Recentemente si sta discutendo di un argomento molto importante in ambito videoludico. Nelle ultime ore, infatti (almeno nel momento in cui sto scrivendo), il ministro della giustizia belga Koen Geens si è espresso in maniera piuttosto netta sulla questione delle lootbox nei videogame, ritenendole assimilabili al gioco d’azzardo per via della dipendenza che indurrebbero, oltre al fatto che esiste la possibilità di acquistarle con denaro reale.
Nel frattempo, anche Olanda e Francia stanno discutendo sul come muoversi ed è probabile che presto molti altri stati prenderanno una posizione a riguardo. Tutto ciò sta avvenendo contemporaneamente alla forte risposta che la community ha riservato al modello adottato da EA per il suo Star Wars: Battlefront II, portando la software house a disabilitare momentaneamente le microtransazioni e gli oggetti sbloccabili presenti nel titolo, con l’obbiettivo di modificare pesantemente il sistema di grinding, considerato eccessivo.
Era da tempo che non si aveva una reazione così forte e decisa per qualcosa relativo ai videogame: il venire bombardati da titoli tripla A con la meccanica degli acquisti, con denaro reale, di oggetti virtuali, utili o meno ai fini del gameplay, ha portato infine la miccia a esplodere. Ed è un bene che sia così.
Sono abbastanza convinto del fatto che sia un sistema pericoloso e che vada indubbiamente regolamentato: nella mia recensione di Shadow of Mordor, ho già affrontato la questione: benché le lootbox fossero pressoché inutili, sono state inserite perché potenzialmente qualcuno le avrebbe comprate; è chiaro che le microtransazioni generino dei determinati processi mentali che ti portino a investire soldi per avere contenuti aggiuntivi, che, ripeto, utili o inutili essi siano ai fini del gioco, sono elementi che in quel momento il giocatore percepisce di voler avere e credo sia un bene stroncare questa iniziativa sul nascere, prima che possa degenerare.
Anche perché è chiaramente un modo per spillare soldi e basta, non va preso come un sistema di finanziamento per la software house, in quanto non puoi basarti su un modello economico sostenibile rappresentato dalle microtransazioni: il ritorno dei fondi necessari per lo sviluppo e aggiornamento del gioco (più ovviamente il guadagno) deve essere garantito dalle vendite effettuate dal videogioco in questione, tutto ciò che è fuori budget viene pubblicato come DLC o espansione, arrivare ad inserire contenuti randomici a pagamento nei videogames è una pratica che ritengo profondamente sbagliata e fatta solo per lucrare.
Lungi ovviamente da me affermare che le software house debbano essere delle ONLUS, non sta né in cielo né in terra un discorso del genere: il mercato dei videogame è un mercato di lusso d’altronde. Ma sono fermamente convinto del fatto che esistano modi accettabili di fare mercato e altri meno.
Considerando quanto detto finora, attendo due cose che personalmente reputo molto interessanti riguardanti il dibattito sulle lootbox: la prima è la posizione del governo italiano a riguardo, che, immagino, per forza di cose dovrà affrontare la questione anche se, purtroppo, sul fronte digitale abbiamo delle norme che fanno un po’ acqua da tutte le parti: spesso non è ben chiaro come funzionino le cose o addirittura ci troviamo di fronte a casi non previsti… il nostro sistema giuridico ha bisogno di un deciso ammodernamento nell’affrontare questioni digitali che ormai diventano sempre più importanti.
La seconda è cosa comporterà tutto questo, dato che inevitabilmente rimetterà in gioco tutte le carte anche dei modelli free2play, che ovviamente si reggono su un sistema di microtransazioni… perché dubito si farà differenza tra le lootbox del tripla A e quelle del gioco su smartphone.
Chiudendo, ritengo che l’argomento sia parecchio spinoso e non si esaurirà nel brevissimo periodo: è una di quelle cose che potrebbe modificare pesantemente lo scenario attuale del mercato videoludico. Resta solo da vedere come lo farà…