Pubblicato il 19/03/16 da Neko Polpo

Cubicle 7, D&D e Tolkien – Una commercialata pazzesca

Diciamoci la verità: la notizia che Cubicle 7 produrrà una serie di manuali di Dungeons & Dragons (quindi col d20 System alla 5a edizione) proiettati nell’immaginario tolkieniano della Terra di Mezzo, ha stupito in molti e per i motivi più disparati. Io sono tra quelli – non pochi a dire il vero – ad essere più scettici, non solo perché Cubicle 7 ha già il suo titolo dedicato a Il Signore degli Anelli, e cioè The One Ring/L’Unico Anello dell’italianissimo Francesco Nepitello, ma anche perché D&D non è il sistema più adatto a ricreare le atmosfere tolkieniane, ma proprio zero.

Andiamo con ordine. Inutile negare che il Dungeons & Dragons degli albori sia stato pesantemente ispirato da Il Signore degli Anelli e il suo mondo immaginario, e in particolare da Lo Hobbit: le classi proposte rispecchiavano gli stereotipi di Thorin Scudo di Quercia e compagnia e per problemi di diritti d’autore, i signori della TSR dovettero persino cambiare il nome degli Hobbit in Halfling. Tuttavia il gioco si basava sull’avventura nuda e cruda, sull’esplorazione di dungeon e sull’arraffamento del tesoro, che per altro era il sistema che permetteva ai personaggi di fare esperienza e quindi avanzare. Insomma, un boardgame tattico che successivamente si è evoluto in quello che tutti conosciamo come il gioco di ruolo più famoso e venduto di tutti i tempi.

Dungeons&Dragons: Artwork dalla quinta edizione
Dungeons & Dragons: artwork dalla quinta edizione.

Nel tempo, Dungeons & Dragons non è cambiato poi molto. Il focus del gioco è sempre rimasto attaccato all’esplorazione dei dungeon e ai combattimenti con i mostri, con un sistema che ha sempre supportato solo questo modo di giocare, tanto che, chi avesse voluto giocare storie più avvincenti con personaggi più profondi, avrebbe dovuto destreggiarsi tra house rule varie, che spesso e volentieri levavano coerenza al gioco stesso, nel tentativo di dargliene una. È anche per questo che a partire dai tardi anni Duemila si sono sviluppati – soprattutto sulla scena indie – giochi che, pur non disdegnando la componente fight, hanno creato sistemi e sottosistemi che regolassero anche gli aspetti più interpretativi e strettamente di ruolo del gioco. Penso, ad esempio, a Burning Wheel, che oltre ad essere il primo gioco a spingersi in questa direzione, è anche quello che più di tutti è riuscito a coprire ogni dinamica interna di un gioco di ruolo fantasy a cavallo tra Tolkien e D&D, con un set di regole coerenti e – per quanto complesse – funzionali. Non è un caso che i suoi figli – MouseguardTorchbearer abbiano goduto e godano tutt’ora di un successo straordinario.

Tornando a Cubicle 7, anche loro hanno creato un prodotto validissimo nel già citato The One Ring, che ho letto due volte – anche se non sono riuscito ancora a giocarlo – e mi ha lasciato piacevolmente soddisfatto anche solo alla lettura, benché conservi un’impostazione che da qualche anno fatico ad apprezzare nei giochi di ruolo, e che per semplicità definisco tradizionale. Con un gioco del genere, capace di catapultare i giocatori nella Terra di Mezzo, di cui – sulla carta – ricrea magistralmente le atmosfere, proponendo un sistema capace di abbracciare le tematiche e le situazioni dei romanzi e dei racconti, perché Cubicle 7 ha deciso di tirare un frego metaforico e ripartire da un gioco vecchio e inadeguato?

The One Ring: un'immagine dal manuale della seconda edizione
The One Ring: un’immagine dal manuale della seconda edizione.

Intendiamoci, non credo che questa mossa significhi la morte editoriale di The One Ring, ma anche se la quinta edizione di D&D si è rinnovata, introducendo qualche elemento più moderno, nel suo core resta pur sempre D&D, con prove contrapposte, classi armatura, test, coefficienti di difficoltà, ecc., e non credo che lo scopo sia quello di rendere più fruibile un gioco creato apposta per riproporre un tipo particolare di fiction. La mossa è meramente commerciale. C’è una nutrita fetta di giocatori – la maggioranza, probabilmente – che ancora gioca a D&D o ai suoi derivati, Pathfinder su tutti. Clienti che apprezzano anche il mondo di Tolkien e che saranno ben felici di fare 2+2, impazienti di gettare i soldi contro lo schermo del PC per accaparrarsi la loro copia. Però credo che ci voglia un po’ di consapevolezza sul fatto che si tratta esclusivamente di una mossa commerciale e dubito fortemente che dal punto di vista qualitativo sarà pubblicato un prodotto valido.

Non voglio passare per quello che ha capito tutto prima del tempo. È solo che conosco i miei polli: so cos’è D&D e quali sono i suoi limiti, so cos’è TOR e quali sono i suoi pregi e i suoi difetti. Probabilmente si poteva spingere di più per cesellare questo prodotto – cosa che in parte è stata fatta con la seconda edizione – ma evidentemente non avrebbe e non ha portato i frutti, e i guadagni, sperati. Si starà a vedere quando verranno pubblicati i primi manuali (al plurale, sì, tanto lo so che si cercherà di spremere più succo possibile da queste arance), ma non sono per niente fiducioso.

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