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Introduzione: bentornati a Racoon City
Resident Evil 2 è forse uno dei Resident Evil più apprezzati della saga, probabilmente perchè per molti fu il primo. Quando uscì nel 1998 fu indubbiamente una grande rivoluzione rispetto al primissimo titolo della saga Capcom, con due dischi, che allora significavano più ore di gioco, e due protagonisti: Leon e Claire, con un solo scopo, sopravvivere all’orrore di Raccoon City.
La storia la conosciamo, e per chi non la conoscesse beh, Raccoon City è la piccola cittadina dalla quale parte il disastro della Umbrella Corporation, che tramuterà tutti (o quasi) i suoi abitanti in zombie… e da lì in poi il resto è storia.
Non sono qui per fare spoiler a chi non fosse a conoscenza già la trama, bensì per raccontarvi la giornata passata a giocare al tanto atteso remake di Resident Evil 2, in uscita il prossimo 25 gennaio per PlayStation 4, Xbox One e PC.
Ospiti di Capcom, veniamo accolti da Digital Bros. a Milano, dove troviamo alcune postazioni con una partita già avviata del gioco su PS4 Slim.

Hands on: Leon e Ada
Per questa prima parte della prova, vestiamo i panni di Leon. Quella che stiamo testando è l’ultima build disponibile, quindi molto vicina a quella che sarà la versione definitiva del gioco, nonostante ci venga specificato che manca però un’ultima fase di polish. Iniziamo a giocare e i comandi sono sempre quelli della demo, provata già in altre occasioni.
Siamo più avanti nell’esplorazione rispetto alla suddetta demo e ci ritroviamo a fronteggiare nuovi nemici, affiancati da un personaggio che ci è subito familiare: sto parlando della bellissima Ada Wong, agente segreto che i fan negli anni hanno imparato ad amare (o a odiare, a seconda delle circostanze). Cionondimeno la rende una vera e propria icona di Resident Evil, al pari dei protagonisti dei vari titoli della saga.
Dopo una sessione di gioco nei panni di Leon, dove ci è nuovamente familiare la sensazione tipica dei survival horror, nei quali non si spara a ogni cosa che si muove perchè ogni munizione è preziosa, ricordatelo, ci ritroveremo a giocare nei panni di Ada, che passerà da un impermeabile accompagnato da occhiali scuri, degni del più classico degli agenti in incognito, al suo classico abitino a tubo color rosso rubino.
La sessione di gameplay nei suoi panni è assai più interessante, perché ci presenta una nuova tipologia di gioco, della quale non ci è consentito parlare ma che garantisco essere molto ben sviluppata, con trovate che aumentano non di poco l’elemento survival.
Aggiungiamo anche un Tyrant (o Mr. X per i vecchi fan) all’equazione e ciò che otterremo saranno salti dalla sedia e le intramontabili imprecazioni, tipiche di noi videogiocatori. Ci sono state infatti non poche scenette divertenti a riguardo nella sala dove abbiamo provato il gioco, assieme ad altri colleghi, scene che hanno riportato un po’ tutti indietro negli anni. Ritengo quest’ultimo elemento di vitale importanza nella realizzazione di un remake, considerando che l’effetto nostalgia non dura in eterno, se non stimolato.
Dopo una lunga sessione di gioco con la Wong torniamo nei panni di Leon, e ci vediamo costretti a visitare uno degli ambienti più sgradevoli e classici della saga Resident Evil: l’impianto fognario. Il mix di claustrofobia e struttura a labirinto mantiene alta la tensione, che raggiunge il suo apice quando veniamo attaccati da un altro “volto” conosciuto: il coccodrillo Gigante. Il combattimento è perfettamente realizzato (come tutto il resto, d’altronde) e le splendide animazioni rendono davvero la possenza e il peso della bestia, rendendo l’esperienza di gioco memorabile.
Poco dopo lo scontro ci viene detto di fermarci in un punto ben preciso, dopodichè è il turno di Claire. Carichiamo quindi un altro salvataggio e vestiamo i panni della giovane ragazza.

Hands On: Claire
Anche in questo caso il salvataggio è a gioco inoltrato e la fase esplorativa prevale rispetto a quella vista con Leon e Ada, più lineare se vogliamo.
La ragazza stà accompagnando la piccola Sherry al sicuro, ma purtroppo la via di fuga dal garage della centrale di polizia è ostruita da un cancello: starà a noi sbloccarlo nel più classico dei modi, già rodati in Resident Evil, presente nell’originale di 20 anni fa così come nel remake. La trafila consiste nel cercare la chiave per aprire un cassetto, contenente un’altra chiave, la quale, assieme ad altre tre, aprirà l’ufficio nel quale troveremo la combinazione per la cassaforte, dove all’interno troveremo il telecomando che aprirà… insomma, si parla degli enigmi e delle classiche chiavi nascoste di Resident Evil: una vera e propria mania, che sfocia quasi in ossessione, nell’ostinarsi a nascondere chiavi “a matrioska”, tipica degli abitanti di Raccoon City, elemento presente in particolar modo nel dipartimento di polizia.
Ovviamente sto ironizzando: l’elemento esplorativo, che sfocia a volte nel puzzle game, è sempre stato apprezzato dai fan della saga e siamo felici di ritrovarlo intatto in questo remake. Queste sezioni di gameplay, inoltre, ci aiutano a spezzare la tensione che ci aveva accompagnati fino a quel momento… o forse no.
Già, perché dopo un’oretta di esplorazione bene o male tranquilla, interrotta solo un paio di volte da qualche jumpscare innescato da una coppia di simpatici lickers (anch’essi icone di RE2), ci troviamo di fronte proprio quel nemico inarrestabile, che non avremmo mai voluto tra i piedi: il Tyrant è nuovamente davanti a noi e questa volta sfoggia perfino un elegante cappello fedora, che gli da quel tono da gangster che non guasta mai. Da qui in avanti il colosso non ci darà tregua, salvo (come è sempre stato in ogni RE) nelle safe room, le stanze provviste di macchina da scrivere per intenderci: luoghi nei quali possiamo salvare la nostra partita, gestire l’inventario e, soprattutto, riprendere fiato.
Il gameplay di Claire non cambia molto rispetto a quello di Leon: la gestione del personaggio è la stessa, cambiano le armi e gli equipaggiamenti, come era nell’originale del ’98. Non abbiamo notato altre differenze, se non la maggior libertà esplorativa, dovuta probabilmente al punto in cui si trovavano i progressi di gioco.
Poi c’è Sherry. Sì, perché controller alla mano giocheremo anche nei panni della piccolina, in una sezione inedita chiamata Orphanage, della quale però non possiamo dirvi di più, per ora.

Comparto tecnico e qualche spiacevole conseguenza
Tecnicamente, Resident Evil 2 Remake sorprende per l’eccellente qualità di ogni suo aspetto, dal comparto grafico che ridisegna il character design con toni più realistici, alla parte strettamente tecnica, come gli shader, l’illuminazione o gli effetti particellari, i quali sottolineano la cura del dettaglio nel processo di realizzazione del titolo.
Una nota negativa è, però, purtroppo presente: personalmente soffro di motion sickness (il cui termine tecnico è chinetosi) e durante la giornata dedicata a Resident Evil 2 Remake sono stato particolarmente colpito da questa sgradevole sensazione. Probabilmente la visuale di spalle, molto ravvicinata, non aiuta ma sono sicuro e spero che il fattore fosse l’ambiente nel quale stavamo giocando. Eravamo in una stanza molto ampia e fortemente illuminata, sia artificialmente sia naturalmente, attraverso le enormi vetrate presenti. Sicuramente non l’ambiente ideale nel quale provare un survival horror, i cui scenarii sono scuri, poco illuminati e molto claustrofobici. Probabilmente è quest’ultimo il motivo per il quale ho avvertito il problema, infatti quando provai la demo in precedenza, in un ambiente buio, non ne avevo avvertito i sintomi. C’è però da considerare che la sessione di gioco, stavolta, è stata di maggior durata, di conseguenza mi è sembrato corretto non omettere la cosa.

Conclusioni: nostalgia, nostalgia canaglia…
In definitiva, Resident Evil 2 Remake è la riproposizione di un grande classico realizzata a regola d’arte, proprio perchè non tenta forzatamente di far leva sul facile effetto nostalgia applicando la solita patina ad alta risoluzione, alla quale siamo stati abituati dai numerosi titoli del passato riproposti in HD.
Al contrario, Resident Evil 2 Remake non ha bisogno della parola remake nel titolo, infatti non era presente nei poster, né nel menu principale. Qui abbiamo un vero e proprio nuovo Resident Evil 2, che prende il meglio dal passato, ne rielabora il gameplay e lo serve con lo stato dell’arte delle tecnologie odierne. Come già detto, a rischio di ripetermi, l’effetto nostalgia qui non è dato dalla sola copertina o dal titolo, non scompare dopo un paio d’ore, come avviene ormai troppo spesso nelle varie remaster degli ultimi anni. Quella sensazione così arida e priva di significato qui scompare all’istante, sostituita invece, dopo qualche minuto di gioco, da una paura, un senso di claustrofobia e una tensione che ci riportano alla mente un genere che abbiamo imparato ad amare una ventina di anni fa.
Quello che abbiamo provato è stato una pietra miliare dei survival horror nel 1998, quando si fece scoprire per la prima volta dal pubblico, e lo sarà nuovamente il 25 gennaio, quando si ripresenterà al mondo in questa nuova veste, che vanterà l’onore di non avere bisogno del fregio remake, ma solo del suo titolo originale: Resident Evil 2.