Nel vasto e frenetico panorama videoludico odierno, c’è un gioco che invita a fermarsi, respirare, ascoltare.
Wanderstop, nato dal genio creativo di Davey Wreden (già autore di The Stanley Parable) e Karla Zimonja, e pubblicato da Annapurna Interactive, è più di un videogioco: è un rifugio digitale.
Con la musica eterea di C418 (il compositore di Minecraft), la direzione artistica ispirata all’Impressionismo e all’Art Nouveau, e un gameplay che rifiuta la frenesia, Wanderstop ci offre un invito sincero alla quiete.
Una storia di riposo e rinascita
La protagonista, Alta, è un’ex guerriera leggendaria reduce da due sconfitte che ne hanno minato la fiducia. In cerca di risposte, crolla esausta in una foresta e viene accolta da Boro, un bonario proprietario di una sala da tè immersa nella natura. Qui, lontano dai clangori della guerra, Alta inizia un nuovo percorso: fatto non di combattimenti, ma di ascolto e cura.
Il gioco si costruisce attorno a una narrazione che parla di burnout, guarigione e vulnerabilità. I clienti della sala da tè sono personaggi fuori dal comune: un padre “cavaliere” che finge per amore del figlio, una vecchietta imprenditrice competitiva, un cacciatore di demoni in pensione. Ognuno porta con sé un frammento di umanità, e Alta, pur riluttante, li ascolta. Il rapporto con Boro, figura al tempo stesso comica e saggia, cresce attraverso dialoghi brillanti e silenzi condivisi. Il racconto non ha pretese epiche: è “semplicemente” un inno alla quotidianità e al cambiamento. Ogni capitolo segna una tappa nel viaggio di Alta, un lento sbocciare della sua consapevolezza interiore. La radura che fa da sfondo è essa stessa un personaggio, viva e mutevole, con colori che riflettono gli stati d’animo, dal rosa dell’alba alle tinte più intense dei momenti critici. Non si tratta però solo di parole: ogni storia dei clienti si sviluppa attraverso momenti interattivi, piccoli puzzle, dialoghi ramificati. Alta cresce ascoltando, confrontandosi e anche sbagliando. Non è l’eroina classica: ha momenti di rabbia, esitazione, disillusione. Ma è proprio questa sua umanità a renderla affascinante, ci fa affezionare a lei e ci fa desiderare che trovi la pace interiore che merita.
Il tono della scrittura è brillante, capace di far ridere e commuovere, con dialoghi che alternano leggerezza e profondità. La narrazione non predica, ma suggerisce: ci mostra, attraverso esempi semplici, quanto sia difficile ma necessario prendersi cura di se stessi.
Un gameplay dolce come miele
Il cuore del gameplay è la preparazione del tè. Non si tratta di un minigioco standard, ma di una vera e propria cerimonia. Le foglie vanno raccolte a mano, essiccate, infuse in un grande macchinario composto da leve, tubi e contenitori. Alta interagisce fisicamente con ogni elemento: sposta, versa, regola temperature. Ogni cliente desidera un effetto specifico, e il giocatore deve combinare le giuste erbe per ottenere l’infuso ideale. Il processo è meditativo, mai punitivo: non esistono conseguenze drastiche per un errore. Si può riprovare, e spesso il tentativo sbagliato porta a reazioni esilaranti dei clienti.
Parallelamente, troviamo un sistema di giardinaggio esagonale che permette di coltivare erbe e frutti. La griglia su cui piantare i semi crea combinazioni che determinano il tipo di pianta. Alcune disposizioni generano nuove varietà, altre servono a moltiplicare i semi. Il sistema è semplice da apprendere ma abbastanza profondo da stimolare la sperimentazione. Non c’è fretta: ogni azione può essere compiuta con calma, osservando la crescita, contemplando l’equilibrio del giardino. A completare l’esperienza ci sono attività secondarie come spazzare foglie, ripulire lo spazio, innaffiare vasi e curare l’estetica della sala da tè. Si possono appendere foto, raccogliere oggetti smarriti, esplorare la radura.
I pluffin, creature simili a pinguini, animano il paesaggio e possono causare buffi imprevisti, come rubare semi lasciati incustoditi. Questi elementi danno vita a un ecosistema giocoso e rilassante.
Il gioco è volutamente privo di timer, punizioni o pressioni. È una dichiarazione d’intenti: invita a rallentare, a vivere ogni gesto come significativo. Il gameplay si allinea così con il messaggio narrativo: guarire richiede tempo, pazienza e attenzione.
Estetica: tra sogno e natura
Visivamente, Wanderstop è una poesia. La palette cromatica è calda, fatta di tinte pastello e contrasti morbidi. Il mondo sembra dipinto a mano, con richiami evidenti all’arte impressionista: la luce filtra tra gli alberi, l’erba ondeggia al vento, i riflessi dell’acqua cambiano durante il giorno. La sala da tè è decorata con motivi Art Nouveau: curve, dettagli floreali, materiali naturali. Ogni angolo della radura racconta qualcosa. Le stagioni cambiano, il tempo scorre, gli animali compaiono e scompaiono. Nulla è lasciato al caso. Le animazioni sono fluide e conferiscono personalità anche agli oggetti: le tazze tintinnano, i pluffin zampettano, le foglie si sollevano al passaggio. I personaggi hanno design unici, stilizzati ma capaci di comunicare emozioni. Boro, ad esempio, con il suo sorriso e la sua mole rassicurante, è una presenza che mette serenità.
L’estetica non è solo bellezza: è coerenza narrativa. Il mondo visivo riflette gli stati d’animo dei personaggi. Nei momenti più oscuri, i colori si fanno cupi; quando c’è gioia, la radura sembra splendere.
La grafica non supporta solo il gameplay, ma amplifica il messaggio: la natura, come le emozioni, è mutevole ma armoniosa.
Musica: un abbraccio sonoro
La colonna sonora firmata da C418 è uno dei punti di forza di Wanderstop. I brani accompagnano l’azione senza sovrastarla: melodie delicate, arpeggi, suoni ambientali. Ogni cliente ha un tema musicale, ogni attività una variazione. Cambiando la stazione della radio nel negozio, si possono ascoltare versioni differenti della musica di sottofondo, personalizzando l’atmosfera. La musica reagisce anche al progredire della storia: toni più malinconici nei momenti difficili, armonie leggere nei capitoli più spensierati. Il risultato è un paesaggio sonoro dinamico, che si adatta al ritmo e alle emozioni del giocatore.
Anche i menu sono musicali: selezionare le voci a disposizione produce note che si intrecciano con la melodia principale.
Gli effetti sonori sono anch’essi parte integrante dell’immersione: il fruscio del vento, il gorgoglio dell’acqua, i passi sull’erba. Ogni suono è scelto con cura per creare un ambiente credibile e rassicurante.
Il doppiaggio, presente in alcune scene chiave, dà voce ai momenti più intensi, ma lascia ampio spazio al silenzio e alla riflessione.
Una pausa necessaria
Wanderstop è un gioco che emoziona. Non con colpi di scena o finali drammatici, ma con la quotidianità. Racconta storie di fallimenti, paure, sogni semplici. Alta non è una salvatrice: è una donna che ha perso la sua strada, come tanti di noi. Il suo percorso non è lineare, ma fatto di esitazioni, scoperte, piccoli traguardi. Ed è proprio questa autenticà a colpire.
Il gioco parla a chi si sente stanco, perso, inadeguato. E lo fa senza giudicare, con delicatezza. Offre uno spazio dove essere vulnerabili non è una colpa, ma un punto di partenza. Dove la cura degli altri e delle cose è una forma di guarigione reciproca. Dove anche un semplice gesto, come offrire una tazza di tè, può avere un significato profondo.
In un mercato dominato da obiettivi, punteggi, sfide, Wanderstop sceglie di rallentare. Non ha livelli da superare, nemici da sconfiggere, trofei da collezionare. Ha persone da ascoltare, spazi da curare, emozioni da attraversare. Questo lo rende unico ma anche divisivo: non tutti apprezzeranno la lentezza, la ripetitività voluta, la mancanza di una progressione convenzionale. Ma chi saprà abbracciare questa filosofia, troverà un’esperienza rara. Wanderstop non vuole trattenere il giocatore con meccaniche complesse, ma accompagnarlo per un tratto del cammino. Vuole essere una pausa, un momento di respiro. E in questo riesce perfettamente.
In conclusione Wanderstop è più che un gioco: è un invito a fermarsi, ad ascoltare, a ritrovarsi. Con una narrazione profonda, un gameplay contemplativo, una direzione artistica ispirata e una colonna sonora avvolgente, costruisce un mondo dove è bello perdersi. Non è per tutti, ma chi lo accoglierà nel modo giusto ne uscirà arricchito.
In un mondo che corre, Wanderstop ci ricorda che anche il riposo è un atto di coraggio. E che a volte, per guarire, basta una tazza di tè, un po’ di silenzio e qualcuno disposto ad ascoltare.
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