Pubblicato il 13/01/15 da Neko Polpo

Spectrobes: fossi lì, ti aiuterei…

La serie di Spectrobes, pensata e prodotta dalla Disney, nasce nel 2007 su Nintendo DS. Il primo capitolo è stato sviluppato da Jupiter, team giapponese responsabile di diversi capolavori, come i due Pokémon Pinball, Mario’s Picross, Picross DS e The World Ends With You (in collaborazione con Square Enix), ma anche di opere meno conosciute, quali Pocket Kyorochan per Game Boy, Dangun Racer e Super Robot Pinball per Game Boy Color, senza dimenticare Wagamama Fairy Mirumo de Pon! – Taisen Mahoudama e Animal Mania per Game Boy Advance.

Nel 2009 esce Spectrobes: Oltre i Portali, seguito che mantiene sostanzialmente invariate le “proprietà” principali del primo episodio, ma aggiunge anche nuove caratteristiche alla formula di base.

Per il terzo e, al momento, ultimo capitolo, la palla passa a Genki: software house fondata nel 1990 da due fuoriusciti Sega (Hiroshi Hamagaki e Tomo Kimura) e specializzata in giochi di corse. Non di sole corse, però, vive e ha vissuto la casa nipponica: Genki ha sviluppato molte opere interessanti e, spesso, poco note al di fuori del Paese del Sol Levante: si vedano lo strategico Napoleon per Game Boy Advance, pubblicato nel 2001 da Nintendo (nel 1988 anche Lenar e Irem avevano dedicato un gioco alle imprese napoleoniche: si tratta di Napoleon Senki, per NES. Un precedente per entrambi i titoli è Napoleon at Waterloo, del 1985), oppure Demon Chaos e Fu-un Shinsengumi per PlayStation 2, l’America Oudan Ultra Quiz uscito su Super Famicom, Populous DS, Super Magnetic Neo per Dreamcast, l’interessantissima serie (costituita da due capitoli) di Jade Cocoon (GDR che tra i collaboratori annovera Katsuya Kondo, dello Studio Ghibli), il picchiaduro FIST per PlayStation 1, Fighters Destiny per Nintendo 64, Kengo e molti altri.

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Napoleon di Genki, per Game Boy Advance.

In questa sede non ci interessa tanto trattare approfonditamente i tre giochi che compongono la serie, quanto riscontrare elementi di interesse in una produzione troppo di frequente “abbassata” al grado di “copia dei Pokémon”. A parte il fatto che gridare allo scandalo per la copia nel ventunesimo secolo, e soprattutto in ambito digitale, è quantomeno inutile (se non ideologicamente scorretto. Evviva i “cloni”! Evviva le Giana Sisters!), c’è da dire che l’accusa paragona ai Pokémon giochi accomunati solo dalla presenza di mostri “collezionabili”. Le meccaniche di gioco si differenziano parecchio da quelle dei titoli incentrati sui “mostriciattoli tascabili”, a partire dalla constatazione che i combattimenti di Spectrobes sono in tempo reale, e non a turni.

Essenzialmente, in Spectrobes, si è chiamati a combattere la minaccia “aliena” rappresentata dai Krawl, mostri assetati di distruzione e capaci di disintegrare intere galassie. Per riuscire nell’intento si hanno a disposizione strani esseri di luce chiamati, appunto, Spectrobe: all’inizio il giocatore porta con sé giusto un paio di mostri da combattimento e uno da ricerca. Un aspetto fondamentale del gioco, infatti, consiste nella perlustrazione dello scenario alla ricerca di minerali e fossili. Con l’ausilio di uno Spectrobe cucciolo è possibile scovare reperti utili al “grinding” e nuovi fossili, contenenti altri mostri da risvegliare. Uno Spectrobe appena “rianimato” è sempre un cucciolo: la creatura, per evolvere, deve raggiungere un certo livello e nutrirsi con uno speciale minerale evolutivo.

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Shakoblad, Spectrobe all’ultimo stadio evolutivo.

Uno degli elementi più interessanti di tutta la produzione è proprio l’estrazione dei fossili dal sottosuolo. Questa operazione si differenzia però nelle incarnazioni a due schermi del gioco e nella versione per Wii. Le avventure pubblicate su Nintendo DS offrono un processo di scavo e recupero dei fossili sostanzialmente in 2D, dal momento che basta agire sulla superficie di un terreno per liberarlo dagli strati in eccesso e riportare alla luce i preziosi alleati fossilizzati (senza contare i succitati minerali e gli altri materiali utili). Spectrobes: Le Origini per Wii, invece, offre un modello di scavo in 3D: in pratica si estraggono dal terreno blocchi di terra, che vanno poi “scolpiti” in tre dimensioni, ruotando il blocco per eliminare il materiale in eccesso e cercando di non danneggiare il fossile (bellissima l’idea di associare il livello della prestazione al livello del mostro che si andrà a rianimare nella fase successiva). Un’altra differenza tra le incarnazioni portatili della serie e quella casalinga sta proprio nella fase del “risveglio” dello Spectrobe: su Nintendo DS il giocatore doveva chiamare il mostro con la propria voce, rispettando le intensità richieste per ogni specie; su Wii si assisteva invece a un veloce minigioco musicale molto simile al Simon.

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Spectrobes: Le Origini, per Wii.

Notando la cura riposta nella realizzazione dei modelli 3D e del sistema di controllo deputato alla “pulizia” dei blocchi di terra (con qualche piccola imprecisione sulla realizzazione del “martelletto”), stupisce scoprire che non esiste ancora un “Archaeology Simulator”. Sarebbe fantastico vedere un intero gioco basato su questa operazione di recupero dei reperti, con una strumentazione ancora più varia e la possibilità di ripulire i “tesori” con tutta calma, senza la fretta derivante dalla presenza di un timer (che influisce sul “voto” finale, nel caso dei tre Spectrobes). In realtà il videogioco ha comunicato altre volte con il mondo dell’archeologia, si pensi ad Animal Crossing: anche nella serie di Nintendo il rapporto con i reperti è cambiato nel tempo, basti pensare che nell’episodio per GameCube il riconoscimento dei fossili non era immediato, perché Blatero (il gufo del museo) era ancora inesperto, e solo nei capitoli successivi diventa possibile sapere direttamente di che fossile si trattava. L’idea di un lavoro minuzioso su parti di piccole dimensioni fa pensare poi, almeno indirettamente, a Trauma Center di Atlus, impegnativa “simulazione” che chiede al giocatore di compiere operazioni estremamente delicate. Di fatto anche per recuperare un fossile è richiesta una “precisione chirurgica”.

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Animal Crossing: New Leaf, per 3DS.

I rapporti tra videogiochi e archeologia, in realtà, non si fermano qui: anche Minecraft, in un certo senso, ha dei punti di contatto con questa branca del sapere (rimando agli interessantissimi articoli di Archaeogaming, scritti dal greco Aris Politopoulos. Molte le opere prese in considerazione, in maniera nuova e curiosa: l’autore fa riferimento anche al “ritrovamento” di E.T. per Atari 2600!). Come dimenticare, poi, i bellissimi reperti di Endless Ocean? O lo sconosciuto Historical Mystery Adventure – TROIA 1186 B.C. e i vari Egypt (di Cryo Interactive Entertainment)? Oppure, ancora, il progetto ormai “nascosto” di Jason Rohrer, ovvero A Game for Someone (si veda l’articolo pubblicato da Kill Screen), gioco da tavolo sepolto volontariamente dall’autore da qualche parte nel deserto del Nevada, come reperto da un passato che al momento è ancora “presente”.

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A Game for Someone, di Jason Rohrer.

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