In occasione dello Svilupparty 2015 ho avuto modo di conoscere una realtà particolarmente interessante chiamata minibombo, un gruppo di ragazzi che ha deciso di dedicarsi anima e corpo alla produzione di contenuti per bambini, sia nell’ambito dell’editoria tradizionale, con la pubblicazione di vari libri, sia nel mondo delle app videoludiche per l’infanzia. Attualmente è possibile giocare su dispositivi mobile due titoli, ovvero i simpatici e colorati Il libro bianco e Forme in gioco. Di seguito vi proponiamo il risultato delle domande rivolte a uno dei membri del team, Chiara Vignocchi. Buona lettura!
Gabriele: Prima le classiche domande di rito: in cosa consiste il progetto minibombo, e chi vi partecipa?
Chiara Vignocchi: minibombo è una casa editrice nata nel 2013, è dedicata ai bambini in età prescolare e agli adulti che leggono con loro e ha pubblicato finora 16 titoli cartacei e due applicazioni. Il progetto editoriale è nato da un’idea di Silvia Borando e dalla sua passione per i libri per bambini. Sia Silvia che il collega e amico Lorenzo Clerici si sono cimentati nella scrittura e nell’illustrazione a partire dalla comune esperienza lavorativa presso TIWI, uno studio di Reggio Emilia che produce video in grafica animata. TIWI ha messo a disposizione risorse, collaudata esperienza nello storytelling e creatività accogliendo con entusiasmo l’idea di partenza. Così oggi minibombo è un gruppo di mani e teste molto giovani, che si valgono delle più disparate competenze per scambiarsi idee, spunti e suggerimenti fino ad arrivare alla creazione di un prodotto il più possibile pensato e condiviso. C’è chi, come Silvia e Lorenzo, ha messo a disposizione l’esperienza di progettazione e disegno, o chi, come Anna Beozzi e Alberto Bonanni, quella di animazione e grafica, senza dimenticare la parte amministrativa, seguita da Federico Riboldazzi in entrambi i casi. Ovviamente ci sono anche figure con le formazioni più disparate, come Chiara Vignocchi che proviene dall’ambito dell’insegnamento e che si occupa dei testi e della comunicazione. Il bombo che abbiamo scelto come icona della casa editrice rappresenta la spensieratezza e l’allegria che derivano da questo approccio nel fare libri e raccontare storie.
G: Qual è stata la molla che vi ha fatto passare dalla sola produzione di libri per bambini allo sviluppo di applicazioni basate sui vostri precedenti prodotti?
C: Il nostro progetto editoriale si struttura sull’idea che un libro sia un’esperienza aperta, potenzialmente senza fine, un punto di partenza per altre storie, altri racconti e nuovo divertimento. Così contemporaneamente alla fase di progettazione dei libri abbiamo pensato di rendere il più possibile concreta quest’intuizione, realizzando anche altre declinazioni dello spunto di base (che resta quello tradizionalmente cartaceo): in questo contesto si collocano anche le applicazioni, destinate direttamente ai più piccoli e ad oggi un’esclusiva del Libro bianco e di Forme in gioco. Per minibombo in questo modo la sperimentazione nel campo del digitale è stata abbastanza immediata, sia perché in parte connaturata a una serie di risorse interne di cui avevamo la fortuna di disporre, sia perché frutto di una naturale vocazione della casa editrice alla multimedialità.
G: Quali sono le fonti d’ispirazione per il vostro lavoro? Una curiosità che mi assilla: c’è un po’ di Munari in voi (penso ai Cappuccetti e alle sue attività per l’infanzia in generale)?
C: Certo, alcuni di noi provengono da esperienze formative presso il Politecnico di Milano e hanno avuto modo di studiare i più importanti designer, grafici e artisti italiani e internazionali, tra cui ovviamente spicca Munari. In generale è comunque tutto il fermento editoriale degli anni ‘60 e ’70 italiani a costituire il nostro riferimento, la suggestione che alla base di ogni progetto debba esserci un’idea forte che al di là del singolo testo e delle illustrazioni regga coerentemente tutto l’insieme.
G: Il target a cui puntate è quello dei bambini in età prescolare: questo richiede un’attenzione particolare alla “facilità” dell’interazione e del linguaggio utilizzato. Non trovate che sia estremamente difficile fare le cose “facili”? E quali sono le difficoltà che incontrate nello sviluppo delle app (intendendo sia di ostacoli tecnici, sia riguardanti il game design)?
C: Sì, meglio di così probabilmente non si poteva riassumere! Quando ci si rivolge ai più piccoli la difficoltà risiede proprio nel continuo tentativo di semplificare senza banalizzare, arrivando ad un codice linguistico e visivo il più possibile chiaro, decifrabile e coerente. Questo è senza dubbio l’aspetto più difficile perché quando si lavora nell’ambito del digitale per bambini, una volta trovata l’idea “forte”, l’aspetto tecnico non pone di solito delle difficoltà particolari.
G: Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un articolo del team di sviluppo Toca Boca, specializzato in esperimenti videoludici per bambini, a proposito dei benefici che il videogioco è capace di portare nei giovani giocatori autistici, giusto per fare un esempio. Avete esperienze riguardanti l’aiuto che l’interazione può dare ai bambini che hanno questo tipo di problemi?
C: Nessuno di noi ha competenze specifiche sulle disabilità e riteniamo che non ci si possa improvvisare esperti su questioni così delicate. Possiamo però dire che le app e alcuni dei nostri albi illustrati (in special modo quelli senza parole) sono stati sperimentati in differenti contesti scolastici da insegnanti e logopedisti e ci sono giunte testimonianze molto sorprendenti di come un gioco (su supporto cartaceo o digitale poco importa) che incoraggia l’interazione possa stimolare l’attenzione, la partecipazione e il coinvolgimento anche di ragazzini con difficoltà di varia natura. Ad esempio, benché decisamente oltre il target d’età a cui ci eravamo rivolti in partenza, degli studenti non madrelingua della scuola primaria o secondaria di primo grado.
G: E il mondo degli “adulti” come vede le esperienze che voi proponete ai più piccoli? C’è consapevolezza delle capacità che il medium ha di stimolare i bambini? Cosa possono imparare gli adulti da minibombo?
C: In questo momento storico c’è molta attenzione sul tema del digitale per bambini, sia da parte degli addetti ai lavori che da parte di genitori ed educatori. Riceviamo numerosi inviti a incontri e convegni sull’argomento e spesso constatiamo come anche i nostri prodotti, pur così semplici e immediati, generino stupore e curiosità anche negli adulti, con cui insistiamo molto sul concetto di partecipazione. A nostro parere questo vale sia per i libri che per le app: i giochi che proponiamo, a prescindere dal medium su cui vengono presentati, risultano molto più efficaci e divertenti se l’adulto viene coinvolto nel processo e condivide l’esperienza insieme al bambino.
G: Cosa può imparare secondo voi il mondo del (video)gioco in generale dall’universo dei prodotti per l’infanzia? Riportare alla semplicità e alle “basi” le meccaniche di gioco è un’idea che può interessare anche altri “campi” del settore?
C: Quando si cerca di costruire un gioco di qualsiasi tipo la semplicità costituisce a nostro avviso il miglior punto d’arrivo. Mantenere dunque poche funzioni il più possibile chiare, puntando più sulla qualità (dello script, del testo, dell’illustrazione) che sulla quantità, non può che giovare a qualsiasi campo del settore.
G: In futuro pensate di “slegare” lo sviluppo di app dalla produzione di libri? Nel senso: proporrete anche giochi non tratti dai libri che avete pubblicato?
C: Per ora stiamo cercando di progettare libri e app che abbiano un filo conduttore, anche per rinforzare l’idea che da un medesimo spunto di gioco si possano percorrere più strade con risultati sempre stimolanti e a volte non scontati. Non escludiamo però che in futuro, se dovesse capitare una buona idea per un progetto digitale che si fatica a tradurre su carta, la prenderemmo in considerazione!
G: C’è qualcosa che vorreste dire ai nostri lettori?
C: Che il settore del digitale per i più piccoli, proprio perché in fase di grande crescita, si presta in particolar modo alle sperimentazioni di codici e linguaggi e può offrire stimoli e opportunità. Insomma, a nostro parere vale la pena tenerlo d’occhio, anche se non ci si occupa strettamente dell’infanzia!