Pubblicato il 26/05/16 da Neko Polpo

Homefront: The Revolution – Wolverines!

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Oggi vi racconto una storia. C’era una volta una software house inglese di nome Free Radical Design, fondata da un gruppo di ex designer degli studi Rare, separatisi dal gruppo dopo la release di GoldenEye 007. Dopo un grande successo di critica e pubblico, ottenuto durante la generazione PlayStation 2 con la serie TimeSplitters ed il gustosissimo Second Sight, decisero di approcciare la nuova generazione. Una serie di errori li portò in crisi economica, fino a ritrovarsi assorbiti e trasformati in Crytek UK.
Perdita di individualità a parte, tutto sembrava scorrere liscio, finché, un fatale giorno di quattro anni fa, gli fu appioppato un progetto tra capo e collo. Lo sviluppo travagliato gli è costato, ancora una volta, il nome e, quel che è peggio, forse anche la carriera.
Il suo nome è Homefront: The Revolution. Questa è la sua storia.

Philadelphia: casa dell'Indipendenza e campo di battaglia per riconquistarla.
Philadelphia: casa dell’Indipendenza e campo di battaglia per riconquistarla.

Homefront: The Revolution è un FPS open world sviluppato da Dambuster Studios, un gruppo formato quasi interamente da ex Crytek UK. Inizialmente pensato come sequel del terribile Homefront di Kaos Studios, è in realtà una sorta di reboot, non solo per distanziarsi il più possibile dal suo pessimo predecessore, ma anche per poter esplorare una nuova trama e diversi stili di gameplay.

Come il suo prequel, la trama racconta l’invasione degli USA da parte di una Corea riunificata, ma l’ucronia questa volta è causata da un motivo differente. Grazie ad uno sviluppo tecnologico velocissimo, la Corea si ritrova molto più avanti rispetto agli Stati Uniti, il cui mercato è invaso di smartphone, tablet e computer dal marchio coreano Apex, il quale inizia perfino a vendere armamenti ed equipaggiamenti militari.
La situazione degenera, al punto che gli USA cadono in povertà e si ritrovano in debito verso la piccola nazione asiatica. Con la scusa di portare aiuti e rifornimenti al popolo, l’esercito coreano inizia ad invadere il territorio americano. Una volta occupata la nazione, utilizza le backdoor, nascoste in ogni singolo prodotto venduto negli anni passati, per disattivare tutto, dai cellulari alle armi, e scatenare un colpo di stato.
Non c’è occupazione senza rivoluzione, però, ed è qui che entra in gioco Ethan Brady, protagonista senza volto e membro novello della Resistenza di Philadephia.

Il CryEngine 3 mostra i muscoli ancora una volta, anche se non è più impressionante quanto qualche anno fa.
Il CryEngine 3 mostra i muscoli ancora una volta, anche se non è più impressionante quanto qualche anno fa.

Il primo impatto col gioco è dolceamaro. Durante la lunghissima sequenza introduttiva, Dambuster Studios mostra i muscoli del motore, l’ottima illuminazione ed i buoni effetti atmosferici che ritraggono una Philadephia invasa, messa in ginocchio dal caos della guerra. Appena messe le mani sulle prime armi, però, il gioco inizia ad introdurre una serie di meccaniche un po’ troppo familiari: mondo aperto con avamposti da conquistare, muretti scalabili quando indicati da un oggetto blu, armi da comprare con tanto di armadietto illuminato al neon, torri radio da attivare per cospargere sulla mappa collezionabili e sottomissioni, ci sono perfino i palazzi da scalare. Homefront: The Revolution si rivela presto come un clone del generico sandbox targato Ubisoft, in particolare di Far Cry, dal terzo episodio in poi, con una spruzzata di Watch_Dogs.

L'unico veicolo guidabile sono queste motorette scassate. Normalmente sono sparse in giro abbandonate, ma spesso si trovano in questi container, assieme a munizioni e medikit.
L’unico veicolo guidabile sono queste motorette scassate. Normalmente sono sparse in giro abbandonate, ma si  possono anche trovare nei container, assieme a munizioni e medikit.

In sua difesa, perlomeno ci mette qualche idea sua per rinvigorire la formula stantia: il sistema di armi, per iniziare, è molto più interessante. Ogni arma può essere smontata e riconfigurata per funzioni completamente diverse – tre per ciascuna, per la precisione. Si tratta di un trucchetto molto intelligente per aggirare il limite cretino di tre armi trasportabili, tipico degli shooter moderni. Quando hai in tasca una balestra che si trasforma in bombarda o lanciafiamme, una carabina che diventa lanciarazzi ed una pistola che può fare da mitraglietta, è facile essere equipaggiati per ogni occasione e sentirsi raramente limitati dal proprio inventario. Ogni configurazione può essere personalizzata ulteriormente con mirini, silenziatori ed altri gadget che ne alterano le capacità, un sistema ereditato, assieme al motore, dalla serie Crysis.
Per quanto intrigante, è un sistema che mostra il fianco una volta che si arriva in battaglia. Trasformare un’arma richiede di aprire la modalità apposita, scegliere la configurazione e guardare le manine di Brady che la smontano brutalmente. Visivamente carino, ma non esattamente pratico quando piovono proiettili.

Il Goliath è il primo e l'unico boss del gioco. Cinque missili e va giù.
Il Goliath è il primo e l’unico boss del gioco. Cinque missili e va giù. Non esattamente un Cyberdemon.

Restando sull’argomento sparatorie, l’intero sistema mi lascia piuttosto confuso. Da un lato abbiamo un gunplay solidissimo, con ottima fisica, suoni ed impatti, che rende ogni arma ben distinta. Il rinculo è piuttosto forte, tocca farci la mano, ma non è un problema aiutandosi con gli accessori adatti a ridurlo. Il problema delle sparatorie è tutto il resto.
Andiamo con ordine: esattamente come Far Cry 3, include un piccolo sistema di coperture, ma non c’è ragione di usarlo. Sbucare dalla copertura significa appoggiare la testa come un melone sul bancone del mercato, buono solo se si è stanchi di vivere e si vuole diventare bersagli facili. Il respawn dei nemici è, per giunta, assolutamente esagerato, sono convinto che vengano teletrasportati dalla loro astronave madre appena si gira lo sguardo (onestamente, neanche quello, a volte appaiono dal nulla davanti ai nostri occhi). Restare fermi in un punto significa farsi rapidamente circondare da una ventina di coreani incazzati, capaci di drenare la nostra salute in due nanosecondi, con la violenza del loro sguardo malefico. Per trionfare bisogna colpire e ritirarsi, restare sempre in movimento e nascondersi tra i cunicoli della città.

Poi il gioco, finalmente, ti dà il lanciamissili e passa in modalità facile.
Poi il gioco, finalmente, ti dà il lanciamissili e passa in modalità facile.

Ho l’impressione che Dambuster Studios abbia voluto calcare la mano sul nostro ruolo da piccolo partigiano bastardo che si nasconde dietro l’angolo e tira le molotov, per poi sparire immediatamente tra i viottoli. Il risultato, però, ci fa sentire davvero troppo deboli. La morte arriva presto e arriva spesso, alla terza pattuglia che si materializza dal nulla dietro l’angolo e ci uccide in un respiro viene spontaneo tirare una bestemmia, pigiare Alt+F4 e riaprire Doom per sfogarsi.
Per le prime due o tre ore il gioco va avanti così, come una sorta di mediocre clone di un altrettanto mediocre open world Ubisoft, non particolarmente ispirato, ma neanche brutto. È molto difficile e bisogna abituarsi ad usare tattiche hit and run per avere la meglio, ma le armi sono gradevoli e la grafica piacevole.

Alcune aree di Philadelphia riescono ad essere almeno esteticamente ben diverse e aiutano a rompere la monotonia.
Alcune aree di Philadelphia riescono ad essere almeno esteticamente molto diverse. Non è molto, ma aiuta a rompere la monotonia.

Poi compie l’errore peggiore possibile: diventa noioso. Per oltre tredici ore la trama non avanza di un millimetro e si trasforma in questo miasma senza forma di avamposti da conquistare e sottomissioni blande, condite da un sistema stealth che rende ancora più irritante andare in giro per Philadephia. La città è divisa in zone rosse, in cui la Resistenza muove guerra aperta ai KPA, e zone gialle, pesantemente pattugliate e perlopiù pacifiche. Nelle zone gialle il sistema di gioco cambia leggermente, bisogna muoversi per la città senza attirare l’attenzione, nascondendo le armi e sgattaiolando tra i vialetti, per compiere piccole azioni di sabotaggio, fino ad ispirare la popolazione e trasformarla in zona rossa.
Tutto ciò è bene in teoria, ma all’atto pratico tocca fare i conti con uno stealth che, semplicemente, non funziona. Gli sbirri sembrano avere occhi anche dietro la testa ed una volta scattato l’allarme – diamine! – è come se l’intero universo ci si rivoltasse contro. Il respawn esagerato di cui parlavo prima diventa assolutamente surreale, strade pattugliate da uno o due coreani si riempiono magicamente di decine di soldati, tutti armati fino ai denti e pronti a sparare. Non sarebbe neanche tragico, se non accadesse ogni dieci secondi. È ridicolo, la polizia si incazza per un nonnulla, basta passarci accanto e la nostra puzza di schifoso americano porta all’allarme rosso mondiale. Non sto scherzando, anche solo restare fermi con le mani in tasca causa un’allerta.

La quinta area è stata ricoperta di veleno ed è inabitabile. Ad una prima occhiata sembra un nuovo elemento di gameplay, ma appena messa la maschera antigas è tutto come al solito.
La quinta area del gioco è stata ricoperta di veleno ed è altamente tossica. Ad una prima occhiata sembra un nuovo elemento di gameplay, ma appena indossata la maschera antigas è tutto come al solito.

Una volta arrivati alla terza zona della città si può dire di aver visto l’intero gioco. Homefront: The Revolution esaurisce le gimmick e diventa un tedioso macinare degli stessi obiettivi, gli stessi avamposti, contro gli stessi nemici, per una dozzina di ore. Quel che è peggio, i glitch iniziano a diventare irritanti.
Piccole cose a cui non si baderebbe neanche troppo, accoppiate a una grossa quantità di noia, si accumulano fino a far innervosire. Problemi come i rivoluzionari alleati che ci bloccano le porte, il menu di personalizzazione dell’arma che non funziona a dovere (bisogna cliccare sulle icone per scegliere il pezzo da montare, ma spesso impazziscono e diventano non-cliccabili), piccole follie quando si tenta di scalare una parete o scavalcare le finestre, porte che smettono di aprirsi e tanti altri glitch che iniziano ad impilarsi e testare la pazienza.

Si può notare ad occhio il momento in cui, a Dambuster Studios, non fregava più nulla del gioco. È il momento in cui le animazioni si riducono di qualità fino a diventare davvero brutte, la storia si rifiuta di avanzare, il doppiaggio diventa sempre più ilare ed il gioco, semplicemente, finisce soldi e idee.
La mia scena preferita è verso i due terzi di gioco, quando la Resistenza viene attaccata su tutti i fronti dai KPA ed il nostro personaggio viene spedito nell’area più noiosa della mappa a fare poco e niente, mentre tutti gli altri personaggi, via radio, parlano di quanto sia eccitante quello che succede da loro. “No, davvero“, dicono, “c’è una guerra pazzesca qui, gente che muore, missili, lanciafiamme, la sto guardando ed è una figata atomica, peccato tu non possa vederla“.
Un gioco che inizia mediocre è diventato ormai fastidioso.

Poi succede l’inaspettato. Esplorando l’area finale del gioco ci si può imbattere in… questo.

Non sarà mica...? Ma no, è impossibile. Non potrebbero mai.
Non sarà mica..? Ma no, è impossibile. Non potrebbero mai.

E invece è proprio lui.

No, non è un'immagine da un emulatore, è un vero port dei primi due livelli di TimeSplitters 2.
No, non è un’immagine da un emulatore, è un vero port dei primi due livelli di TimeSplitters 2.

TimeSplitters 2, ported with love“, recita la schermata di avvio. La parte migliore di Homefront: The Revolution diventa il port di un gioco infinitamente migliore, uscito oltre 14 anni fa.
È questo il momento in cui ti colpisce la realtà dei fatti, una di quelle verità della vita che ti schiaffeggiano all’improvviso, come scoprire che Babbo Natale non esiste, e la testa ti si riempie di centomila pensieri in un secondo. Ti ricordi che Dambuster Studios non è altro che la Crytek UK, non è altro che Free Radical Design, non è altro che un gruppo di, al tempo, giovanotti distaccatisi da Rare per lavorare ai giochi che interessava loro creare.
Homefront: The Revolution non è fatto da robot, ci hanno lavorato sopra degli esseri umani, per quattro lunghi, maledetti anni. Hanno sopportato due cancellazioni e ri-partenze del progetto, cambi di motore, il fallimento di THQ, un taglio dei fondi che li ha lasciati senza stipendio per mesi ed il rimaneggiamento da parte di Deep Silver. Non parliamo di uno studio enorme, tutto l’opposto, e nonostante ciò andavano in ufficio tutti i giorni, pur di riuscire a completare tutte le mille meccaniche richieste dalla lista del generico tripla A moderno, pur di lavorare a questo infernale, disordinato, sotto-finanziato, gonfio da scoppiare, pezzo di merda che avevano sulla scrivania da quattro lunghissimi anni, pur di levarselo da davanti una volta per tutte.

Homefront: The Revolution non è un prodotto di incapacità, di poca voglia o scarso talento. Vedere TimeSplitters 2 avviarsi all’improvviso mi ha ricordato che questa gente è stata grande, probabilmente lo è ancora e sotto sotto mantengono la loro umanità. Semplicemente questo non è il gioco a cui volevano lavorare. Era una commessa, caduta dal cielo e completata con la pistola puntata alla tempia, senza le risorse necessarie a farlo e con tutti gli ostacoli del mondo, nonostante la buona volontà. È solo un’altra triste storia del panorama tripla A moderno, che spreme sviluppatori di talento per fare loro creare qualcosa di mediocre e facilmente dimenticabile, prima di passare alla prossima vittima.

Penso che il livello finale sia stato uno dei primi in produzione. Qualitativamente è molto più alto rispetto a tutto il resto.
Penso che il livello finale sia stato uno dei primi in produzione. Qualitativamente è molto migliore rispetto a tutto il resto.

Rileggere quest’ultimo paragrafo mi ha depresso un po’. Ho paura per Dambuster Studios, genuinamente. Forse riusciranno a sistemare gli aspetti più rognosi del gioco, patch dopo patch, tipo l’ottimizzazione così così e i vari piccoli glitch, ma alla meglio potranno portarlo allo stato di mediocre, forse godibile. Apparentemente sono sotto contratto per sviluppare DLC ancora per un anno, dopodiché tremo per loro. Questa è una macchia sulla carriera più pesante di Haze, più pesante del farsi togliere dalle mani TimeSplitters 4. Non sono sicuro che potranno riprendersi dal colpo e me ne dispiaccio grandemente.

In sostanza, Homefront: The Revolution è un discreto clone di Far Cry 3, dall’ottimo gunplay, ma sfortunatamente piuttosto noioso, i cui buchi nel budget sono fin troppo visibili. Posso consigliarlo per l’aspetto sparatorie e per il co-op online, che enfatizza proprio quest’ultima parte. Prima vi direi di aspettare qualche patch correttiva per limarne i difetti, però, e magari un calo di prezzo. Potreste trovarlo gradevole, se non vi lasciate deprimere dalla storia del suo sviluppo.

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  • Fisica delle armi ottima
  • Buon sistema di customizzazione dell'arma
  • Graficamente tutto sommato gradevole
  • Buona modalità co-op online
  • Single player da una ventina di ore
  • Contiene un minuscolo port di TimeSplitters 2

 

  • Respawn dei nemici esagerato
  • Animazioni poco curate
  • Sistema stealth discutibile
  • Per tre quarti di gioco non succede niente
  • Pensare troppo al suo sviluppo può causare depressione


 

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NekoPolpo - Biografia

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