Leggere di arti amputati e protesi meccaniche potrebbe portare a pensare che si stia parlando di un “serious game”, ma è bene chiarire subito che le cose non stanno così. Ampu-Tea è ciò che succede quando si mescolano Surgeon Simulator (fonte d’ispirazione dichiarata dagli stessi sviluppatori inglesi di ProjectorGames: va detto, però, che il qui presente Ampu-Tea ha migliorato notevolmente il sistema di controllo di Surgeon Simulator), Octodad e le “crane machine”, le macchine da sala giochi dotate di un “artiglio” collegato ad un braccio meccanico, appunto, (in)capace di raccogliere i premi e gli oggetti più disparati. Il tutto condito con l’autoironia degli autori, che prendono di mira uno dei simboli del proprio Paese d’origine, il tè.
Le dinamiche di gioco sono tanto semplici quanto “complesse”: in pratica il giocatore prende il controllo di una protesi meccanica del braccio sinistro, con visuale in soggettiva, per cercare di preparare il “tè perfetto”, a seconda della “ricetta” proposta. Può capitare di dover mettere due zollette di zucchero e di aggiungere più o meno latte, giusto per fare un paio di esempi. E qui viene il bello: il team di sviluppo si è concentrato soprattutto (e a ragione) sul sistema di controllo, in modo da renderlo accessibile e… Rotto. Normalmente questo sarebbe un guaio per qualsiasi videogioco, ma come ci hanno da poco insegnato gemme quali Octodad e Goat Simulator, l’imprecisione estrema e l’imperfezione possono diventare fantastici spunti di divertimento, al contrario di quanto si potrebbe pensare. Certo, per “divertire sbagliando” si devono fare le cose per bene, quasi paradossalmente, e ProjectorGames sembra aver imparato la lezione.
Octodad, si diceva, per la scelta di affidare il controllo dell’arto al mouse, che garantisce molta fluidità e per questo anche una certa imprecisione nei movimenti. Il trucco è mettere il giocatore a lavorare con oggetti molto piccoli e affidargli un sistema di controllo che funzioni bene sulle grandi distanze, ma sia praticamente inservibile sul corto-medio raggio. Ciò garantisce imprecazioni e scatti di collera, tanto che uno degli achievement del titolo recita “Sgombera il tavolo da ogni oggetto”. Ribaltare il tavolino da tè non è più un semplice modo di dire tanto caro a Miyamoto (a significare lo stravolgimento completo di un piano), ma una vera e propria necessità, uno sfogo contro la “macchina”, che sembra fare di tutto per prendersi gioco del malcapitato di turno. Umorismo inglese, ma fondato sulle meccaniche di gioco.
Il gioco, in realtà, presenta un’altra fonte d’ispirazione non dichiarata, e neppure tanto conosciuta: Dinner Date. Dal curioso titolo di Stout Games (in breve: l’interazione videoludica utilizzata per rendere il giocatore regista degli impercettibili tic quotidiani, legati magari all’attesa per un evento importante) Ampu-Tea riprende la possibilità di controllare tutte le dita di una mano attraverso gli appositi comandi su tastiera, come accadeva pure in Surgeon Simulator: ciò significa poter interagire con l’ambiente in modo fantasioso al di là delle richieste del gioco.
Per quanto riguarda l’ambiente, bisogna notare che lo scenario è stato costruito come una sorta di “arena” sospesa nel vuoto, dalla quale ci si può persino allontanare, per finire in un meraviglioso cielo azzurro oltre le ectoplasmatiche pareti di casa: l’ironia come chiave di lettura di un gioco che non dichiara il proprio auto-divertimento, ma lo lascia trasparire dai meccanismi d’interazione.
Dunque giocare ad Ampu-Tea significa scontrarsi continuamente con i limiti di una macchina, e di conseguenza con i propri limiti. Giocare ad Ampu-Tea vuol dire recuperare il divertimento dell’errore fine a se stesso: significa ridere di ciò che normalmente farebbe imbestialire, giocare con una categoria troppo spesso rimossa, bistrattata e dimenticata. L’entropia.
Beninteso: si può tranquillamente sostenere che ogni errore sia “giustificato” nell’economia di gioco (ad esempio le ombre degli oggetti sul tavolo proiettate sotto al tavolo stesso!), per le motivazioni di cui si è detto (il bug viene “risemantizzato” e riempito di senso), ma alcuni aspetti non perfettamente curati (si è già detto dell’attenzione richiesta per “sbagliare bene”…) risaltano proprio quando ci si pone nell’ottica richiesta dal gioco. Ne è un esempio il sonoro, di matrice chiaramente “octodadiana” e che manca misteriosamente del loop, elemento capace, da solo, di aggiungere quel gusto sadico che tanto si addice alla filosofia ludica “prova-sbaglia-riprova”. Il già citato Goat Simulator lo sa bene.
Detto ciò, Ampu-Tea è un gioco che per sua natura può non piacere a molti, proprio a causa di questo approccio tutto particolare alla “ludicità”, approccio che alcuni potrebbero scambiare per incompetenza, ma sa divertire e proporre, ad uno sguardo più attento, riflessioni non banali sulle specificità del mezzo videoludico.