La notizia è di quelle che potenzialmente marcano un segno indelebile nella società, uno spartiacque tra un ‘prima’ e un ‘dopo’. Pochi giorni fa, il Comitato Internazionale Olimpico, il più importante organo sportivo internazionale, che riunisce e coordina federazioni sportive di ogni disciplina e di ogni Paese, ha ufficialmente riconosciuto gli Esport come attività sportive a tutti gli effetti, nonostante l’opinione contraria del Presidente dello stesso CIO, Thomas Bach. Il CIO ha precisato che, come ogni altra disciplina sportiva, anche gli Esport dovranno fare propri i valori olimpici, dotarsi degli apparati per i controlli antidoping e prendere misure contro le scommesse. In ogni caso, la strada per le Olimpiadi pare ormai spianata.
Su questa falsariga, gli Esport figureranno nel programma dei Giochi Asiatici, che si terranno il prossimo anno in Indonesia, e persino il comitato organizzatore di Parigi 2024 si era in precedenza espresso favorevolmente.
Una decisione di tale portata non può che far riflettere, e a molti – appassionati di videogiochi, appassionati di sport, ma anche persone senza un particolare interesse per nessuno di questi settori – sarà sorta spontanea la domanda: ma gli Esport possono davvero essere considerati sport? E possono davvero aspirare all’inserimento nella gara sportiva per eccellenza, le Olimpiadi?
Per provare a rispondere a queste domande occorre senza dubbio definire cosa si intenda per sport e quali sono le caratteristiche dello sport (e degli sport).
Il vocabolario Treccani definisce lo sport come “Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui si realizza […]”. Senza focalizzarsi troppo su questo tipo di definizioni linguistiche, si può però affermare che buona parte dei dizionari e delle enciclopedie, nonché il comune buonsenso, individuano due componenti fondamentali dell’attività sportiva: la componente agonistica, che si riferisce allo sport come sfida (sfida contro altri, sfida contro se stessi, sfida contro “la natura”), e la componente dell’attività fisica come fulcro dello sport, si tratti di attività legata alla resistenza, alla potenza, alla velocità, allo sviluppo di una particolare tecnica fisica o a tutti questi aspetti combinati, supportati da una tenuta psicologica che impone sempre concentrazione e allenamento anche mentale.
Se è indubbio che gli Esport incorporino la componente agonistica, con numerosi tornei tra giocatori professionisti a livello mondiale che si svolgono ormai da molti anni (già nel 1980 la Atari organizzò un torneo di Space Invaders negli Stati Uniti), le perplessità riguardano semmai la componente fisica, che negli Esport è praticamente assente: vi è, sì, la componente psicologica necessaria in ogni sport, ma manca ogni tipo di qualità o abilità atletica – fermo restando che l’agilità delle dita e la coordinazione psico-motoria necessaria per gli Esport non possono essere definite qualità propriamente “atletiche”.
Si potrebbe obiettare che appartengono a pieno diritto alle Olimpiadi anche sport meno “fisici” e più “mentali”, come il tiro con l’arco; e tuttavia, questi sport presentano comunque una componente fisica (di postura, di resistenza alla fatica e di potenza muscolare) molto maggiore di quella richiesta per giocare a un videogame.
A questo punto è necessario chiedersi perché, pur non essendo propriamente configurabili come sport, gli Esport stiano addirittura viaggiando verso un accesso alle Olimpiadi. Per fare un esempio simile, le competizioni scacchistiche a livello mondiale si tengono da molto più tempo di quelle di Esport, ma non si è mai valutato seriamente di inserire gli scacchi nel programma olimpico.
La risposta pare ovvia, quasi banale: gli Esport muovono ormai un volume d’affari considerevole. Nel 2016 il fatturato complessivo degli Esport è stato di 493 milioni di dollari, e si stima che nel 2020 raggiungerà la cifra record di 1,48 miliardi di dollari (fonte: Business Insider). Anche in termini di pubblico, il successo è notevole: nel 2016, 162 milioni di persone hanno seguito regolarmente gli eventi di Esport e quasi altrettante in modo occasionale; si stima che tali cifre quasi raddoppieranno entro il 2020 (fonte: Statista). È quindi naturale che il circuito sportivo si interessi a qualcosa che muove così tanti soldi, qualcosa di potenzialmente molto, molto redditizio.
Alla luce di questa semplice constatazione, appare dunque inevitabile che presto gli Esport conquisteranno il loro posto nelle maggiori competizioni sportive internazionali, accanto agli sport tradizionali, pronti a infiammare schiere di tifosi, a coprire di soldi i loro “atleti” e a riempirsi di sponsor prestigiosi.
Personalmente, ritengo che tutta la professionalità, la preparazione e la bravura dei videogiocatori professionisti non siano sufficienti a giustificare l’equiparazione di sport e Esport. Accanto alle Olimpiadi sportive, ben vengano le Olimpiadi degli scacchi, le Olimpiadi della matematica e le eventuali Olimpiadi di Esport; sovrapporre però competizioni che, per stile e vocazione, sono così diverse fra loro, appare una mossa quantomeno azzardata.
È innegabile che nella tradizione olimpica, sia quella antica, con i Giochi olimpici che si disputavano in Grecia, sia quella moderna, inaugurata alla fine del XIX secolo dal barone Pierre de Coubertin, l’attività fisica e la competizione tra i migliori atleti del mondo abbiano sempre giocato un ruolo di primissimo piano. Estendere in maniera così arbitraria il concetto stesso di Olimpiadi, includendo, per fini meramente economici, settori che nulla hanno a che fare con l’attività fisica, risulta una forzatura priva di senso. Ma mi rendo conto che, in questa epoca governata dal profitto a ogni costo, la mia è un’opinione romantica e anacronistica.