C’è un momento, giocando a Beyond the Ice Palace 2, in cui ti chiedi se non sia tutto uno scherzo; con il sapore di un incubo lanciato da un Amiga dimenticato, riesumato a forza per ricordarci che non tutto ciò che viene dal passato merita un presente. Eppure eccolo qui, il seguito spirituale di un platform dell’88 che quasi nessuno ricordava, ripresentato nel 2025 come se fosse una reliquia sacra, intatto nella sua legnosità e inspiegabilmente certo di avere ancora qualcosa da dire.
Fantasia decomposta
Ambientazione fantasy generica da libreria per ragazzi anni ’80: foresta, demoni, tempio, un eroe scelto. Pixel che non evocano, ma elencano. Scorci visivamente stanchi, più simili a concept art scolastici che a scenari in grado di raccontare. Un mondo bloccato in un limbo tra nostalgia “pixelosa” e budget indie risicato, dove ogni cespuglio sembra gridare “placeholder” e ogni mostro pare disegnato da un motore AI stanco.
Lo stile visivo vorrebbe essere “omaggio a Ghosts ’n Goblins”, ma finisce per sembrare un collage frettoloso di asset buttati in Unity alle 2 di notte. Nessun guizzo, nessuna identità, solo una lunga sequela di deja-vu impolverati.
Il salto della fede (nel vuoto)
Il problema principale di Beyond the Ice Palace 2 non è solo che sia un gioco vecchio. È che è vecchio male. Level design scolastico, piattaforme posizionate come se fossero state lanciate a caso su uno sfondo, hitbox nebulose, nemici che sembrano spawnare con un dado truccato. Non si tratta di difficoltà old-school: è semplicemente cattiva educazione videoludica.
Il sistema di controllo è rigido, ma non nel modo disciplinante di un Hagane o Shinobi III. Qui è solo frustrazione che si accumula, all’ennesimo tentativo di agganciarsi a una piattaforma con una combinazione di tasti maldestri che non rinnovano un gameplay basico ma lo appesantiscono e basta.
Il comparto audio è un vero mistero: soundtrack che parte con velleità epiche per poi trasformarsi in una nenia senza direzione; gli effetti sonori sembrano campionati da un vecchio sintetizzatore rotto, con colpi che non “colpiscono”, ma sussurrano la loro presenza come spettri digitali dimenticati.
Un sequel che non era necessario
Quello che sorprende di più è la scelta stessa di riprendere Beyond the Ice Palace. Non Turrican, non Lionheart, ma questo; un titolo che già allora faticava a emergere, e che oggi si presenta senza consapevolezza, senza evoluzione, come un clone anacronistico di qualcosa che non era neppure memorabile all’origine.
Non è un gioco brutto in senso assoluto — ci sono progetti amatoriali più goffi — ma è inutile. È un esercizio di archeologia videoludica privo di cuore, costruito senza amore né visione. Un titolo che sembra pensato per nostalgici con la memoria offuscata, e che finisce per scontentare anche loro.
“Beyond the Ice Palace 2” è un’eco vuota di un passato che nessuno aveva davvero chiesto di rivivere. Non c’è fascino rétro, non c’è rigore old-school, non c’è gioia da riscoprire. Solo un ricordo sbiadito, riportato in vita senza anima né direzione, come un revenant digitale che vaga nel gelo del suo stesso oblio.
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