Lo so: Pandemic Legacy ha già qualche anno sulle spalle – tre per la precisione – eppure la storia delle modalità in cui sono riuscito a giocarci è stata un po’ travagliata. Lo regalai proprio tre anni fa alla mia compagna, per il suo compleanno, lei che è una grande estimatrice di Pandemic in generale. Sull’onda dell’entusiasmo iniziammo la prima partita in gennaio, poche settimane dopo il suo arrivo. Al tavolo sedevamo solo noi due e ci accorgemmo subito che il gioco – che nominalmente è da due a quattro giocatori – in meno di quattro persone non avrebbe reso proprio per niente. Accantonatolo da una parte, nell’attesa di trovare un gruppo stabile con il quale portarlo avanti, ci sono voluti altri due anni prima di poterlo riprendere e portarlo così a termine.
Abbiamo ricominciato la campagna di Pandemic Legacy a settembre del 2017 e, dai due che eravamo all’inizio, il gruppo è cresciuto, superando i quattro giocatori consigliati dalla scatola. In cinque – ma due in realtà giocavano insieme – abbiamo affrontato la malattia dilagante, assistendo pian piano alla rovina del mondo che non sempre le nostre azioni riuscivano a tenere al riparo da virus e infetti.

La campagna è durata cinque mesi – terminata a metà gennaio 2018 – e ci ha regalato diverse sessioni (sedici, per l’esattezza) di gioie e dolori, colpi di scena e tensione, insomma per farla breve, di divertimento a tutto tondo. Contrariamente al suo genitore Pandemic, Pandemic Legacy – per chi non lo sapesse – ti dà la possibilità di simulare la lotta a una pandemia globale nell’arco di 365 giorni. Ciascuna partita rappresenta un mese dell’anno o, per essere più precisi, quindici giorni di ciascun mese dell’anno: ogni mese può essere rigiocato fino a un massimo di due volte, nel caso in cui si perda la prima partita del mese. Per cui si giocano prima le prime due settimane, poi in caso di sconfitta le ultime due.
Al mio gruppo è andata piuttosto bene, se si escludono gennaio e novembre, entrambi persi due volte ciascuno, e luglio, settembre e dicembre – persi al primo, ma vinti al secondo tentativo – tutte le altre partite sono state vinte al primo colpo. Il problema, però, è che perdere una partita può voler dire cose molto brutte per il tabellone, che nel corso delle sessioni vedevamo riempirsi sempre di più di adesivi, devastante testimonianza dei nostri fallimenti.

A volte ci siamo trovati a fare meri calcoli utilitaristici: “Conviene vincere una partita la cui vittoria potrebbe significare sforzi talmente grandi e problematici da peggiorare la situazione?” In questi casi, spesso, la risposta è stata un secco no, per cui ci siamo concentrati nel portare avanti obiettivi che sull’immediato non ci sarebbero serviti, ma nelle partite successive ci avrebbero fornito un bel vantaggio. In ogni mese di Pandemic Legacy, infatti, i giocatori dovranno portare a termine un certo numero di obiettivi – in numero variabile tra due e tre – che ovviamente non sono sempre gli stessi, ma che man mano che la storia prosegue e le azioni dei giocatori/personaggi si ripercuotono sul planisfero cambiano, si aggiungono o vengono rimossi. Alcuni sono vere e proprie spine nel fianco e – senza scendere nei dettagli, per evitare spoiler – uno in particolare ci ha dato del filo da torcere nel mese di settembre, al punto che abbiamo deciso di non perseguirlo più, dedicandoci piuttosto ad altri più abbordabili e forse pressanti.
Giocare l’ultimo mese di Pandemic Legacy è stata una sorta di liberazione. Non sono mancate le discussioni al tavolo su quale fosse il migliore corso d’azione in determinate situazioni e, quando si arrivava finalmente a una decisione, accorgersi della sua natura totalmente fallimentare non ha lesinato frustrazioni varie. Spesso le decisioni venivano prese sull’onda del mero calcolo probabilistico: “Se esce l’Epidemia e peschiamo Baghdad dal mazzo di contaminazione, potremmo perdere” “Sì, ma è improbabile. Dovremmo incorrere nella sfortuna più nera, visto che ci sono dieci carte a terra“. Ovviamente, quando la prima carta pescata dal mazzo di contaminazione si rivelava proprio Baghdad le strategie andavano a farsi friggere, spesso comportando la sconfitta o la vittoria sul filo del rasoio, ma a carissimo prezzo.
Insomma, alla fine della fiera, Pandemic Legacy non è solo un gioco: è un’esperienza. Non capita spesso di sedersi a un tavolo intorno a un boardgame e alzarsi con in corpo un turbinio di sensazioni contrastanti, ma che comunque ti fanno sentire bene, ti danno l’impressione di aver trascorso il tempo facendo qualcosa di interessante, quasi catartico. È quel tipo di meraviglia che ti può lasciare un bel libro, o un bel film, o un videogame di un certo livello, ma nel mondo dei giochi da tavolo è difficile trovare titoli di pari intensità.

Messa la parola fine all’avventura, con un mondo in rovina e la cura trovata a caro prezzo, una volta rimesso tutto nella scatola – questa volta definitivamente – siamo rimasti con un senso di vuoto, in qualche modo orfani. Per fortuna che a fine ottobre – probabilmente in concomitanza con il Lucca Comics & Games – Asmodee pubblicherà la Season 2 di Pandemic Legacy, che dalle prime immagini si preannuncia spettacolare. Il gioco sarà ambientato settant’anni dopo un disastro che ha sconvolto il pianeta, il tabellone mostrerà solo alcune aree del planisfero, e immagino che nel corso della partita se ne riveleranno altre, anche se qualcosa mi dice che nel momento stesso in cui lo faremo vorremmo non averlo mai fatto.
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