Nella domenica precedente alla settimana di GDC Europe e Gamescom ho avuto l’opportunità di visitare la NotGames Fest, un’esposizione videoludica non convenzionale situata all’interno dell’edificio che ospita il Cologne Game Lab, istituto che si occupa di ricerca e sviluppo di contenuti multimediali. Diciamo subito che l’evento non si trovata in una zona particolarmente patinata di Colonia; l’ordine teutonico della Koelnmesse era sostituito da una ricca raccolta di tutti i più spudorati cliché da periferia urbana: camion, erbacce, murales (brutti), ruggine e qualche simpatico drogatello. Solo un piccolo foglio segnaletico – venerabile nell’immagine di copertina – è riuscito ad estirpare dalla mia mente la certezza di essermi perso. Le mie aspettative di accoglienza vengono però ulteriormente ridimensionate quando, raggiunto l’ingresso, mi ritrovo per mezz’ora a bussare ad un grosso portone chiuso dall’interno. In preda alla disperazione inizio a circumnavigare inutilmente l’edificio in cerca di qualche porta sul retro, accompagnato per buona parte del tempo da Oscar, il mio nuovo super-amico tedesco. La situazione si è sbloccata solo quando gli organizzatori hanno realizzato che non si vedevano nuovi visitatori da ore, decidendo così di scendere a salvarci.
Durante la scalata di tre ripide rampe di scale, provo ad interrogare una delle organizzatrici riguardo alla genesi della manifestazione, arrivata quest’anno alla sua terza edizione. La risposta va purtroppo sul generico, limitandosi a ripetermi quello che già avevo appreso spulciando le pagine del sito ufficiale. La NotGames Fest è sostanzialmente un’occasione per mettere in mostra giochi (ed installazioni) non appartenenti ad alcuna categoria, movimento artistico o genere, esibendoli in un ambiente onirico in grado di amalgamarli assieme per creare così una giga-mega-meta-esperienza. Tutti i giochi infatti, salvo per System 1, erano esposti in una grossa camera dalle luci calde e soffuse, permettendo così al contempo di giocare e godersi le iterazioni che gli altri ospiti stavano vivendo. Per fare un esempio, mentre ero alle prese con i wireframe polverosi di Memory of a Broken Dimension potevo guardare alla mia sinistra un tizio girare su stesso con un cellulare in testa (ZYX), mentre alla mia destra due ragazze si godevano la loro montagna generata proceduralmente (Mountain) comodamente sdraiate su un letto di cuscini. La mostra contava al suo interno ben tredici opere esposte, ma per ragioni prettamente di voglia, vi parlerò approfonditamente solo delle tre che più mi hanno colpito. Se il mio pezzo non dovesse soddisfarvi abbastanza, potete leggervi i dettagli degli altri lavori direttamente da qui.
System 1 è il primo gioco che ho avuto il piacere di provare alla NotGames Fest. Non appena ho varcato l’ingresso sono stato rinchiuso da degli standisti, insieme ad altre tre persone (Oscar e due suoi amici), all’interno di un grosso cubo (approssimativamente tre metri per lato) sul quale venivano proiettate dall’esterno delle immagini, grazie a quattro proiettori indirizzati verso le facce perpendicolari al terreno. I giocatori, sfruttando i joystick montati su una piccola colonna all’interno del cubo, dovevano coordinare il movimento dei propri cursori per spostare degli oggetti semoventi all’interno di aree prestabilite, guadagnandosi così il passaggio al livello sucessivo. La cosa davvero interessante di questa installazione di Awww Design è la capacità con cui riesce a convertire l’intero volume creato all’interno della struttura in quello che è il vero e proprio ambiente di gioco. Durante la partita, che nel nostro caso non è durata meno di 15 minuti, siamo stati catapultati in un mondo alternativo, cullati da una ninna-nanna distorta ed ammaliati dalle figure colorate che fiorivano tra uno stage e l’altro. Una dimensione di gioco che, seppur non faccia affidamento sull’utilizzo di motion-controller o altri sistemi di input non convenzionali, riesce a coinvolgere la fisicità dei giocatori all’interno delle meccaniche di gameplay: nello specifico spesso mi sono ritrovato ad adottare pose bizzarre per consentire ai miei compagni di visualizzare lo “schermo” dietro le mie spalle. Un’esperienza resa ancora più lisergica dalle parole incomprensibili dei miei colleghi tedeschi, intenti probabilmente a coordinarsi tra loro.
Mentre provicchiavo confusamente Paradise, ho notato, a pochi metri da me, due ragazzi intenti ad eseguire piroette ed altre figure da ballo popolare. Pochi minuti dopo, ad esibizione conclusa, mi sono avvicinato furtivamente alla loro postazione per curiosare quando, alla sprovvista, un tedesco sudaticcio mi ha invitato, senza troppi preamboli, a ballare. Non ho fatto in tempo a rifiutare che già mi ritrovavo a condividere l’impugnatura di uno smartphone sul quale era avviato Bounden, il dancing game dello studio olandese Game Oven. Sfruttando il giroscopio, dovevamo guidare un piccolo cursore all’interno di anelli disposti su di una superficie sferica; la loro particolare collocazione ci obbligava a contorcerci a vicenda, arrivando a produrre qualche sporadico, ma legittimo, passo di danza. Immerso in un alone di imbarazzo tangibile, ho provato tre canzoni diverse, facendomi sballottare a destra e sinistra da quell’allegro ragazzo tedesco che, nel frattempo, insisteva nel comunicarmi concetti nella sua lingua madre. Il termine sballottato non è casuale e deriva dal fatto che spesso non è possibile avere sott’occhio lo schermo del cellulare, per questo, esattamente come succede nella danza di coppia, è piuttosto comune ritrovarsi ad essere guidati dal proprio partner, in un idillio d’immeritata fiducia. Il gioco, divertentissimo, è già disponibile per iOS ed Android.
Future Unfolding invece, attualmente in sviluppo presso gli studi berlinesi di Spaces of Play (già autori di Spirits), è un’avventura esplorativa fondata sulla meraviglia. Analogamente a quello che Shigeru Miyamoto aveva fatto con il suo The Legend of Zelda, i due autori, Mattias Ljungström e Marek Plichta, stanno cercando di restituire quel senso di scoperta, e appunto meraviglia, provato durante le scampagnate nei boschi della loro infanzia. Il gioco, che sembra ambientato in una sorta di foresta fantastica, colpisce prima di tutto per una direzione artistica sublime: un mondo astratto, fatto di colori sgargianti in continua mescolanza tra loro grazie ad una fauna, ed una flora, in costante movimento su schermo; la colonna sonora invece si palesava solo in momenti chiave (ad esempio dopo aver risolto un puzzle ambientale), lasciando a degli efficaci effetti sonori il compito di creare il resto dell’atmosfera. Uno stile artistico che mi ha ricordato in qualche modo il periodo Amiga, non saprei dirvi bene il perché. La principale ambizione del team tedesco attualmente è quella di evitare che il giocatore arrivi ad una completa conoscenza delle regole che dominano il mondo di gioco; in questo momento stanno sperimentando l’applicazione della generazione procedurale alle risposte d’iterazione, tradendo di partita in partita le aspettative che gli utenti hanno di un determinato elemento di gioco: già nei miei 40 minuti di prova ho notato alcune creature, simili a leoni, cambiare spesso il loro atteggiamento nei confronti del mio avatar, passando dall’ignorarmi completamente all’inseguirmi per uccidermi. Il fattore randomico è comunque usato anche per la generazione delle mappe di gioco e, soprattutto, per i passaggi segreti nascosti tra la fitta vegetazione. L’uscita di Future Unfolding è prevista per l’anno prossimo.
La gita alla NotGames Fest ha superato di gran lunga le mie aspettative. La selezione di opere ha il gran merito di non sfociare quasi mai nell’hipsterismo sfrenato, proponendo, anzi, giochi – o quantomeno idee – interessanti. Nonostante la sua natura di nicchia, mi sento di consigliare questo evento davvero a chiunque, anche solo per godersi l’atmosfera intima dell’allestimento.