (173 auto). Nonostante non sia mai stato un fan clamoroso della saga motoristica nipponica, ho sempre apprezzato la sua capacità di rendere ogni gara importante, valorizzando qualsiasi tipo di piazzamento e non solo la vittoria; guadagnare qualche posizione in griglia dopo aver potenziato un catorcio o poco più, disintegrando magari i pochi fondi rimasti nel portafoglio, era una sensazione unica una ventina di anni fa. Nel primo Ride erano visibili alcune sfumature di quella magia, ancora moderna nel 2015, ma gli sviluppatori di Milestone non erano riusciti a confezionare una formula efficace ad esaltare il gran numero di contenuti da loro inclusi. Un debutto comunque più che buono, incoraggiante per un ipotetico seguito. A un anno e mezzo di distanza il team milanese ci riprova, con un Ride 2 che sicuramente si dimostra ancora più impressionante nei numeri, ma che, secondo me, non riesce a fare i necessari passi in avanti per essere finalmente considerato il “Gran Turismo delle moto”. Provo a spiegarmi.

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Chiamarsi BellaDonna e guidare una Honda Hornet. Eccoci.

Partiamo allora dai contenuti, la caratteristica forse più sventagliata in fase di marketing. 170 moto, comprendenti tutte quelle apparse nel primo episodio, suddivise in sportive, naked, storiche e con l’aggiunta della classe supermotard. Si allarga anche il numero delle case produttrici, grazie all’arrivo di Cagiva, Magni Mr Martini, Husqvarna e TM. Tutti i modelli sono realizzati in maniera certosina, riproducendo con esattezza ogni minima linea aerodinamica delle carene e, spesso e volentieri, un rombo del motore convincente. Se in Ride 1 il momento emozione è stato guidare l’Aprilia RS del 2001, qui ho avuto l’opportunità di mettermi in sella ad un altro mio feticcio: la naked più bella di tutti i tempi, la Honda Hornet del 2002. Tutte equipaggiate con livree ed accessori originali, è possibile liberamente personalizzare i nostri mezzi grazie a componentistica di terzi e a colorazioni alternative (tipo quelle livree da racing in edizione limitata, che ci piacciono tanto). Molto di più, ma nulla di nuovo rispetto all’anno scorso. Uno sforzo interessante invece lo si può ritrovare nella creazione del nostro avatar digitale che, oltre al poter sfoggiare un abbigliamento motociclistico dalle marche più esotiche, può essere completamente personalizzato nella sua postura da corsa. Un pratico ed efficace editor, un po’ nascosto tra i non troppo amichevoli menù di gioco, ci permette di aggiustare alcuni atteggiateti del nostro pilota: il grado di torsione del busto in percorrenza di curva, l’angolo con cui il ginocchio sfiora l’asfalto in piega, il comportamento delle gambe in frenata (avete presente quei piloti che tolgono lo scarpone dalla pedaliera in staccata?) ed altre piccole finezze. Infine i 30 tracciati, tra circuiti, valichi di montagna e percorsi cittadini, tutti realizzati discretamente ma senza arrivare mai a stupire, né per feeling di gameplay (dopo aver fatto un mese di Assetto Corsa tutto il resto mi sembra piatto) né per scorci evocativi (il motore grafico non è al passo con la bontà dei paesaggi proposti, come ad esempio le deliziose viuzze urbane del Kanto).

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Ho speso parecchio tempo nell’editor del personaggio. Manco fosse un titolo di wrestling.

Tutti i contenuti sopra elencati sono distribuiti nelle molte, anche qui numero incrementato rispetto al passato, modalità di gioco: gara singola, multiplayer online, sfide a tempo ed altro. Tra le novità più gradite, almeno per me, non posso evitare di citare le sfide giornaliere e settimanali, fondamentali per racimolare qualche soldo in più soprattutto nelle prime difficoltose ore di gioco. Arriviamo quindi a quello che è il punto critico, la modalità che dovrebbe restituire appunto quel feeling Polyphony: il World Tour. Si parte scegliendo una tra le quattro moto messe a disposizione gratuitamente per iniziare la nostra carriera sulle due ruote, tutte appartenenti a generi motociclistici differenti, per lasciare (giustamente) al giocatore la scelta su quale genere di corsa concentrarsi maggiormente. Io ho scelto una Honda NSR 125 R, per una pura preferenza estetica. Le quattro categorie diverse di eventi (Urban Style, Street Icons, Hyper Sport e Pro Racing) saranno disponibili sin da subito (a patto di avere una moto adatta), mentre i tre gradi di difficoltà saranno sbloccabili con le medaglie guadagnate durante ogni stagione (costituita da 8 gare). Alla fine dell’anno motociclistico sarà possibile gareggiare per degli eventi speciali che, oltre a fornire un premio in denaro non indifferente, potrebbero premiarvi con una nuova motocicletta in caso di un piazzamento sul gradino più alto del podio. Ora, per quella che è stata la mia esperienza (non ho avuto tempo di approfondire questa modalità iniziandola nuovamente e compiendo una scelta iniziale diversa), la progressione può essere riassunta con due fasi distinte: prima e dopo la prima vittoria.

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Centinaia di fan nipponici in visibilio! (4 per la questura)

Le prime gare in sella alla mia Honda sono state difficili, al limite del frustrante: nonostante staccate al limite, curve eseguite in maniera perfetta e sorpassi da straccio di licenza non ho avuto mai nessuna speranza di giocarmi neppure il gradino più basso del podio. Mi sono scordato di fare uno screenshoot riepilogativo della prima stagione, ma sono quasi certo di essere arrivato al massimo ad una medaglia di legno. Giustissimo: cosa vuoi pretendere da un novellino appena arrivato nel mondo delle corse, per giunta in sella su una moto che non è in grado di tenere testa alle velocità in rettilineo dei propri avversari? Con i miseri guadagni che mi portavo a casa dopo ogni prova ho migliorato progressivamente la mia moto, equipaggiandola con gomme più performanti, un nuovo radiatore ed una scatola del cambio migliore. Soprattutto quest’ultima ha dato una marcia in più alle mie prestazioni in pista (ah ah che sagoma che sono! ndr), permettendomi di raggiungere spesso la zona podio, fino poi ad arrivare alla prima agognata vittoria (su una variante del circuito di Franciacorta, se non erro). Inizia qui la seconda fase della carriera, fatta quasi esclusivamente di vittorie e del tutto privata di quella tensione da gestionale negli intermezzi tra una gara e l’altra. Appreso che è improbabile essere competitivi con una moto appena uscita dal concessionario, diventa banale seguire un approccio attendista con ogni nostro nuovo acquisto, arrivando a schierarlo in pista solo dopo averne potenziato la ciclistica a dovere. Paradossalmente la quantità di eventi disponibili favoriste questa strategia del formicaio, rendendo piacevolissimo acquisire ulteriore denaro senza dover grindare competizioni già vinte. La modalità World Tour assume così uno stato inconsistente. Competere, o meglio vincere, ogni gara diventa presto un gesto meccanico, indipendentemente dalla cilindrata, dalla concentrazione, dalle affinità o meno con il tracciato o dalle condizioni atmosferiche. La transizione da pippa del cordolo a pluri-campione mondiale è ancora troppo repentina, non riuscendo a trasmettere quel senso di appagamento che da un gioco di questo genere sarebbe lecito aspettarci. Non c’è pepe neppure nel sistema di acquisto delle moto, privo di un mercato dell’usato o comunque di occasioni temporanee, non c’è mai urgenza; non è neppure incentivato l’acquisto di tutte le moto, se non da obbiettivi secondari o dai filtri di accesso di alcune delle sfide temporanee. Per tutti questi motivi, spiace dirlo, il franchise di Ride fallisce per il secondo anno consecutivo l’obbiettivo di raggiungere lo status di GT delle due ruote, proponendo una modalità principale afflitta dai solito problemi riscontrati in quella testata nel 2015. Milestone ha badato esclusivamente ad aumentare la quantità di carne al fuoco, senza preoccuparsi di speziarla a dovere, rendendo così banale e scontato ogni singolo passo verso la vetta della classifica piloti.

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Scelte di vita.

Ma se mettessimo da parte per un attimo le aspirazioni da The Real Driver Simulator cosa rimarrebbe di questo Ride 2? Concentrandomi esclusivamente sul feeling in pista, ovvero sul lato prettamente corsistico della giocabilità, Milestone conferma il manico che storicamente ha sempre avuto con questo genere di giochi. Un approccio a metà tra Arcade e simulativo rende piacevole la guida di tutti i mezzi proposti, riuscendo ad essere permissiva e stimolante allo stesso tempo. Seppur in rettilineo l’effetto saponetta sia un po’ troppo evidente, le sensazioni in curva sono generalmente ottime, con un joypad in grado di far percepire ogni graffio sull’asfalto direttamente sui polpastrelli del giocatore. Azzeccare una chicane, indovinando il grado di piega ed il tempismo con cui rialzare la moto per buttarsi nella seconda curva, è ancora la cosa più divertente in assoluto. Naturalmente è presente una vasta gamma di aiuti per adattare il sistema di guida alle nostre necessità: traiettoria consigliata, frenata automatica e l’odiatissimo rewind. Con l’arrivo delle supermotard sono state incrementate ulteriormente le differenze al manubrio tra i generi di due ruote disponibili, garantendo sempre qualche giro di apprendistato quando si decide di passare ad una nuova moto: nello specifico le supermoto fanno ampio sfoggio del controsterzo, feature che le rende immediatamente distinguibili da tutti gli altri veicoli. Migliorata anche l’intelligenza artificiale degli avversari che, seppur fin troppo permissivi tra di loro, si dimostrano davvero aggressivi in bagarre, tentando subito controsorpassi spesso al limite del regolamento. L’unico vero difetto del sistema di guida rimangono le collisioni, brutali se avvengono contro la carena di un avversario (ecco perché avere la CPU in traiettoria fa davvero paura) ed insulsi/rotti nel caso ci dovessimo schiantare contro un muretto (non si casca mai se si scivola lateralmente contro un guard rail, anzi potrebbe tornare utile per raddrizzare una traiettoria sbagliata!).

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È impossibile cascare contro un muro, ma Impossibile è il mio secondo nome.

Nonostante non riesca ad essere un’esperienza motociclistica a tutto tondo, Ride 2 è comunque un ottimo gioco, grazie ad una quantità di contenuti sconfinata e ad un sistema di guida divertente e versatile. Se per qualche motivo vi foste saltati la release dell’anno scorso vi consiglierei di gettarvi sul nuovo titolo Milestone senza alcun indugio, al contrario non so quanto una nuova iterazione così conservativa potrebbe interessare a chi ha già speso decine di ore sul vecchio episodio. Ride 2 migliora in tutto il suo predecessore, ma forse non fa abbastanza per meritarsi la nomea di seguito.

  • Ottimo sistema di guida
  • Moto come se piovessero
  • Longevo

 

  • Troppo simile al suo predecessore
  • Modalità principale priva di sostanza
  • Graficamente datato

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