Cari lettori, per una volta lasciate che vi parli di qualcosa che mi sta molto a cuore, la stessa cosa che ha aperto la mia carriera su Pixel Flood oltre tre anni fa. Lasciate che vi parli di Platinum Games.
Il 2017 è iniziato da alcuni mesi ed è già un anno speciale per i videogiochi, con splendidi lavori che piovono a destra e a manca, ma quest’ultimo mese ha visto letteralmente l’impossibile accadere: il mercato PC ha ricevuto i port di Bayonetta e Vanquish che aspettava da sette anni.
So che ad alcuni di voi può essere sfuggito il magnitudo dell’evento. “Che hanno di così speciale?” vi chiedete, grattandovi la testolina “Sono port di vecchi giochi per 360 e PS3, che ce ne importa?”. Sono qui per spiegarvelo, amici miei.
L’utenza PC ha avuto il suo primo assaggio di qualità Platinum con Metal Gear Rising: Revengeance, ma i piatti più gustosi sono rimasti relegati alle console. I mediocri contentini fatti su commissione per Activision (Legend of Korra, Transformers: Devastation, TMNT: Mutants in Manhattan) erano roba da poco, ben lontani dalla vera qualità dei loro lavori.

Bayonetta è tutt’ora, a mani basse, uno dei migliori action-picchiaduro sul mercato. Da fan del genere posso dire che ha davvero pochi concorrenti della stessa stazza. Potrei parlare per ore di quanto sia praticamente perfetto, quindi lo farò.
Il suo sistema di combattimento è raffinato nei più infimi dettagli e costruito su solidi principi di game design. Per iniziare, i nemici non imbrogliano. Non leggono gli input del giocatore, non hanno attacchi infami ne trucchetti da due soldi, si comportano il più possibile in modo relativamente senziente, attaccando di testa loro e reagendo ai nostri movimenti. Detto così sembra una cagata, ma il numero di giochi con nemici scriptati è francamente osceno; vedere un action-picchiaduro che si impunta a non abbassarsi a mezzucci di questo tipo è una boccata d’aria fresca.
Il gioco ci mette in mano un personaggio estremamente dotato e capace, però subito, non dopo quindici ore di level up e crafting. Bayonetta inizia il suo viaggio con in pugno l’arma migliore, tutte le mosse e skill necessarie. Niente level up, niente anime da riversare nelle armi per aumentare il danno, niente alberi di skill da comprare: si è competenti fin da subito.
Questo è l’aspetto che può lasciare un filo confusi i neofiti: al momento di stendere il boss finale, Bayonetta è forte esattamente quanto lo era all’inizio, l’unica cosa che cambia davvero nel viaggio è l’abilità del giocatore.

Durante il tragitto si sbloccano nuove armi, accessori ed alcune mosse, ma sono oggetti pensati per diversificare gli stili di gioco, non per renderci automaticamente più potenti. Ogni arma ha proprietà differenti che portano a diversi modi di giocare ed inanellare combo. Certo, alcune fanno più danni, altre meno, ma un’arma nuova non rende automaticamente obsoleta la precedente. La katana, Shuraba, è la più semplice da utilizzare, con combo essenziali e danni pesanti su bersaglio singolo, i Durga fanno danni ad area ingenti (al costo di combo dalle animazioni lunghissime), mentre le pistole iniziali, Scarborough Fair, finiscono per essere l’arma più efficace a difficoltà alte perché rendono semplicissimo eseguire un Dodge Offset.
Il che ci porta al punto più gustoso del sistema di combattimento: le meccaniche di alto livello. In Bayonetta pestare tasti a caso porta risultati appena mediocri. Certo, magari si finisce il livello, ma prendendo un sacco di schiaffi e divertendosi poco e niente. Per chi ha voglia di riversare qualche oretta nell’imparare il sistema di combattimento, invece, c’è tantissima carne in cui affondare i denti.

Alcune meccaniche avanzate sono molto semplici da comprendere: ad esempio, possiamo equipaggiare armi sia su mani che su piedi e la combinazione permette di eseguire combo uniche ed essere molto più versatili in generale. Per imparare basta un filo di intuito e la voglia di sperimentare qualche secondo, è un sistema estremamente accessibile. Per dire, combinare spada (sulle mani) e Durga (sui piedi) permette di avere stringhe di tagli veloci e versatili che possono passare, in un lampo, a fortissimi calci esplosivi.
La schivata è anche una meccanica estremamente accessibile, ma da imparare al meglio. Bayonetta, alla pressione del trigger destro, schiva e diventa completamente invincibile per qualche istante. Questo è già, di suo, un enorme aiuto, ma aggiungeteci che schivando al momento giusto rallenta anche il tempo, lasciando i nemici totalmente indifesi. Qual è la fregatura? Il momento giusto in questione è un istante prima di essere colpiti. Imparare a schivare correttamente richiede tanta pratica, ma il risultato è diventare completamente intoccabili.
Ad alte difficoltà diventa fondamentale imparare le meccaniche più avanzate: il Dodge Offset permette di continuare una combo anche dopo una schivata (normalmente si interrompe subito e bisogna ricominciare dal primo attacco della stringa), abilità opzionali come Tetsuzanko e Umbran Spear rendono più facile controllare il campo e dardeggiare tra i nemici. Equipaggiando un accessorio di nome Moon of Mahaa-Kalaa si ottiene anche una parata/contrattacco mica da ridere: se invece di schivare si preme la levetta sinistra verso il nemico, un istante prima di essere colpiti, Bayonetta diventa invincibile, contrattacca sbilanciando l’avversario e ottiene il triplo di tempo rallentato rispetto ad una normale schivata. Ovviamente se si fallisce ci si becca un ceffone nei denti, secco secco.
Alto rischio, ma altissima ricompensa, solo per chi è davvero bravo: questa è la filosofia di Bayonetta. È uno di quei rarissimi giochi che, una volta finiti, ti spingono a rigiocarli tante altre volte. Più ci si gioca, più si imparano nuove tecniche, più si impara più si vuol giocare per metterle in pratica. Un circolo di goduria che porta alla maestria del gioco.

Giochi come Bayonetta non esistono più. Rigiocarlo nel 2017 è un viaggio indietro nel tempo, agli anni in cui un gioco non si vergognava di sfidarti a fare di meglio, era lungo, difficile, vario e ti ricompensava con sfilze di nuovi contenuti. Si, perché c’è una cosa di Bayonetta a cui non ho quasi fatto caso fin quando non ho visto l’annuncio della versione PC: non ha DLC. Zero.
Adesso siamo abituati a port e remaster che includono tutte le stronzatine esterne, vendute a botte di 3-5€ l’una, mi è venuto istintivo (purtroppo) cercare cosa avesse di più la versione PC per essere “definitiva” e finalmente me ne sono accorto: Bayonetta ha sempre avuto tutti i suoi contenuti sul disco. Fin dal primo giorno. Tutti i personaggi giocabili, i costumi, le armi, le missioni extra, ogni singolo oggetto è già incluso. Va sbloccato in-game. Va guadagnato giocando. Niente pacchi con due costumini a €4.99 sul marketplace.
Non è surreale? Non è folle pensare che questo, lo standard di una volta, sia così fuori dal mondo? Non è folle notare che un gioco del 2009, fatto da un team relativamente piccolo e budget contenuto, abbia animazioni curatissime e perfette, al contrario di certi altri AAA moderni?

Quest’ultimo punto si applica anche a Vanquish, che sono stato particolarmente felice di vedere annunciato (finalmente) in versione PC. Vedete, Bayonetta nelle sue precedenti incarnazioni (versione PS3 esclusa) perlomeno girava a 60 FPS abbastanza solidi e 720p. La risoluzione era già alta abbastanza da godersene la pulizia grafica e il design estetico, il framerate già perfetto per il gameplay che offre. Giocare Bayonetta su PC è una goduria per numerosi motivi ed è certamente superiore a tutte le sue versioni precedenti, ma era già godibilissimo su Xbox 360.
Vanquish è un’altra storia. Su console mantiene, a malapena, 30 FPS a risoluzione sub-HD. Questo non solo ne urtava il gameplay, per motivi che spiegherò a breve, ma era anche un peccato ed uno spreco.
Vanquish gode della stessa perfezione Platinum che già fa brillare Bayonetta: ha animazioni di qualità esagerata, fluidissime e ricche di dettagli, un ottimo design estetico e tantissime parti mobili a schermo in ogni momento. Su console, in queste misere condizioni, è completamente sacrificato.
Su PC gode di tutto lo splendore che avrebbe meritato fin da subito. Esteticamente si difende alla grande e a 60 FPS è una gioia da vedere e da giocare. Soprattutto da giocare.

Vanquish è una bestia speciale. Forse conoscete un nomignolo piccino picciò, un certo Shinji Mikami. Ha lavorato a cosine di poco calibro, shooter in terza persona semi-dimenticati e di poco successo, tipo, non so… Resident Evil 4. Ovviamente il mio è sarcasmo, lo shooter horror di Capcom ha lasciato un’impronta enorme nell’industria e cambiato il modo in cui i TPS sono concettualizzati. Per darvi un’idea della scala, lo sparatutto che ha più influenzato l’industria subito dopo, Gears of War, è nato ereditando numerosi elementi di Resident Evil 4, dal taglio horror all’uso della telecamera, dal movimento dei personaggi al feeling delle armi. Resident Evil 4 era l’anello mancante tra Kill.Switch e Gears of War, un passo fondamentale per l’intero genere dei TPS.
Capirete che, con un precedente del genere, la pressione su Mikami per portare alla luce la (in gergo) Next Big Thing è esasperante. Dato che il mercato sembrava essersi seduto confortevolmente su Gears of War, sugli space marine ciccioni che passano tutto il tempo in seduti dietro i muretti, Shinji Mikami ha fatto la sua mossa.

Nel 2010 Arriva Vanquish, il TPS che porta la velocità smodata in Gears of War. Basta attaccare i retrorazzi direttamente sul popò del protagonista e all’improvviso hai uno sparatutto in cui si schizza così veloci che stare in copertura diventa roba da vecchi bavosi. Le coperture sono spesso fragilissime ed inaffidabili e bisogna contare sul movimento per restare perlopiù illesi. Esattamente come in Bayonetta, l’eroe del giorno, Sam Gideon, inizia il gioco con tutto ciò che gli serve: razzi sotto le chiappe, grosse pistole, mano “de fero” e l’abilità di rallentare il tempo (cavoli, non avevo mai riflettuto su quanto ai Platinum piaccia rallentare il tempo).
È bizzarro vedere le stesse filosofie di design di Bayonetta, la stessa perfezione, applicate ad uno shooter. Sparse per il gioco ci sono undici armi, tutte utili in un modo o nell’altro. Ci sono tanti tipi differenti di nemici, creativi e con attacchi un po’ fuori di testa. C’è la stessa enfasi sul giocare con bravura invece che comprando power-up, solo spostata al muoversi correttamente e mirare con abilità, invece che infilare combo corpo a corpo.
Non che quest’ultime manchino. Vanquish ha un sistema di attacchi melee piuttosto unico: si può usare un singolo attacco fisico prima di sovraccaricare la tuta (il che priva Sam di tutte le sue abilità per qualche secondo), ma l’attacco ha animazioni e proprietà differenti in base all’arma che si ha in mano al momento, dagli uppercut che lanciano i nemici in aria (facile distruggerli a fucilate prima che cadano) a calci rotanti che spazzano i nemici attorno a se, dal ceffone caricato ai cento pugni di Hokuto. Gli attacchi corpo a corpo sono (uno dei tanti) diretti richiami al precedente gioco che Shinji Mikami ha creato assieme a Platinum (al secolo Clover Studio): l’eccellente God Hand.

Ancora una volta, la filosofia è alto rischio, alta ricompensa. Stare fuori dalle coperture significa essere colpiti, ma essere mobili, usare gli attacchi melee significa sovraccaricare la tuta, ma disintegrare un miniboss in tre secondi, upgradare le armi significa sprecarne le munizioni per piccoli miglioramenti.
Ah, già, ho dimenticato di menzionarlo: Vanquish ha un sistema piuttosto peculiare per quanto riguarda gli upgrade delle armi. Se ne possono portare in tasca fino a tre contemporaneamente (granate escluse, occupano uno slot tutto loro) e scambiarle a piacimento con quelle disponibili sul campo, come in tanti altri shooter. Fin qui tutto standard. Raccogliere un’arma identica ad una già posseduta riporta le munizioni disponibili al massimo. Ma se le munizioni sono già al massimo? Allora guadagna una tacca di upgrade, Ogni tre tacche, bam, level up.
Il sistema è, ancora una volta, ad alto rischio, spinge a non usare certe armi per tenere le munizioni al massimo e raccoglierne più copie possibili, ma la ricompensa non sempre vale la candela. Come ho già detto, la filosofia di Vanquish è la stessa di Bayonetta: potete finire il gioco con gli stessi mezzi con cui l’avete iniziato, infatti a difficoltà massima gli upgrade delle armi sono completamente disabilitati. I potenziamenti ottenuti al level up sono utili, ma raramente essenziali. Generalmente aumentano più che altro la quantità di munizioni massime disponibili e, se va bene, una tacca in più di danno. Roba da poco. Ne vale la pena giusto con due armi delle undici totali.

Vanquish è una gemma che brilla fortissimo su PC. Essendo il gameplay così basato su velocità e abilità, un framerate di 30 o meno FPS lo urta in tutti i modi possibili. Su PC è sollevato dai suoi limiti: la risoluzione più alta rende ogni sparatoria molto meno caotica, il framerate solido ci fa dire addio al mirino lento, impreciso e pastoso. Giocato con il pad, anche su PC, è un’esperienza completamente diversa, con mouse e tastiera è così preciso da diventare perfino troppo facile.
Sega non poteva fare mossa più intelligente di questa. Bayonetta e Vanquish hanno venduto sfracelli in poche settimane, grazie alla combinazione di ottime conversioni, prezzi onesti e, soprattutto, qualità Platinum.
Perché Platinum Games significa perfezione.