Pubblicato il 14/05/18 da Neko Polpo

Shroud of the Avatar: Forsaken Virtues

Quando l'effetto-nostalgia non basta
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Un salto indietro negli anni ’90. È senza dubbio il modo più immediato ed efficace per descrivere Shroud of the Avatar: Forsaken Virtues. Agli appassionati di RPG multiplayer non sfuggiranno le analogie con il celebre MMORPG di Richard Garriott, Ultima Online, e in generale con la serie di videogiochi di Ultima, di cui Shroud of the Avatar è il successore spirituale; il gioco è stato infatti sviluppato, in seguito a una campagna di crowdfunding, proprio da Portalarium, la software house fondata da Garriott nel 2009. Bello! – penserete voi. Be’, non proprio.

Gli anni ’90, dicevamo. Sì, in questo gioco tutto ricorda l’atmosfera giocoruolistica che si respirava a cavallo degli ultimi anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. Tutto, ma proprio tutto, eh. A partire dal concept: epica avventura che ha come ambientazione un mondo fantasy popolato da elfi, maghi e altre creature fantastiche. Un mondo che il giocatore, nei panni dell’Avatar annunciato dalle profezie, sarà ovviamente chiamato a salvare. Ma anche le musiche (!), la grafica (!!) e il gameplay (!!!) sono pienamente imbevuti dello spirito dell’epoca.

Il problema è che la situazione è cambiata molto da allora, e il panorama dei RPG si è evoluto enormemente, mentre il concept di questo gioco è rimasto immutato, e il risultato è un’esperienza videoludica noiosa, inutilmente macchinosa, difficile, obsoleta. In breve: non è affatto divertente.

Vorrei spiegarvi cosa non mi è piaciuto del gioco, ma faccio prima a spiegarvi cosa mi è piaciuto: le artwork mostrate nei luuuunghi caricamenti da una mappa all’altra. E poi… Basta. Ahimè, poco altro.

Ora però vi racconto qualcosa del gioco nello specifico.

Partiamo dall’inizio, ossia dalla creazione del personaggio. Senza pretendere le eccellenze di character editing di MMO come Eve Online o Final Fantasy XIV, nel 2018 ci si aspetterebbe comunque una fase di creazione del personaggio decente. Invece no. La creazione del personaggio è sciatta, scarna, con poche opzioni di personalizzazione e con personaggi che, anche nel migliore dei casi, sono bruttini. Questo è dovuto in gran parte anche alla pessima grafica, di cui però parlerò più avanti.

…Ecco, appunto.

Il gameplay (mappe, combattimenti, albero di skill, sistema di crafting) è difficile da capire. Passerete le prime ore di gioco a domandarvi come cavolo si gioca, quel è lo scopo del gioco, cosa si deve fare; non si capisce niente, il ”tutorial” è pessimo e la guida al giocatore non è di grande utilità. Le mappe sono poco chiare, ma a essere opaco è soprattutto lo scopo del gioco. Cosa devo fare? Dove devo andare? Perché? Come ottengo nuovo equipaggiamento? Come livello? Come alzo le skill? Queste sono solo alcune delle domande che mi sono venute alla mente mentre giocavo nelle prime fasi.

L’esplorazione del mondo di gioco rispecchia lo stile degli open world, ma sembra molto fine a se stessa: ci si muove abbastanza a caso, si combattono i nemici che si incontrano altrettando a caso. Dopo poche, banalissime, noiosissime quest, tutte consistenti in “Vai lì e parla con lui”, la main story sembra interrompersi e non è più segnalata nel diario delle missioni. Non è facile capire come e dove ottenere quest secondarie, e soprattutto come e dove portarle a termine. Né il diario delle missioni, né le mappe aiutano molto; su queste ultime non sono segnate le quest, è difficile capire come muoversi da un luogo all’altro usando i teletrasporti (fondamentali, dal momento che il mondo da esplorare è vastissimo e ci si trova spesso costretti a percorrerlo a piedi). Pare che (espressione d’obbligo, dal momento che anche dopo molte ore di gioco non sono riuscita ad afferrare completamente questo aspetto) le aree esplorabili siano divise in zone da avventura – in cui si trovano nemici da affrontare e città – in cui il giocatore dovrebbe trovare mercanti, postazioni per il crafting, questgiver e quant’altro. Tutte queste aree sono collegate da una mappa globale molto vasta, in cui il movimento è più rapido.

La grafica, quella bella.

Il sistema di combattimento non è pessimo, e consiste nell’usare contro i nemici le abilità che il giocatore ha scelto ed equipaggiato. Ma proprio il sistema di skill, inutilmente complesso e perverso, rovina l’esperienza di combattimento e crafting. Le abilità sono disposte nei classici alberi e, per sbloccarne di nuove, bisogna acquistarle da un NPC (e fin qui è semplice) e levellare le precedenti: ma come? Per ogni abilità è impostabile uno stato che definisce se quell’abilità aumenta quando viene usata, se rimane “in pausa”, se spende punti per mantenere il livello attuale o se perde punti che finiscono nello skill pool per poi essere riutilizzati per aumentare altre abilità: mi rendo conto che la mia spiegazione sembra molto complicata, ma riflette appieno l’inutile complessità di questa meccanica. Come se non bastasse, alcune skill non sono semplicemente utilizzabili premendo un tasto, ma per essere usate richiedono la presenza di determinati oggetti o consumabili nell’inventario. Sempre a proposito del combattimento, segnalo che i loot dei nemici uccisi sono poco significativi per quanto riguarda l’equipaggiamento, mentre possono fornire materiali per il crafting e oro – la valuta di gioco.

Meglio i versanti gathering e crafting, invece. Raccogliere materiali è semplice e immediato, e potrete sfruttare tecniche diverse, ognuna corrispondente a una specifica abilità: ecco che possiamo estrarre minerali dalle rocce, raccogliere cotone, procurarci la legna abbattendo gli alberi e le pelli scuoiando gli animali uccisi. Questi materiali, insieme ad altri acquistabili o ottenibili tramite loot, verranno poi usati per creare svariati tipi di oggetti: armature, armi, pozioni, ecc.

La modalità di interazione con i vari NPC è basata sul fatto che il giocatore può digitare una parola chiave o sceglierne una tra quelle proposte, decidendo così gli argomenti della conversazione: l’impressione iniziale è quella di una grande varietà, ma anche questa meccanica si rivela presto noiosa e, soprattutto, totalmente ininfluente ai fini dell’andamento del dialogo e della storia in generale.

Il combat system si salva. Parzialmente.

E il multiplayer? Mah… C’è possibilità di interagire con gli altri giocatori, sì. Dai giocatori uccisi si possono lootare vari oggetti dell’inventario, ma non (giustamente), gli oggetti speciali o acquistati con valuta reale. Tuttavia, in generale, l’esperienza multigiocatore è poco significativa.

Ora veniamo alle caratteristiche tecniche, altra nota dolente (dolentissima!) di questo gioco. Il comparto audio si salva grazie a musiche fantasy nella media. La grafica, invece, è un mezzo disastro sotto molti punti di vista. Come ho già accennato, promosse a pieni voti le artwork che vengono mostrate durante le schermate di caricamento tra una mappa e l’altra, pur con la consapevolezza che rappresentino, però, un aspetto secondario del gioco. Promossi i paesaggi, suggestivi e ben realizzati, soprattutto in alcuni contesti (la resa dell’effetto dell’acqua, i colori del cielo in momenti come l’alba e il tramonto). Ampiamente bocciati i dettagli naturali (fogliame, terreno, geometria 3D degli edifici) e soprattutto i personaggi: questi ultimi, in particolare, si caratterizzano per un aspetto davvero orribile, poco curato e poco dettagliato. Gli NPC presentano fisionomia e abbigliamento quasi tutti uguali, compresi quelli più importanti; i visi sono semplicemente brutti, modellati male, sgradevoli a vedersi… Usciti direttamente dagli anni ’90, appunto.

Se il gameplay si può giustificare come una (discutibile) scelta voluta, un romantico rimando agli anni ’90, resta il fatto che almeno sotto l’aspetto tecnico si poteva (e si doveva!) fare di più, e soprattutto fare meglio. Siamo ormai circondati di titoli che costituiscono sequel, prequel, spin-off, remaster, nuovi capitoli di serie di giochi molto vecchi, e molti di questi ci dimostrano che è possibile “citare” il passato adeguandolo ai mezzi tecnici e alla sensibilità narrativa e di gameplay moderna: questo è esattamente quello che non fa Shroud of the Avatar. L’impressione generale, come avrete già capito, è quella di giocare a un gioco degli anni ’90: non un rifacimento, in chiave moderna e migliorata, di un gioco degli anni ’90, proprio un gioco degli anni ’90!

Consigliato? …Be’, se siete fan dei lavori di Richard Garriott, per completezza, potete anche passare qualche ora in compagnia di Shroud of the Avatar. Altrimenti, lasciate perdere.

  • Artwork

 

  • Gameplay obsoleto e macchinoso
  • Grafica non all’altezza del 2018
  • Quest confuse

Richard Garriott

NekoPolpo - Biografia

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