Chibi-Robo è un piccolo robot, alto appena dieci centimetri, partorito dalla geniale mente di Kenichi Nishi (autore di progetti interessantissimi e originali, quali Moon: Remix RPG Adventure per PlayStation e L.O.L.: Lack of Love per Dreamcast, tra gli altri) e approdato per la prima volta su Gamecube nel 2005. In seguito il padre naturale di Chibi, allora a capo del team di sviluppo Skip, si è allontanato dalla serie per dirigersi verso lidi ancor più sperimentali, finendo a lavorare fianco a fianco con un altro maestro “underground” giapponese (Kenji Eno, prematuramente scomparso più di un anno fa. R.I.P.) su un piccolo titolo per iOS, Newtonica.
Dopo una vita dedicata a rendere felici famiglie sull’orlo di una crisi di nervi con i propri servigi (dalla pulizia di casa al sostegno psicologico!), e dopo aver trascorso qualche tempo a cercare di salvare il mondo curando giardini (Chibi-Robo! Park Patrol, anche questo, come tutti gli altri titoli a lui dedicati, mai uscito in Europa, se si esclude il primo capitolo per Gamecube), Chibi-Robo ritorna e fa propria la nobile arte che fu di Niépce e compagnia fotografica, in un nuovo gioco disponibile solo su eShop e miracolosamente in uscita anche nel Vecchio Continente (il 3 luglio).
In Let’s Go, Photo! Chibi-Robo si trova a supportare un curatore di mostre tutto particolare, un artista innamorato degli oggetti d’uso quotidiano e degli strumenti comuni visti con gli occhi dell’arte, probabilmente amante di Duchamp e dei ready-made. Uno strano soggetto appassionato di gingilli. Anzi, di NostalGingilli, come vengono chiamati nel corso del gioco.
In sintesi quello che Chibi (e il giocatore, di conseguenza) dovrà fare non sarà altro che scattare fotografie del mondo reale per cercare oggetti vari ed eventuali, possibilmente coincidenti con le sagome impresse su ogni “rullino” a disposizione del protagonista. In termini di gameplay questo si traduce in una sorta di “caccia alla forme”. Forme che si adattino, appunto, alle sagome di cui sopra. Dunque l’interazione non avviene solamente sul piano virtuale, ma si sposta anche su quello fisico, “reale”: al giocatore il compito di deformare la realtà, di interagire con il mondo “vero” e di farlo rispondere ai requisiti del gioco. Ci si ritrova, in men che non si dica, a vagabondare (per davvero) in cerca di oggetti utili, di “gingilli” che abbiano le caratteristiche di una certa sagoma (che fornisce, come unica indicazione, solo i contorni della figura da fotografare).
Il sistema di riconoscimento degli oggetti ha dei limiti, non è perfetto, ovviamente, ma da questo ostacolo il gioco ricava un’opportunità: in qualità di giocatori si cerca di ingannare la macchina, di lavorare sugli sfondi dello scatto per rendere meno definiti i contorni, così da raggiungere il 100% di precisione per ogni forma. Chiaramente l’obiettivo (fotografico) è quello che è, ma fa tutto parte del gioco: Let’s Go Photo! non punta certo sull’aspetto formale della fotografia, quanto sugli elementi concettuali propri del medium (non a caso si citava Duchamp: immediatezza, riflessione sulla “referenzialità” fotografica, automatismo e anti-autorialità, uso della macchina proprio nei suoi limiti e studio sul concetto di inquadratura, come modo di ritagliare la realtà – si pensi alle mani di Rrose Sélavy, appartenenti alla moglie di Man Ray!- … Di fatto, all’interno dell’inquadratura normalmente intesa, esiste una seconda inquadratura, quella definita dai contorni dell’oggetto richiesto). “Giocare” con la fotografia significa relazionarsi con il mondo, interfacciarsi ad esso e addirittura interagirvi. “Ricostruirlo” grazie al mezzo fotografico.
Un aneddoto personale sul gioco: mi è capitato, sperimentando con le sagome, di non riuscire a trovare qualcosa che corrispondesse alla richiesta e di ricreare quindi la stessa forma a computer, con Paint per intenderci… In pratica: fotografare il mondo virtuale attraverso un occhio meccanico per riversare poi il risultato in un altro mondo virtuale, e quindi riscoprire il mondo virtuale come parte del mondo fisico e tangibile.
Ancora non si è detto dell’uso che il gioco fa degli scatti ottenuti tramite il procedimento descritto: ogni NostalGingillo viene “scorporato” dalla fotografia e reso tridimensionale, talvolta addirittura animato o “personificato” (lattine antropomorfe e guanti posseduti sono la norma). Le opere così prodotte vengono poi esposte dal “Curatore” nelle teche di un museo, pronte per essere mostrate ad un pubblico sempre più numeroso. Starà proprio al piccolo omino di latta portare il maggior numero possibile di visitatori nelle sale dell’esposizione.
Ma non di sole fotografie vive Chibi-Robo, che torna, ancora una volta, ad aiutare il prossimo (dopo il primo, ottimo “exploit” sul Cubo di Nintendo e la seconda prova su DS dopo Park Patrol, ovvero Okaeri! Chibi-Robo! Happy Richie Ōsōji!) nelle mansioni più disparate: dai minigiochi “culinari” a quelli che richiedono un buon colpo d’occhio per calcolare distanze senza punti di riferimento, passando per attività come il tiro al bersaglio o il “condimento” di sushi. Attività extra molto curate, in grado di offrire qualche svago tra uno scatto e l’altro. A ciò si aggiungono la possibilità di tenere in ordine e ripulire diversi scenari per guadagnare cuori (con cui pagare i “rullini”) e i contest online a tema per ottenere nuovi costumi da far indossare al piccolo eroe.
Conviene spendere due parole sulla qualità grafica del lavoro, che denota un’attenzione particolare nelle animazioni, sempre dolcissime e simpatiche, come da tradizione.
Il comparto sonoro pare invece meno curato rispetto al primo titolo della serie, in cui ogni passo di Chibi-Robo si trasformava in una nota che andava ad aggiungersi all’accompagnamento sonoro (sempre dolce, delicato, “nostalgico” e intonato alle atmosfere di gioco). Qui il lavoro musicale è ancora di buona qualità e svolge egregiamente il proprio compito, pur non risultando esattamente “memorabile”: la cura dei particolari che caratterizzava i primi capitoli è un po’ sfumata, ma il gioco non risulta certo fastidioso o spiacevole all’ascolto.
Dunque fotografia e videogioco si incontrano ancora (tra i tanti titoli che utilizzano o almeno “ammiccano” al medium fotografico, uno dei casi più interessanti e meno conosciuti è quello di Ohenro-San: Hosshin no Dojo – Pilgrimage per Gamecube, simulatore di pellegrinaggio religioso di cui potete trovare qui la mia recensione), in un titolo piacevole e capace di utilizzare con coscienza le specificità del mezzo che fu di Nadar.