Pubblicato il 11/11/17 da Riccardo Trillocco

Hob

Un guanto salverà il mondo
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Nata dalle ceneri di Blizzard North e Flagship Studios nel 2008, Runic Games con Hob punta alla definitiva ascesa al pantheon degli sviluppatori indipendenti, forte anche del buon successo di pubblico e critica ottenuto con l’accoppiata di dungeon crawler Torchlight (2009) e Torchlight 2 (2012).

Anticipato da un prologo rilasciato sotto forma di fumetto digitaleHob è una delicata fiaba interattiva ambientata in un mondo un tempo rigoglioso, ma ora sull’orlo del collasso a causa di una tremenda piaga, la quale sta lentamente annichilendo il suo intero ecosistema. Risvegliato da uno dei numerosi guardiani/manutentori delle aree ancora non corrotte dall’epidemia, il protagonista avrà l’ingrato compito di restaurare l’antico splendore, debellando nel contempo la nefasta infezione.

Ad aiutarlo nell’impresa, almeno inizialmente, sarà il suddetto guardiano, utile nel mostrare al nostro eroe il percorso da seguire. Ben presto, però, un evento traumatico costringerà il duo a separarsi, ma il male non sempre finisce per nuocere, visto che, a causa di questo inconveniente, il protagonista entrerà in possesso del suo strumento principale, un guanto dai numerosi poteri. Grazie alla sua nuova appendice, il piccolo eroe potrà farsi strada rompendo muri, teletrasportandosi attraverso determinate piattaforme e agganciandosi a dei particolari appigli, oltre che assestando qualche bel cazzottone sul grugno del cattivo di turno. Per avanzare attraverso la folta vegetazione che lo circonda, concimandola di tanto in tanto con le interiora di qualche sventurato nemico, l’eroe senza nome avrà a disposizione anche una spada, inizialmente dalle dimensioni esigue, ma potenziabile depredando i resti degli sventurati che ci hanno preceduto, perdendo la vita nel tentativo.

Maledetto guardiano, non potevi lasciarmi dormire?

Pad alla mano Hob è estremamente vario e appagante. Un osservatore distratto potrebbe scambiarlo per un emulo di Zelda, a causa dello stile grafico, con quel leggero toon-shading che fa un po’ Wind Waker, e del protagonista, vestito con un mantello e con la deprecabile tendenza ad affettare siepi e cespugli. Niente di più sbagliato: in Hob si possono sì notare delle influenze (su tutte quella delle opere di Fumito Ueda), ma il gioco è dotato di un’identita propria e di un carisma che lo fanno spiccare tra la miriade di uscite alle quali siamo abituati. Questa identità è data innanzitutto dal ritmo di gioco, semplicemente perfetto. Nonostante siano presenti enigmi ambientali, combattimenti e saltuarie fasi platform, la maestria del team di sviluppo è stata tale che, nelle undici ore che ho impiegato per portare a termine la storia, non ci sia stato un secondo di noia, o un momento in cui mi sia fermato chiedendomi il da farsi. I singoli enigmi sono integrati così bene nel tessuto di gioco da scorrere via lisci e piacevoli, la sfida è sempre giusta e soddisfacente, la difficoltà è calibrata alla perfezione. La ricerca dei collezionabili è complementare sia al gameplay che alla narrazione. Ognuno di essi, inoltre, apporta consistenti benefici alla crescita del personaggio, che sia un pezzo di cuore (ancora “ciao Zelda!”), una nuova mossa da usare in combattimento, dei semplici punti esperienza e così via. Sulla progressione del personaggio vale la pena spendere due parole in più: il protagonista non sale di livello come accade in molti altri giochi di questo genere, bensì, per farlo progredire, dovremo accedere a un’area specifica, una sorta di fucina, comodamente raggiungibile con un sistema di teletrasporto. Qua potremo spendere i punti esperienza acquisiti per comprare nuove mosse, indossare costumi alternativi (i quali apportano benefici ad alcune caratteristiche, ma ne peggiorano altre) e allungare la nostra spada fondendo le altre trovate lungo il cammino.

La fucina. Le tubature a vista danno un tono all’ambiente.

La coerenza e l’integrità che rendono questo gioco così speciale sono accentuate da numerosi, piccoli dettagli. Per aiutarvi a capire di cosa sto parlando, credo sia utile raccontarvi uno dei miei primi contatti con il ricco universo di Hob. Quando ancora non sapevo che alcune delle creature che si aggirano per la mappa sono di indole pacifica e socievole, ne ho attaccato un esemplare, uccidendolo; da quel momento, tutti i suoi simili si sono tenuti alla larga da quella regione del territorio, dandosi per di più alla fuga ogni volta che ho provato ad avvicinarli. Tra le altre trovate che ho apprezzato, devo ricordare anche la possibilità di tagliare con la spada porzioni della vegetazione, le quali rimarranno recise per tutto l’arco della partita, consentendoci di sfruttarle come punto di riferimento durante i nostri vagabondaggi. Anche alcuni semplici comportamenti dei nemici, ad esempio il fatto che si percuotano il petto in segno di esultanza dopo averci sconfitto, aiutano a rendere il mondo più vibrante e realistico. Ora credo che sia più facile comprendere come, mediante questi e moltissimi altri piccoli tocchi di classe, gli sviluppatori abbiano saputo aumentare l’immersione del giocatore in un mondo sì fantasy, ma allo stesso tempo credibile e “vivo”.

La cura certosina con cui è stato confezionato Hob emerge anche dall’uso della palette cromatica. Il verde che domina la maggior parte dell’area di gioco viene mantenuto tale dai guardiani, attraverso l’uso di una tecnologia particolare, una sorta di “elettricità magica” caratterizzata da uno smodato uso del rame. Infatti i guardiani hanno in loro sia il verde che il color rame, che invece nel mondo di gioco è presente in tutte le aree dove questa tecnologia è predominante. La minaccia che dovremo debellare è invece caratterizzata da un viola accesissimo, subito riconoscibile. Attraverso l’uso di questi tre colori riusciremo sempre a districarci facilmente, sia nella consultazione della mappa che nell’esplorazione del mondo circostante. Man mano che debelleremo la minaccia, il mondo tornerà al verde, aprendoci al contempo nuovi passaggi che ci consentiranno di accedere ad aree precedentemente precluse. C’è quindi del backtracking, ma non arriva mai a essere fastidioso, grazie anche al comodo sistema di teletrasporto.

Parlavamo in precedenza dei guardiani, manutentori anonimi di un mondo in rovina. Spesso, per raggiungere alcune aree, il nostro protagonista dovrà addentrarsi nel loro territorio, e questi passaggi, a livello di gameplay, differiscono leggermente dal resto del gioco. Sono dei piccoli dungeon, dove, rispetto alla superficie, la presenza dei nemici è accentuata e gli enigmi si concentrano più sulla tecnologia. Queste aree contribuiscono alla sensazione di coerenza di cui parlavo prima, e infatti, dopo averle “risolte”, la parte di mondo sotterranea verrà alla luce, unendosi al resto della superficie. Questo è un tratto distintivo di tutta la produzione: l’universo di gioco è stratificato, ma mobile, quasi fosse una sorta di cubo di Rubik, e, progredendo nell’avventura, tornerà ad amalgamarsi grazie alle azioni del protagonista. Tale aspetto valorizza e glorifica il level design, riportando alla mente i Souls del maestro Miyazaki. È un vero e proprio piacere vedere due porzioni della mappa, in apparenza divise inesorabilmente, tornare coese grazie ai nostri sforzi.

Uno dei dungeon. Sembra complesso, ma non lo è

Ci sarebbe moltissimo altro da dire su Hob, a partire dalla narrazione, totalmente silenziosa. Infatti, nonostante non venga pronunciata una singola parola nell’arco di tutta l’avventura, la storia è avvincente e di facile lettura. Sia come tono che come tematiche siamo dalle parti delle fiabe nordiche e, videoludicamente parlando, l’esempio più prossimo è quello di Brothers: A Tale of Two Sons, non a caso un punto di riferimento nel settore. Un plauso è d’obbligo anche per il design e la realizzazione della mappa, tanto bella da vedere quanto facile da consultare. Un ulteriore elogio va tributato ai controlli — intuitivi, precisi e reattivi — e alla colonna sonora, perfetto accompagnamento all’atmosfera fiabesca del titolo.

Siamo di fronte al gioco perfetto, quindi? Purtroppo la risposta è no. Ci sono alcuni difetti, anche piuttosto gravi, tutti concernenti l’aspetto tecnico del gioco. Quello più pesante affligge il framerate. Nonostante sia su PS4 che su PC si sia ormai giunti all’update 1.15, Hob presenta ancora dei rallentamenti assurdi, che per la maggior parte si verificano in situazioni con molti nemici o, in maniera ancora più accentuata, quando si indossano i costumi alternativi (tanto che, personalmente, ho desistito dopo pochi minuti dallo sfoggiarli). Durante la mia prova, svoltasi interamente su PS4 Pro, sono andato incontro anche ad alcuni crash, verificatisi per la maggior parte contestualmente all’uso del teletrasporto. Un altro elemento che potrebbe non piacere a tutti è la scelta di adottare inquadrature fisse. La telecamera è quasi sempre posizionata in maniera ottimale e, per agevolare il gameplay, gli elementi che potrebbero intralciarla sfumano in un piacevole effetto trasparenza; non nego, però, di essere incappato in qualche morte accidentale dovuta all’errata percezione degli effetti prospettici.

Le inquadrature fisse regalano anche scorci notevoli

Tirando le somme, considero Hob un gioco riuscitissimo, uno dei gioielli più brillanti tra quelli forgiati recentemente dagli sviluppatori indipendenti, capace di consacrare ancor di più il 2017 come un anno di grazia per noi appassionati di videogiochi. L’atmosfera senza tempo, il level design certosino, la curva di difficoltà calibrata alla perfezione: tutti questi elementi concorrono nel creare un’esperienza memorabile, adatta a qualsiasi tipologia di videogiocatore. I piccoli inciampi a livello tecnico non ne inficiano la fruibilità, e molto probabilmente verranno risolti con nuovi aggiornamenti. Tenuto conto del prezzo di lancio (19,99 €) e vista anche la buona longevità, sarebbe decisamente un delitto lasciarselo scappare.

ritmo di gioco

level design

caratterizzazione dei nemici

collezionabili intriganti

  • Mai noioso
  • Artisticamente notevole
  • Impegnativo al punto giusto
  • Storia affascinante

 

  • Qualche inciampino tecnico

Aggiornamento del 3 novembre 2017: con una nota pubblicata sul sito ufficiale Marsh Lefler, Studio Head di Runic Games, ha annunciato la chiusura della software house. Riporto questa notizia con immenso dispiacere, e auguro ai talentuosi membri del team di trovare al più presto una nuova sistemazione lavorativa.

trillo81 - Biografia

È passato da Basketball per Atari 2600 al 4K HDR in soli 38 anni. Crede che il gioco più bello sia sempre quello che deve ancora iniziare ed è fermamente convinto che, come tutte le tendenze transitorie del web, le biografie in terza persona siano destinate a sparire. Aiutatelo ad azzeccare questa profezia iniziando col non leggere la sua.

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