Nella tranquilla cittadina di Refrain gli abitanti vivono pacificamente la propria quotidianità, sbrigando faccende di uso comune e tirando avanti senza ostentare un particolare benessere. Ma di notte, dopo il terzo rintocco della campana, è bene barricarsi in casa, dato che misteriose e inquietanti creature di origine sconosciuta si aggirano per le strade: se ne deduce che la situazione non sia poi così idilliaca e al centro di tutto – anche del paese stesso -sembra esserci un pozzo il cui accesso è chiaramente vietato al pubblico.
Si narra infatti che nelle sue profondità si celi un intricatissimo labirinto, ricco di preziosi tesori ma anche di non ben precisate mostruosità: a causa di un’elevata quantità di miasma infatti nessun essere umano può entrarci sperando poi di uscirne, precludendo l’accesso a tutti gli avventurieri assetati di fama e ricchezza.
Tutti tranne uno che, secondo quanto si dice, sia riuscito a sopravvivere alle insidie celate nel sopracitato pozzo tanto da scriverci un libro, per poi morire poco dopo.

Il caso vuole che tale manufatto cartaceo sia in mano alla strega Dronya e alla sua giovane assistente Luca – i giapponesi e i nomi italiani, una storia d’amore e d’odio – da poco arrivate a Refrain con l’intenzione di esplorare il suddetto labirinto.
Ma come fare se nessuno può metterci piede a causa dell’alta densità di miasma? Semplice, basta spedirci l’artefatto di cui sopra: noi infatti impersoneremo il Tractatus de Monstrum, una sorta di libro senziente in grado di immagazzinare ogni genere di informazione al suo interno, ma di fatto incapace di spostarsi da solo. Ed è qui che entrano in gioco i Manania.
I Manania non sono altro che fantocci a cui è stata donata un’anima tramite la magia e che, una volta a contatto col flusso di Mana presente nel labirinto, si trasformano in “persone vere” in grado di portare con sé il mistico libro durante l’esplorazione.
Un incipit narrativo che quindi ben si amalgama con la natura di dungeon crawler del prodotto, giustificando di fatto determinate meccaniche e scelte di design, in grado di stupire il giocatore in più occasioni, senza purtroppo rinunciare a una nutrita dose di cliché tipici delle produzioni NIS a cui titoli come Disgaea e The Witch and The Hundred Knight ci hanno abituato.

Se all’inizio il gameplay sembra non discostarsi troppo dai canoni del genere, basta spendere qualche ora di gioco per accorgersi che il lavoro di NIS si è concentrato sul rendere l’esperienza accessibile piuttosto che innovativa: senza contare le numerose ed esaustive schermate di tutorial – che invero tendono a ripetersi potendo risultare fastidiose per alcuni – si nota come i combattimenti siano stati resi più veloci e per certi versi sbrigativi rispetto alla media, poiché privi di tutte quelle opzioni presenti in altri titoli che, se da un lato conferiscono profondità all’esperienza, da un altro la rallentano sensibilmente.
Ingaggiato un gruppo di nemici quindi ci troveremo a gestire un party opportunamente disposto tra avanguardia e retroguardia a seconda delle armi equipaggiate, suddiviso in cinque sottogruppi denominati Coven che possono ospitare fino a tre Manania, gestibili tramite le solite funzioni di attacco, difesa – che fortificherà tutto il Coven -e magia.
Ciò che rende davvero interessante tale sistema è la possibilità che due o più personaggi, condividenti una buona affinità, possano attivare effetti come Resonance o Echo, ossia dei boost temporanei dedicati rispettivamente ad attacchi fisici e magie, ottenibili concentrando le forze su un unico bersaglio.
Menzion d’onore poi per la meccanicha dei Gore Hit, un tipo di colpi critici che vanno a rompere determinate parti del bersaglio, riducendone sensibilmente le statistiche: ovviamente il party non ne sarà immune, costringendoci a tenere un occhio di riguardo nei confronti dei Manania più fragili.

Come in ogni dungeon crawler che si rispetti l’esplorazione assume un ruolo fondamentale: il labirinto è enorme e, oltre alla nutrita fauna, presenta un’enorme quantità di bottino da scovare, tra cui spicca una preziosa risorsa, ovvero il sopracitato Mana: tale valuta non serve solo a modificare determinati parametri come la difficoltà o l’attivazione di alcune abilità passive, ma più se ne ha a disposizione, migliore è il drop rate degli oggetti ottenuti dai nemici. Ciò non significa che sia possibile grindare a iosa, poiché ogni piano del labirinto ci impone una quantità massima di Mana, superata la quale potrebbero accadere eventi poco piacevoli, che non vi svelo per non rovinarvi il gusto della sorpresa.
Parlando più nello specifico dei Manania, essi rappresentano le possibilità che il giocatore ha per personalizzare la propria esperienza di gioco, in quanto tutto il processo necessario alla loro creazione non è che un modo per spronare l’utente a sperimentare nuovi tipi di sinergie tra personaggi: se le classi di base sono decisamente poche, lo stesso non si può dire di abilità ed equipaggiamenti, presenti in gran numero e varietà.
Una volta creato un fantoccio, lo si inserisce in un Coven tramite un Soul Pact – in soldoni “il contenitore” di un sottogruppo atto a fornirgli specifiche skill – e si è pronti a partire alla volta del dungeon: più potenti saranno i nostri Coven, più Reinforcement Point ci verranno sottratti all’entrata del labirinto.
Tali punti si consumano eseguendo le azioni sul campo, come piazzare un’uscita temporanea o rompere i muri per raggiungere zone altrimenti inacessibili, venendo lentamente ripristinati ogni qualvolta si trovano fonti di Mana a cui attingere.

Sul fronte tecnico il titolo si attesta sui medesimi livelli di altre produzioni NIS: mole poligonale ridotta all’osso e texture essenziali fanno da contrappeso alla splendida direzione artistica, alla quale gli aficionados della piccola software house sono abituati da anni, specie quando questa mette in gioco due suoi pilastri quali Takehito Harada ai disegni e Tenpei Sato alla ost.
Labyrinth of Refrain: Coven of Dusk farà la felicità di tutti coloro che, dopo l’ottimo Stranger of Sword City, si aspettavano un nuovo esponente del genere non basato sul più scialbo dei fanservice, ma su un effettivamente solido e divertente gameplay: le scelte fatte in fase di sviluppo non lo rendono una rivoluzione per il genere, ma riescono nell’intento di fare del titolo una buona partenza per chi voglia imparare a masticare dungeon a turni.
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