Prima di iniziare l’articolo devo fare alcune premesse: Virtualerotico è il primo libro che “recensisco”, cioè che leggo anche per altri, e tratta, oltre che di un argomento che mi sta molto a cuore, anche di uno che non conosco ancora molto bene.
Ho deciso di affrontarlo capitolo per capitolo, anche se alcune tematiche sono esaminate trasversalmente, in modo da rispettare i punti di vista dei vari autori. In corso d’opera mi prenderò la libertà di rivedere l’ordine in cui i saggi son stati disposti, perché penso sia necessario.
Come riporta la quarta di copertina, Virtualerotico è una “originale raccolta di saggi dall’approccio multidisciplinare che spazia dalla storiografia al gamedesign, dalla psicologia alla filosofia, dalla pedagogia agli studi di gender”, tracciando “l’evoluzione del sesso e dell’erotismo nei videogiochi, attraverso l’analisi di particolari case studies e tematiche specifiche relative all’argomento”. Tutti gli autori sono qualificati e hanno esperienze sia nel campo artistico e multimediale e specificatamente videoludico che in quello dell’insegnamento.
Con queste premesse, immagino che il target di Virtualerotico siano anche educatori, genitori e insegnanti, oltre che studenti e “addetti ai lavori”, perciò la prefazione mi ha lasciata delusa e basita.

Matteo Bittanti, direttore della collana Ludologica in cui è stato pubblicato Virtualerotico, vi cita Marshal McLuhan in un passaggio che descrive l’uomo come organo sessuale della macchina, a indicare che guida l’evoluzione della tecnologia modificandola continuamente e dandole altre forme. La macchina, per contro, è asservita all’uomo e ne “ottempera tutte le volontà e i desideri”. È una metafora magnifica, che rispecchia perfettamente l’innegabile interdipendenza tra uomo e macchina, senonché poco dopo vengono citati Samuel Butler e il suo Erewhon (1872), in cui l’interdipendenza si ribalta a favore delle macchine, che ci rendono dipendenti da loro e infine schiavi tenuti in vita solo per svolgere la nostra funzione di “api”, in una macabra parodia della dialettica servo-padrone hegeliana. E poi arriva la domanda lapidaria, spiazzante: cosa c’entrano le macchine di Butler e la tecnologia come estensione di McLuhan con sesso e videogiochi? “Tutto”, risposta a cui seguono alcuni inquietanti esempi, anche tratti dalla fantascienza.
Ora, è innegabile che alcuni degli inquietanti esempi succitati siano reali e sperimentati da tutti noi ogni giorno, ma obiettivamente introdurre in questo modo degli argomenti delicati, e per gran parte inesplorati dal grande pubblico, è un crimine contro l’umanità. Con questa premessa approcciarsi a un’opera che tenta di spiegare come il sesso viene rappresentato nei videogiochi e come il fruitore vi si relaziona è alienante e fuorviante: presuppone che non ci possa essere una maggiore consapevolezza della tecnologia e del modo in cui la si utilizza, e la presenta come un flagello che potrebbe distruggere per sempre la socialità umana e la stessa umanità come specie.
I saggi che seguono si discostano dai toni usati nella prefazione, e analizzano l’argomento in modo obiettivo e competente.

I primi due capitoli sono dei curatori Francesco Alinovi, docente di Game Design presso la NABA a Milano, e Luca Papale, docente di Teorie e Tecniche di Game Design e di Teorie dell’Intermedialità presso lo IUDAV di Salerno.
Alinovi, partendo dalla premessa che gioco e sesso siano un tassello fondamentale dell’evoluzione umana e della nostra quotidianità, affronta il rapporto tra essi da punti di vista differenti: del design, neuropsicologico, antropologico e biologico. Il saggio è indubbiamente interessante ma, come lo stesso Alinovi ammette nella conclusione, è il frutto di una ricerca ancora in corso, e in alcuni punti pare procedere a fatica, più per libera associazione che seguendo un filo conduttore ragionato. Vorrei però sbilanciarmi sulla scelta di Ortoleva e Bauman tra le fonti. I due libri citati (che non ho letto per intero), Dal sesso al gioco. Un’ossessione per il XXI secolo? e Gli usi postmoderni del sesso, sembrano trattare il gioco, la ludicità e l’erotismo come qualcosa di invadente e corrotto nel mondo odierno, come se fossero piaghe di una società deresponsabilizzata e infantile, e pregiudicano in modo negativo e passivo l’approccio dell’utente ai contenuti videoludici e sessuali. Si può quasi dire che sia in controtendenza rispetto agli altri capitoli, che al contrario assegnano al giocatore un ruolo giustamente interattivo e una capacità critica. Consiglierei quindi di leggerlo per ultimo, dopo aver chiarito altri aspetti riguardanti l’argomento.
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Papale, invece, si lancia in un’analisi qualitativa dell’evoluzione del sesso nel corso della storia videoludica attraverso 20 titoli che hanno avuto influenze significative sulla produzione successiva o segnato svolte epocali, o si son resi protagonisti di polemiche e grandi successi di mercato e critica. L’analisi, che parte da Custer’s Revenge (1982) e arriva a Wicked Paradise (mai pubblicato e di cui non si hanno notizie dal 2013), descrive accuratamente ogni titolo citato, sia dal punto di vista narrativo e del gameplay che simbolico, e raccoglie aneddoti e gossip che li riguardano. È un saggio che consiglierei di leggere per primo, o per penultimo con maggiore consapevolezza su alcuni temi.

Subito dopo saltate il capitolo di Tagliaferri, di cui parlerò tra un po’, e lanciatevi su “Il piacere videoludico” di Carlo Cuomo, docente di Grafica 3D Maya presso lo IUDAV e Art Director per numerose produzioni italiane ed estere.
Il saggio tratta delle interfacce fisiche e del loro “rapporto/apporto in relazione al giocatore, al gameplay e sopratutto alla dimensione corporea dell’esperienza ludica”, partendo dalle tipologie di spettatore illustrate da Ivana Matteucci. Spiega poi cosa spinge gli esseri umani a diventare giocatori e fa un breve excursus degli strumenti che hanno permesso al giocatore di manipolare il gioco, dal primissimo Paddle ai moderni dispositivi motion controller e per la realtà virtuale. Tutto questo si ricongiunge con una nuova concezione di rappresentazione pornografica, in cui vengono messi in luce i limiti sensoriali dei videogiochi pornografici odierni, per i quali però si fanno già degli esperimenti con i alcuni dei dispositivi succitati.
È un testo interessante che spiega in modo didascalico l’evoluzione dell’interazione videoludica esplorandone anche il prossimo futuro. In conclusione l’analisi del film The Lawnmower Man (Il tagliaerbe – 1992) sembra suggerire un’imparziale educazione all’utilizzo responsabile e consapevole della tecnologia e dei suoi contenuti.
C’è ora una ramificazione: si può tornare al saggio di Triberti&Argenton oppure saltare a quello di Nardone, a seconda che vogliate approfondire il punto di vista psicologico o quello educativo.
Luca Argenton è uno psicologo che si occupa di serious games e della messa a punto di nuove tecnologie per la formazione e lo sviluppo di soft skills, mentre Stefano Triberti frequenta il Dottorato di Ricerca presso l’Università Cattolica di Milano occupandosi di user experience nell’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare videogiochi e realtà virtuale, per il benessere individuale e collettivo. I due descrivono i possibili effetti del sesso, della violenza e della violenza sessuale sui giocatori, ricorrendo a ricerche (in cui son stati coinvolti gli stessi giocatori) e teorie psicologiche che spiegano il fenomeno con approcci diversi, mettendo in luce sia gli effetti positivi sia quelli negativi che giocare ai videogiochi può avere. I risultati sono sorprendentemente rassicuranti, ottimo antidoto contro l’isteria di massa che si scatena ogni volta che un nuovo GTA appare all’orizzonte, e si ricollegano sia a tematiche educative che etiche.
Da qui quindi si può passare al saggio di Nardone o a quello di di Letizia.
Roberto di Letizia, laureato con lode in Filosofia Teoretica presso l’università di Bari, ha conseguito il Dottorato i Ricerca in Scienze della Mente e delle Relazioni Umane presso l’Università del Salento ed è docente di Storia e Filosofia nelle scuole superiori. Ammetto che ho avuto difficoltà a inquadrare il suo saggio, e ho dovuto chiedergli spiegazioni: il mio problema era che non avevo centrato il punto, travisando del tutto il contenuto del capitolo. La parola chiave è circolo ermeneutico videoludico, in base al quale un videogioco non è mai “neutro, puro, oggettivo” ma si scontra con (o incontra) “la pre-struttura cognitiva in cui è radicato l’interpretante […] (per esempio credenze personali, convenzioni sociali o morali a cui aderisce, disposizioni, abilità)”, rendendo di fatto il giocatore responsabile di come capisce e vive il gioco. Un parte di questa responsabilità va anche ai game designer, al game design e alla community di giocatori, che contribuiscono a fare del gioco un’esperienza morale. Come lo stesso autore ha ammesso in privato, è un capitolo difficile da digerire (“non da comprendere”), perciò consiglio di tener sempre ben presenti il significato di etica e le due domande a cui il saggio cerca di rispondere (e magari di prendere anche degli appunti).

Rosy Nardone è ricercatrice in Didattica e Pedagogia Speciale presso il Dipartimento di Scienze Filosofiche, Pedagogiche ed Economico-Quantitative dell’Università di Chieti-Pescara. Il suo saggio si concentra sul possibile uso dei videogiochi nell’educazione sessuale, ed è semplicemente illuminante su un tema osteggiato senza motivo da gentaglia ignorante ed egoista. Penso sia un contributo fondamentale e non scontato in un libro come Virtualerotico, sia per quel che riguarda la sessualità che per l’enfasi che pone sull’educazione come mezzo per capire e analizzare anche i concetti più inconcepibili.
Da qui si può andare al capitolo di De Santis, che ci parla della rappresentazione dell’omosessualità, o a quello di Tagliaferri sul ferreo controllo sociopolitico che i videogiochi subiscono.
Luca de Santis è autore, sceneggiatore e studioso di morfologia della narrazione e semiotica della comunicazione. Il suo saggio mette in luce come le persone LGBT, creature spaventose da sempre associate all’erotismo e alla pornografia (perciò da censurare), per lungo tempo abbiano avuto ruoli malvagi, negativi o stereotipati, a iniziare dai picchiaduro a scorrimento degli anni ’80 e ’90. Solo recentemente (il libro cita titoli dal 2009 in poi, come Fallout: New Vegas, Borderland 2 e The Last of Us) e dopo un lungo percorso partito a metà degli anni ’90, le persone LGBT iniziano ad assumere un’identità e una personalità più veritiera, positiva e completa. Per approfondire consiglio di leggere anche Videogaymes: omosessualità nei videogiochi tra rappresentazione e simulazione (1975-2009), dello stesso autore.
Simone Tagliaferri, redattore di Multiplayer.it, game designer ed esperto di videogiochi, ci parla di come il sesso venga usato come un prodotto immancabile, ma impossibile da mostrare come un fenomeno complesso e naturale, e spesso sia vittima di una censura severa (basata sul PEGI o sul sistema ESRB) da parte delle autorità e degli stessi publisher. Con l’intenzione di esaminare quei titoli in cui “la sessualità diventa il culmine di rapporti umani complessi”, focalizzando la sua attenzione sul modo in cui è stata rappresentata nella vita del personaggio, prende in esame tre software house occidentali, CDProject, BioWare e Quantic Dream. È un saggio per certi versi provocatorio, ma anche triste in alcuni passaggi, che spinge prepotentemente alla riflessione (le domande finali, in particolare, sono utilissime per affrontare l’argomento in modo critico, non soltanto in campo videoludico).

Gli ultimi due brevi capitoli affrontano tematiche integrative. Il primo (che mi è sembrato un po’ raffazzonato), curato da Chris Darril, Art Creative Director e Graphic Designer che ha lavorato a diversi progetti videoludici, è dedicato all’utilizzo di allusioni sessuali e sessiste nella pubblicità dei videogiochi. L’ultimo, di Debora Ferrari, giornalista e critico d’arte, e Luca Traini, insegnante di Storia e Filosofia, curatore d’arte, poeta, drammaturgo, esplora la rappresentazione della sessualità nell’arte e nei videogiochi, mettendo a confronto i percorsi storici di entrambi. Alla fine propongono una piccola gallery in cui, grazie anche all’aiuto del game photographer italiano Emalord, mettono a confronto alcune opere con degli screenshot tratti da titoli molti conosciuti e diffusi.
Giunti alla conclusione di questa lunga “recensione”, vi invito a correre subito a comprare Virtualerotico e leggerlo con grande attenzione (saltando la prefazione, magari). Se volete regalatelo, sottoponetelo agli insegnanti dei vostri figli, leggetelo con loro (o proponete loro di leggerlo)… E, ok, forse sto esagerando con l’entusiasmo, ma penso davvero che questo libro meriti un posto speciale nelle librerie delle famiglie odierne e nelle scuole, perchè c’è ancora molta ignoranza e molta voglia di sfruttarla per limitare il lavoro e le passioni altrui.
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