Mi tocca scrivere di un nemico potente, di un’impresa esageratamente ardua e con una possibilità di riuscita bassissima. Ogni giorno forti guerrieri lo combattono stringendo i denti e pochissimi riescono a sconfiggerlo. Raccontarvi le sensazioni di queste guerrieri a fronte di questa dura impresa è praticamente impossibile. Appena più facile pare, invece, raccontarvi le storie degli aiutanti di questi guerrieri, quelli che li aiutano a indossare l’armatura e a portare la spada, con l’arduo compito di continuare a sorridere anche dopo un fendente fatale.
That Dragon, Cancer non ci prova neanche a spiegarvi il cancro, si limita a raccontarvi l’esperienza dei coniugi Green e della lotta di loro figlio Joel contro questa bestia assassina. Mi pare decisamente poco adatto soffermarmi sui tecnicismi, mi limiterò a dirvi che si tratta di un’avventura grafica molto guidata e con uno stile poligonale, gradevole o meno a seconda dell’occhio di chi osserva, ma adatto, comunque, a rappresentare simbolicamente ogni parte di questa storia.

Da una parte abbiamo la malattia, dall’altra abbiamo il gioco. Mettere in contatto queste due realtà pare un controsenso, eppure è forse grazie a questa strana contraddizione che si riesce a far trasparire tutte la vasta gamma di sensazioni che percorrono i vari personaggi che stanno intorno a Joel, la cui sofferenza è ampiamente percepibile. Se vi è capitato, e spero di no, di trovarvi a essere fra i protagonisti di una simile situazione vi sarà facile riconoscere quelle stesse emozioni che avrete provato.
Il lavoro fatto nel riconoscere i pensieri di ogni protagonista è di una qualità enorme, frutto di una sensibilità che viene fuori solamente da chi sa bene di cosa sta parlando. Sensibilità che si vede anche nel riuscire a parlare di questi argomenti senza necessariamente doverli tirare fuori metaforicamente: Joel ha il cancro, e ci viene detto senza mezzi termini. Le persone soffrono per qualcosa che ha un nome e che è ben identificabile, eppure tutto questo non risulta mai pesante o troppo diretto, è semplicemente reale. La metafora viene utilizzata ma è sempre di facile identificazione e destinata al messaggio positivo. Pare quasi simbolizzare che il male si riconosce facilmente, per il bene bisogna sforzarsi di guardare oltre.

Qualcosa di così chiaro che vien difficile chiamarla metafora.
Tutto il gioco è pervaso da un messaggio di speranza religiosa. Io non riesco a credere in un dio buono che ci sorveglia dall’alto e giudica le nostre mosse, però credo che la cosa più importante sia quella di far sentire bene le persone, con tutti i mezzi possibili e con ogni appiglio coerente. Se il messaggio religioso di That Dragon, Cancer è riuscito a dare, anche ad una sola persona, un minimo conforto, allora ben vengano giochi come questo.
Non si perde in bigottismo, non dà una certezza, si limita a spiegare quella fede che sta nell’animo di chi crede fermamente e che un po’ mi ritrovo a invidiare. Tutto questo viene mostrato con un gioco, un’operazione che sono abbastanza sicuro qualsiasi dio apprezzerebbe.

Pare ovvio chiedersi per quale motivo spendere del tempo in qualcosa che ci farà, quasi sicuramente, soffrire. Il fenomeno della catarsi potrebbe essere un’ottima spiegazione. Una volta finita questa esperienza mi sono sentito sì turbato, ma anche parecchio sollevato, la stessa sensazione che ho provato nel vedere finire le sofferenze di qualcuno a me caro.
Non si tratta comunque di un prodotto destinato a intrattenere le masse, non è un’esperienza da prendere alla leggera o come l’ennesimo gioco della propria libreria Steam, ma rimane un perfetto documento di cosa è la malattia e degli stati mentali che questa porta a chi sta accanto al malato. Non tutti potrebbero sentirsi pronti ad affrontare questo gioco, lo comprendo, ma, se riuscite a resistere ad un po’ di questa sofferenza, vi lascerà sicuramente qualcosa.
p.s. Se leggete Pixel Flood sapete che dedichiamo delle medagliette a quelle che consideriamo le parti migliori del gioco, in questa mi limiterò a dedicarne una a Joel, sperando che trovi carino il nostro nekopolpo.
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