Continua la nostra serie di interviste a case di sviluppo indipendenti, oggi siamo con Paolo Di Capua e Antonio d’Angelo, rispettivamente Founder & Game Director e Strategist & Business Developer di Stranogene!
Cosa vi contraddistingue? Cos’è Stranogene?
Paolo Di Capua: Allora, comincio io e poi, se Antonio vuole integrare, sarà libero di farlo. Stranogene è nata circa due anni e mezzo fa, grazie all’incontro con Annamaria Schena, che oggi è amministratore delegato. Vengo da un background informatico e ho lavorato per molti anni nel settore.
Negli ultimi 10 anni mi sono occupato di sviluppo di videogiochi. Un’esperienza importante che ho avuto qualche anno fa è stata a Napoli, dove insieme a un team di 30 professionisti ho realizzato un progetto per il museo ‘Corporea’ presso Città della Scienza. Si tratta del più grande museo digitale interattivo in Europa, dedicato al corpo umano. In questo museo, abbiamo creato cinque videogiochi, inseriti tra le 120 installazioni interattive, con lo scopo di insegnare concetti scientifici, tutti validati da enti esterni, come il MuSe di Trento.
Durante questo progetto mi è venuto un dubbio: perché non cercare di sviluppare un prodotto che possa erogare contenuti educativi attraverso il medium del videogioco, che io amo da quando avevo sei anni?
Ho iniziato a pensare di fare qualcosa di più, al di là dell’aspetto museale. Nei 20 anni di esperienza, ho realizzato diversi videogiochi, quindi l’idea di Stranogene è nata proprio da lì.
Quando ho cercato investitori, però, non ho trovato supporto, visto che in Italia il settore dei videogiochi è visto con indifferenza. Poi, sono arrivato a Villa delle Ginestre, una struttura che la mia socia gestisce da tempo e che opera in ambito sanitario. Annamaria ha creduto subito nella mia proposta e, dopo pochi mesi, eravamo dal notaio a fondare la nostra startup.
L’idea di Stranogene era quella di sviluppare giochi educativi, ma negli ultimi mesi abbiamo cambiato leggermente questa idea. Inizialmente pensavamo a giochi di tipo tradizionale, come card game e board game, e avevamo anche intenzione di esplorare l’ambito cinematografico. Tuttavia, il settore è molto complesso, quindi oggi stiamo concentrando il nostro lavoro sul videogioco vero e proprio, sempre più con un carattere educativo e divulgativo.
Attualmente, abbiamo due progetti principali: CODERINO e Stranoverse. Quest’ultimo è un ecosistema di microgame pensato per bambini dai 4 agli 11 anni. Nonostante le difficoltà del panorama italiano, che è ancora poco sviluppato in questo settore, siamo determinati a completare questi progetti. Vogliamo creare giochi con contenuti significativi e tematiche originali, mantenendo sempre una forte componente educativa. Il team di Stranogene è ampio e multidisciplinare. Oltre agli sviluppatori, abbiamo esperti in psicologia, neuropsicologia, business development, e vari professionisti che si occupano dell’aspetto creativo: 2d artist, 3d Artist, animatori, compositori musicali, sceneggiatori, ecc.
Antonio, vuoi aggiungere qualcosa?
Antonio: No, direi che hai spiegato tutto in modo molto chiaro!
Paolo Di Capua: “Grazie, Anto!” (ride, n.d.r.)
Sono molto interessato al concetto dell’Hidden Learning, che troviamo citato spesso all’interno del vostro sito internet. Ci credete molto nell’iterare un’azione, quindi nel fatto che il medium può essere un modo per comunicare qualcosa e che non sia solo un passatempo. Per quanto riguarda l’Hidden Learning, come credete che questo concetto possa essere sviluppato? Avete intenzione di portare avanti questa tecnica? Come si trasformerà nelle vostre future produzioni?
Paolo Di Capua: Allora, faccio giusto una precisazione sulla base teorica che Stranogene sfrutta. L’Hidden Learning è proprio la nostra volontà di nascondere il concetto educativo e didattico, perché ovviamente per le nuove generazioni costituisce un deterrente. Ci sono esempi molto famosi di “sfruttamento” del medium videoludico per insegnare qualcosa, che sono caduti chiaramente in un buco nero, nessuno ne sa più nulla. Questa, quindi, è la nostra concezione, che però mutua da esperienze altre.
Poi c’è un secondo concetto teorico, che è la Massive Iteration, cioè il replicare, il ripetere continuamente determinate attività affinché si possa diventare bravi nell’eseguirle. È chiaro che c’è una separazione all’interno del videogioco, perché mentre puoi passare per la strada del concetto didattico, il videogioco è basato prettamente sulle abilità. Abilità che possono essere cognitive ma anche manuali – si gioca con una tastiera, un mouse, un joypad, eccetera -; è, quindi, un mashup di capacità. Detto ciò, questi due concetti li inseriamo in qualsiasi prodotto sviluppato in Stranogene.
Come vogliamo portare avanti, appunto, questa teoria? Non in maniera così diversa da come stiamo facendo adesso; forse oggi siamo già ad un livello abbastanza avanzato rispetto a quello che io teorizzavo qualche anno fa. Per quale motivo? Prendiamo ad esempio Gomiboru, il nostro ultimo titolo che è in early access su Steam: sostanzialmente non fa mai alcun tipo di collegamento tra il videogioco in sé e per sé e il concetto di ecologia, di raccolta differenziata; non lo esplicita mai, è sempre molto nascosto. Però, in realtà, giocando a Gomiboru, ti rendi conto che stai facendo la raccolta differenziata e la stai facendo in maniera corretta, poiché il gioco ti spinge a farla nel modo giusto. Mi piacerebbe riuscire a portare nei prossimi anni questo approccio al multiplayer. Io sono un appassionato del multiplayer e il mio pallino è provare a sviluppare un prodotto che sia prettamente multigiocatore.
Gomiboru in realtà nasce così, poi abbiamo dovuto modificare in corsa, e mi farebbe piacere riuscire a far sì che la gente possa videogiocare, imparare senza percepirlo, facendolo magari in un ambiente battle royale – che sarebbe veramente il massimo per me – e poi accorgersi dopo tempo che ha imparato dei micro-topic didattici.
Antonio: Se posso aggiungere qualcosa su questo argomento, in particolare sull’Hidden Learning, credo che sia difficile comprendere appieno l’efficacia e la potenza di un sistema del genere, solo a parole. Un esempio che mi è venuto in mente, appena sono entrato nel mondo di Stranogene e Paolo mi ha avviato a questi processi, è legato alla mia esperienza da bambino con i giochi, in particolare con Minecraft. La versione che avevo a disposizione era solo in inglese e, mentre cercavo di familiarizzare con le meccaniche del gioco, iniziavo a incontrare termini in inglese. Ad esempio, la spada non era chiamata ‘spada’, ma ‘sword’, la mela non ‘mela’, ma ‘apple’, e così via. Così, iniziavo ad associare le parole inglesi agli oggetti, senza pensare alla loro traduzione in italiano.
Poi, quando andavo a scuola e la maestra spiegava questi stessi concetti, quando lei faceva l’associazione tra le parole in italiano e quelle in inglese, tutto si allineava nella mia mente. Immediatamente, le informazioni provenienti dal gioco e quelle che venivano insegnate in classe si connettevano e venivano immagazzinate più facilmente. In pratica, stavo imparando delle nozioni attraverso il gioco, e quando queste venivano applicate o rielaborate da una persona esterna, come la maestra, il processo di apprendimento veniva completato. Il concetto di Hidden Learning è esattamente questo, solo che applicato in modo più strutturato e concreto. Abbiamo esperti di pedagogia e di content development che ci aiutano a implementare questi meccanismi, e questa, in sostanza, è la forza di questo approccio.
Paolo Di Capua: Assolutamente corretto! In realtà, quello che Antonio ha spiegato in maniera molto pragmatica, i neuropsicologi lo definiscono ‘effetto pop-up‘: l’informazione che, in un contesto altro rispetto a dove l’hai imparata, esce fuori e ti fa percepire che effettivamente hai imparato qualcosa che non avevi idea di aver appreso; una sorta di know-how silente che si crea pian piano quando, appunto, videogiochi. Antonio ha perfettamente definito quello che avviene su miliardi di device ogni giorno con miliardi di utenti, al di là del videogioco in sé e per sé.
Riprendendo Gomiboru, che è il vostro ultimo gioco disponibile in accesso anticipato su Steam; non è la vostra opera prima. Il vostro primo gioco è Munaciello, un’applicazione disponibile su smartphone, che riprende molto dal folklore napoletano ed è ambientato all’interno del Teatro San Carlo. Volevo sapere un po’ come è nata questa idea di ambientarlo dentro un teatro così prestigioso? E, semmai, nei vostri progetti futuri ci saranno altre figure del folklore partenopeo? Ce ne sono tantissime, che magari potrebbero essere anche una bella idea di game design!
Paolo Di Capua: Allora, questa è una domanda interessante, che mi fa venire in mente un altro progetto di cui ti parlerò. Munaciello nasce, in maniera molto sincera, come un’idea B2B, perché una startup innovativa ha bisogno, all’inizio, di generare liquidità. Tuttavia, non è questa la nostra principale motivazione. Ci piace lavorare per noi stessi, creare qualcosa che ci appassiona, e poi portarlo sui vari store. Questo è il nostro approccio. Apro una parentesi: gli studi indie, come Stranogene, partono sempre da esigenze interne. Noi vogliamo raccontare storie che ci piacciono e creare giochi che ci entusiasmano, quindi partiamo da quello. È chiaro che facciamo anche delle analisi di mercato, ma il nostro focus principale è sempre il gusto e la passione per quello che facciamo. Detto ciò, l’idea di collaborare con il Teatro San Carlo è stata una necessità economica, ma anche un’opportunità interessante. Abbiamo legami importanti con realtà come il San Carlo, grazie a Annamaria, la mia socia, che ha un’esperienza imprenditoriale consolidata e ha creato una rete di contatti significativa nel corso degli anni.
Perché proprio il San Carlo? Ci è capitato casualmente di entrare in contatto con la direttrice del Teatro. Abbiamo cercato di avvicinarci alla struttura e ci hanno aperto le porte. Inizialmente, non avevamo nemmeno pensato ad un videogioco, ma volevamo capire le esigenze del teatro. Abbiamo scoperto che la vera necessità era attirare un pubblico più giovane, visto che l’età media di chi frequenta il teatro si aggira intorno ai 60 anni. Così, abbiamo pensato di sviluppare un videogioco che potesse avvicinare le nuove generazioni al teatro, facendo comprendere loro l’importanza e la bellezza del San Carlo. Per noi, non è solo un teatro, ma il teatro d’opera lirica ancora in attività più antico al mondo, un vero e proprio patrimonio culturale di Napoli. Da lì, tutto si è aperto. Il limite è solo la creatività. Volevamo includere non solo la parte storica del teatro, ma anche il folklore napoletano. Ed è così che Gaia, l’altra mia socia, che si occupa di scrivere soggetti per videogiochi, ha tirato fuori l’idea del Munaciello. Una figura affascinante e unica, che rappresenta un lato nascosto della nostra cultura. Molti non conoscono la vera storia del Munaciello: era una persona che entrava nelle case per rubare, non perché fosse un criminale, ma perché viveva in miseria e non veniva pagata per il lavoro che faceva, una sorta di ‘bullizzato’ della sua epoca.
Adesso, mi fa particolarmente piacere parlare di un altro progetto che stiamo iniziando, che si chiama Smolder Echo (in italiano, ‘ciò che cova sotto le braci’). È un progetto che svilupperemo nei prossimi sei mesi e che tratterà degli stati d’ansia, ambientato a Napoli negli anni ’80, durante il terremoto dell’Irpinia. I personaggi sono inventati, ma ci sarà anche un riferimento a una figura del folklore napoletano, ispirata alla discografia di Pino Daniele: il Musicante. Pino Daniele gli ha dedicato un intero album. Questo Musicante non è il cantautore moderno, ma il musicante dell’Ottocento che viveva in strada, di stenti, ma che era arte pura. Come puoi vedere, siamo profondamente legati alla nostra terra e alla nostra cultura.
Antonio: Secondo me, con questo ultimo progetto raccontato da Paolo, si vedrà nettamente il pivoting che stiamo facendo dall’idea iniziale da cui è partita Stranogene e poi l’evoluzione che sta avendo.
Quali sono le vostre fonti di ispirazione quando create un videogioco, sia all’interno del mondo videoludico, sia con influenze esterne come, ad esempio, film o il folklore di cui si è parlato?
Paolo Di Capua: Sì, allora, tieni presente che qualsiasi progetto interno parte sempre da una fase di brainstorming che non dura meno di 2-3 settimane. È un brainstorming asincrono, soprattutto perché il team non è nello stesso luogo nello stesso momento; tanti nostri collaboratori e parte dello staff sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, è difficile riuscire a mettere tutti insieme. È comunque un brainstorming che funziona e funziona bene.
Ispirazioni nell’ambito videoludico: sicuramente guardiamo agli studi indie un po’ più famosi, anche se forse sono io quello che tira dentro gli studi più piccoli e assurdi (ad esempio Powerhoof, che ha sviluppato The Drifter e Crawl). Ovviamente, non si riduce tutto all’ambito videoludico. Di base, in Stranogene, siamo tutti un po’ nerd. Nell’ultimo sviluppo di cui ti raccontavo prima, ho chiesto che ci fosse Napoli con la sua storia e l’ansia. L’ansia legata strettamente ai geni partenopei, legata alla presenza del Vesuvio; già solo negli ultimi mesi abbiamo vissuto stati di ansia continui per quello che è avvenuto nei Campi Flegrei. Per tante motivazioni legate ai fenomeni sismici, il concetto è che queste influenze vengono portate dentro il progetto in maniera automatica e poi c’è il resto. Ad esempio, io mi sono messo di traverso e tenevo particolarmente all’ambientazione anni ’80 ed ho volutamente forzato l’utilizzo di elementi alla Stranger Things, poiché quella è un’influenza importante per me negli ultimi anni, così da portarla automaticamente nei nostri progetti. Lo stesso meccanismo che sfruttano coloro che partecipano alla fase di brainstorming, inserendo competenze proprie, esigenze e, chiaramente, amore e passione.
Daniele: In quale mondo che avete creato vi piacerebbe vivere e in quale mondo non vi piacerebbe vivere?
(Entrambi ridono, n.d.r.)
Paolo Di Capua: Allora, non mi piacerebbe vivere nel mondo di Hiki (un bullet hell che tratta i temi dell’hikikomori, n.d.r.), per la tematica forte; durante lo sviluppo abbiamo avuto a che fare con persone hikikomori e credo di aver percepito solo l’1% della difficoltà e della forza negativa che prova chi vive questa situazione. Per quanto riguarda il mondo in cui mi piacerebbe di più vivere, è probabilmente quello del prossimo videogioco, avendolo vissuto già, poiché sono nato negli anni ’70, quindi gli anni ’80 li ho vissuti appieno e me li sono anche goduti.
Antonio: Anche a me in realtà piacerebbe vivere nel mondo della Napoli del nuovo gioco, proprio perché io non ho vissuto gli anni ’80, essendo del 2000, e mi piacerebbe viverla, insomma. Anche il Munaciello è interessante come mondo, vivere il periodo in cui la storia del teatro stava sviluppandosi, creando il San Carlo che ad oggi conosciamo e che ha fatto la storia dell’opera e ha portato Napoli in tutto il mondo.
Paolo Di Capua: Anto, tu vorresti vivere gli anni ’80 perché non hai visto Maradona!!
Quale consiglio dareste a voi stessi, ripensando a quando avete iniziato?
Paolo Di Capua: Faccio presente che sono alla mia quarta startup, ma, analizzando ciò che è successo negli ultimi due anni con Stranogene, mi sento di dare un consiglio che è abbastanza verticale: non creerei una startup per andare in cerca di un investitore, ma creerei una startup per andare in produzione diretta. Perché mi sono reso conto che avrei potuto iniziare parecchi anni prima, avendo comunque un time to market molto più positivo. Invece oggi mi trovo ad affrontare una situazione più complessa perché il mercato comincia ad avere delle aperture per il gaming e per l’educativo; purtroppo ci sono più competitor, in alcuni casi, maggiormente corazzati rispetto a noi con cui non è semplice “gareggiare”. Per questo, come ti dicevo prima, l’idea è di verticalizzarsi in un ambiente che è totalmente videogame e non faccia percepire il resto.
Antonio: Il consiglio che sento di darvi è di essere il più aperti possibile; non rimanere troppo nella propria culla, parlare con più persone possibile, anche con quelle che potrebbero non esserci utili. Sembra paradossale, ma si creano delle situazioni che combaciano perfettamente, che sembrano scritte dal destino e che ti portano a realizzare qualcosa. Tuttavia, accadono solo se sei disposto a confrontarti con più persone possibile e a creare contatti. E, infine, non innamorarsi troppo del proprio progetto.
Paolo Di Capua: Anche perché, in quel caso, potresti farti male di brutto!