È indubbio che il Paese del Sol Levante, nella stragrande maggioranza delle situazioni, venga dipinto come un mondo a parte, un piccolo universo idilliaco e privo di malevolenza, una società dalla prassi restrittiva, fautrice di una cultura tramandatasi di generazione in generazione e simbolo di tradizioni famose in tutto il mondo.
O quantomeno questa è l’immagine formatasi nella mente di coloro che seguono il tutto in modo marginale, attraverso medium di origine nipponica come anime, manga e videogiochi, prodotti che contribuiscono al proliferare di fan tanto numerosi, quanto superficiali e ai quali il director Katsura Hashino ha voluto spiegare, nel modo più bello possibile, il basilare concetto del “non è tutto oro quel che luccica”.
Se infatti è vero che il Giappone è un paese dalle forti tradizioni, è altresì innegabile di come queste si ripercuotano sui giovani, succubi del peso derivante dalle responsabilità delle generazioni precedenti e costretti a vivere in una civiltà marcia fino al midollo che affonda le proprie radici nella ricerca smodata dello status sociale, del mero apparire piuttosto che essere.
Proprio su queste basi si appoggia la trama di Persona 5: il protagonista – a cui dovremo dare un nome – viene mandato in affidamento al proprietario di un bar a Tokyo per scontare un periodo di libertà vigilata. Il crimine di cui si è macchiato è stato difendere una ragazza dal suo aggressore, che però era un uomo influente in grado di comprare il silenzio della vittima e far arrestare il nostro alter ego al suo posto.
I suoi genitori quindi, per mantenere la faccia, decidono di spedire il figlio a studiare in una scuola di periferia in cui, proprio grazie alla fedina penale appena guadagnata, viene malvisto dal resto del corpo studentesco.
Tutto sembra procedere nel peggiore dei modi, fin quando il nostro protagonista non scopre di avere una misteriosa applicazione installata nel telefono, che si scoprirà poi essere necessaria ad accedere al Metaverse: una dimensione parallela in cui i desideri più intimi delle persone prendono forma concreta e i più corrotti diventano Palazzi, ossia enormi edifici rappresentanti il modo in cui determinati individui vedono il mondo.
E così un insegnante che, grazie alle sue macchinazioni, tiene in pugno la scuola, vede quest’ultima come un castello in cui egli è il re; mentre un noto esponente della malavita specializzato in estorsioni, vede l’intera città come un campo da cui raccogliere denaro e i suoi cittadini come bancomat antropomorfi.

Sempre nel Metaverse, il protagonista incontrerà Morgana, una creatura molto particolare dalle sembianze feline, che gli spiegherà come funzionano le cose lì: rubando il tesoro custodito nelle profondità di un Palazzo, è possibile cambiare totalmente la personalità di un individuo, spingendolo a pentirsi e confessare i propri crimini.
Nasce così la banda dei Phantom Thieves (ladri fantasma), capitanata dal giocatore e formata dagli splendidi personaggi che s’incontrano nel corso dell’avventura, tutti in grado di utilizzare il potere dei Persona, ossia manifestazioni della psiche di un individuo che, nella sopracitata dimensione, assumono la forma di creature – provenienti dal folclore mondiale – da evocare in combattimento per utilizzarne le svariate abilità.
Il tran-tran tipico dello studente giapponese si trasforma quindi in una corsa contro il tempo volta a cambiare il cuore del cattivone di turno nella speranza di correggere un mondo ormai allo sbando, in una struttura di gioco estremamente profonda e articolata, che amalgama ognuna delle sue componenti come e meglio che in passato, fornendo al giocatore un’esperienza ludica di tutto rispetto, corredata da una narrativa di spessore dalle forti tematiche, tra cui la violenza sessuale su minori, lo spaccio di sostanze stupefacenti e, più in generale, la corruzione celata dai sorrisi di una società che, dietro una maschera, piange lacrime amare.
La trama di Persona 5 è probabilmente una delle migliori mai scritte negli ultimi anni in ambito videoludico e, sebbene non tutti i colpi di scena siano così imprevedibili, finirete nel restare col fiato sospeso in più di un’occasione.
Stesso dicasi per i personaggi: ostentanti una caratterizzazione esemplare, riescono a distaccarsi in modo netto dagli stereotipi tipici del genere a cui gli stilemi del medium nipponico ci hanno abituato nel corso degli anni.
Ognuno di essi, siano membri del party o “semplici” Confidant (vi spiegherò più avanti), ha una storia da raccontare, un problema da risolvere, un modo diverso di interagire col giocatore e tanti segreti da svelare.
In questo senso, il titolo Atlus “sa di vecchio”: abituati, seppur a malavoglia, a produzioni stracolme di contenuti ottenibili solo pagando con moneta reale, una volta tanto fa piacere avere tra le mani del materiale che si sblocca solo e soltanto giocando.
Certo, anche Persona 5 ha i suoi DLC, ma questi si limitano a una manciata di orpelli come costumi addizionali e poco altro, mentre i più importanti come il livello di difficoltà Merciless e la traccia audio per il doppiaggio in giapponese sono completamente gratuiti.

Superate le prime ore che fungono da introduzione – fortunatamente ci si impiega molto meno rispetto a Persona 4 – e acquisito il pieno controllo del personaggio principale, si è pronti a iniziare un anno di duplice vita nell’affollata Tokyo: come nei due capitoli precedenti, il gameplay si suddivide in due fasi ben distinte, ossia la vita di tutti i giorni nel mondo reale e l’esplorazione dei dungeon nel Metaverse.
Infatti, dal terzo titolo in poi, il progredire dell’avventura viene scandito in giorni e, ad eccezione per le giornate impegnate negli eventi della trama principale, a seconda della stagione avremo più o meno scelta sul come spendere il nostro tempo libero.
Attività come studiare, uscire con gli amici, lavorare part-time rappresentano solo alcune delle possibilità offerte dal ventaglio che pian piano si apre dinnanzi al giocatore che, se neofita, potrebbe facilmente ritrovarsi spiazzato.
Fortunatamente in suo aiuto accorre Morgana, che da un certo punto del gioco potrà seguirlo costantemente sotto forma di loquace felino intento a spiegare il funzionamento delle suddette attività e sopratutto quali delle cinque statistiche sociali ne beneficiano (carisma, coraggio, conoscenza, competenza e gentilezza).
Tornano infatti i Social Link, qui rinominati Confidant: interagendo con determinati npc è possibile iniziare a frequentarli (anche fino ad arrivare al romance) e man mano svelare la loro storia, aumentando il livello di Arcana – leggete più sotto – e sbloccando bonus utili alla bisogna.
In ogni caso, qualsiasi cosa decidiate di fare, sappiate che questa consuma parzialmente o completamente la giornata, rimandandovi al giorno successivo una volta esaurito il tempo a disposizione. La gestione del calendario diventa quindi un fattore importante per la buona riuscita dei vostri propositi, costringendovi a organizzare le vostre giornate un po’ come fareste nella vita fuori dallo schermo, specialmente in vista di festività o eventi particolari.
Un esempio di come tutto ciò s’intreccia? Per ingraziarsi una famosa giocatrice di shogi e iniziare così a frequentarla, sarà necessario un determinato grado di Charm, parametro incrementabile lavorando in un bar e chiacchierando con i clienti. Una volta fatta la sua conoscenza, ci insegnerà alcune tattiche utili del suo gioco preferito, che nel Metaverse si tradurranno nella possibilità di scambiare i membri del party attivi con quelli in panchina nel bel mezzo della battaglia.
E di battaglie ce ne sono tante, tantissime, perché ricordiamolo, Persona 5 non è soltanto relazioni interpersonali e giornate passate sui libri, ma è anche esplorazione e scoperta dei Palazzi: dungeon lunghissimi da rivoltare come calzini nella ricerca del tesoro da rubare. E perché no, anche di qualche succoso extra.

Proprio i suddetti dungeon sono piccoli capolavori di level design: lunghi, articolati e pieni zeppi di enigmi stimolanti, rappresentano un enorme passo avanti rispetto ai corridoi dei due predecessori e risultano sempre coerenti con sé stessi.
Non aspettatevi quindi di far breccia nel caveau di una banca senza prima aver disattivato un complesso sistema di sicurezza, oppure preparatevi a giocarvi il tutto per tutto in un Casinò unicamente munito di macchinette truccate.
Ogni stanza, dislivello o perfino parete trasuda una cura maniacale nella caratterizzazione di un mondo distorto visto con gli occhi dei diretti interessati e ciò affascina chi, come il sottoscritto, si lascia catturare dai piccoli dettagli sparsi qua e là dagli sviluppatori.
D’altronde la piena consapevolezza dell’ambiente circostante è d’importanza vitale, poiché alla base di una delle nuove meccaniche introdotte in P5, ovvero lo stealth: ricordiamo che il party è un gruppo di ladri e deve fare della furtività il proprio pane quotidiano, indi per cui è altamente sconsigliato ingaggiare frontalmente i nemici di guardia, pena l’incremento di un livello di d’allarme che, al suo culmine, ci impedirà di continuare l’esplorazione.
È quindi possibile cogliere di sorpresa le “guardie” prendendole alle spalle, dall’alto o perfino da dietro gli angoli, seppur in quest’ultimo caso emerga una delle problematiche di tale sistema: lo spostamento da una copertura all’altra non sempre risulta preciso, costringendovi ad uscire allo scoperto per raggiungere determinati punti e rischiando così di venir sorpresi nel bel mezzo dell’azione.
Va detto che comunque non si tratta di uno stealth vero e proprio, vista la povertà di approcci disponibili e l’intelligenza deficitaria degli avversari, ma risulta in ogni caso un piacevole diversivo rispetto a quanto offerto dal JRPG medio.
È solo una volta ingaggiata una delle creature però, che ci si ritrova al cospetto della punta di diamante del titolo: il battle system, rigorosamente a turni, è probabilmente il migliore che si sia mai visto nell’attuale generazione.
Tralasciando gli elementi in comune con altri esponenti del genere (chi è più veloce attacca per primo, gli attacchi possono essere fisici o magici e così via), il fulcro del sistema risiede nella meccanica denominata “1 More“: sfruttando le debolezze altrui o infliggendo colpi critici, è possibile mandare gli avversari al tappeto e guadagnare un turno aggiuntivo da sfruttare per ulteriori azioni, ma ciò vale anche per il vostro nemico, sempre pronto a trasformare la più piccola disattenzione in un rovinoso party wipe.

Mandati K.O. tutti i malcapitati di turno, si entra in fase di Hold Up, durante la quale sarà possibile fare piazza pulita tramite un potentissimo All-Out Attack, oppure negoziare con gli avversari per ottenere oggetti aggiuntivi, denaro o aggiungerli al proprio roster di Persona, previa risposta corretta alle loro domande, un po’ come succedeva nei primi titoli della serie da cui questo quinto capitolo prende più di un elemento (tornano le bocche da fuoco come armi secondarie e le magie di tipo Psychokinesis e Nuclear).
Ricordate cosa ho scritto sopra? I Persona sono manifestazioni della personalità e siccome il protagonista rappresenta il giocatore, avrà la possibilità di immagazzinarne più di uno e fonderli tra loro per crearne di più potenti, tramite la consueta Velvet Room, una dimensione parallela a cui solo egli potrà accedere e in cui risiede una vecchia conoscenza tanto cara -o quasi- ai cultori della serie.
E qui entrano in gioco i livelli di Arcana menzionati in precedenza: ogni Persona creato tramite fusione riceverà più o meno punti esperienza bonus a seconda del rank che si ha col relativo Confidant, rendendo fondamentali le relazioni con gli npc se si vuole sfruttare appieno questa meccanica.
Immancabile inoltre la presenza di alcune quest secondarie, le quali si svolgono tutte nel Mementos: trattasi di un Palazzo collettivo che altri non è che un dungeon strutturato a piani generati casualmente, la cui difficoltà aumenta con l’avanzare in profondità. Ottima fonte di grinding, si rivela piuttosto ripetitivo sul lungo andare e forse l’elemento più debole dell’intera produzione, ma un male necessario per raggiungere il vero finale del gioco. Uomo avvisato…

Seppur consci della sua natura cross-gen, è impossibile non notare qualche discrepanza tra il comparto tecnico e quello stilistico, specie quando fanno capolino delle texture in bassa risoluzione e si denota una mole poligonale non proprio generosa, elementi su cui personalmente mi sento di voler chiudere un occhio in favore dell’eccezionale veste grafica di cui il JRPG Atlus si fregia: partendo dai bellissimi disegni di Shigenori Soejima, non si può che rimanere estasiati di fronte alla geniale impostazione visiva di menu e interfaccia, al punto tale che qualsiasi transizione tra un’azione e l’altra risulta un piacere per gli occhi mentre il gioco ci scorre davanti senza soluzione di continuità.
Ottima da vedere anche Tokyo: siano interni o esterni, le microaree, da cui ci si sposta rapidamente tramite un pratico menu, sono fedeli alle controparti reali e ricche di dettagli che aiutano a rendere “vivo” il tutto.
E la componente sonora non è da meno, potendo vantare un’ottima qualità di entrambi i doppiaggi (inglese e giapponese) e una mastodontica colonna sonora acid jazz a opera del sempreverde Shoji Meguro, destinata a entrarvi in testa prepotentemente.
Tirando le somme, Persona 5 è un gioco che, data la sua verbosità, può risultare quasi logorroico e quindi inadatto a chi cerca un’esperienza più immediata e meno story-driven: la mole di dialoghi potrebbe scoraggiare chi per la prima volta si avvicina al brand e in questo senso, la mancata localizzazione in italiano non aiuta.
Invece, nel caso in cui non facciate parte della suddetta cerchia, vi aspetta un titolo eccezionale sotto tutti gli aspetti, una lettera d’amore e d’incoraggiamento verso quella gioventù che ha mollato le redini del proprio futuro, un’avventura dalla longevità spropositata che vi terrà incollati allo schermo dall’inizio alla fine e capace senza troppa fatica -perdonate la banalità- di rubarvi il cuore.
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