Pubblicato il 23/09/14 da Neko Polpo

Cave! Cave! Deus Videt: intervista agli sviluppatori

Cave! Cave! Deus Videt è il titolo che ha vinto la Bosch Art Game Competition nel 2013, organizzata per il cinquecentenario della morte del grande pittore. Di seguito proponiamo una chiacchierata faccia a faccia con gli sviluppatori indipendenti di We are Müesli, ovvero Matteo Pozzi (game designer, programmatore e sceneggiatore) e Claudia Molinari (graphic designer e game designer), incontrati in occasione del GameOver 2014 a Milano, evento organizzato da Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito.

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Francesco “Rugerfred” Sedda: Da dove nasce l’idea del progetto Cave! Cave! Deus Videt?
Matteo Pozzi: Il progetto nasce più di un anno e mezzo fa, quando abbiamo saputo del “contest” (Bosch Art Game Competition) promosso dalla Hieronymus Bosch 500, che è una fondazione olandese con sede a ‘s-Hertogenbosch, il paese natale del pittore olandese, attivo nella seconda metà del XV secolo. Nel 2016 saranno 500 anni dalla morte del pittore, e questa fondazione sta già organizzando da qualche anno una serie di iniziative, volte a celebrare questo importante anniversario. Iniziative legate al mondo del cinema, dell’arte (ovviamente) e anche del videogioco. La loro idea è stata appunto quella di promuovere un contest internazionale per la realizzazione di un videogioco ispirato alle opere di Bosch. Ciò ci è parso molto bello, più da appassionati di Bosch che da appassionati di videogiochi. Nel senso che non avevamo mai fatto videogiochi prima di allora, e abbiamo deciso di provare. L’idea di fare un gioco narrativo (una visual novel) è nata dalla combinazione di ciò che sapevamo già fare: nel caso di Claudia Molinari la grafica, il visual design; nel mio caso la scrittura in generale. Le visual novel non  sono altro che questo: scrittura non lineare e componente grafica-artistica.

Gabriele Raimondi: A proposito della vostra passione per Bosch, nell’episodio #00 viene affermato che tutti amano Bosch, a prescindere…
M: Sì, c’è una linea di dialogo che dice questo. Perché chi non conosce il nome di solito riconosce uno stile, non si può confondere Bosch, è stato un po’ un esempio unico nella storia dell’arte. Spesso c’è gente che vedendo i quadri dice “ah, ho capito, non sono i trapani“! (ride)

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R: Voi avete uno stile particolarissimo, a me piace moltissimo, ma… Non è lo stile di Bosch! Come siete arrivati dal suo stile al vostro?
Claudia Molinari: Quando abbiamo iniziato a curare questo progetto, metterci a confronto con l’opera di Bosch è stato difficilissimo. Qualsiasi cosa progettassimo Bosch vinceva sempre mille a zero contro ogni nostra idea! È stato molto difficile trovare uno stile, perché se ne avessimo utilizzato uno pittorico saremmo andati in competizione con l’opera di Bosch. Con uno stile fantasy sarebbe stato troppo dissonante e anche un po’ pacchiano. Dopo parecchie settimane di mal di testa, abbiamo deciso di lavorare in sottrazione: dove Bosch metteva il colore noi lo toglievamo, dove Bosch utilizzava uno tratto ergonomico noi mettevamo la geometria. Abbiamo cercato di scavare in quella che è l’opera di Bosch. Ciò ha fatto in modo che i due linguaggi, pur estremamente differenti, potessero coesistere. All’inizio volevamo uno stile fotografico, cosa che non ci avrebbe permesso di finire per il cinquecentenario di Bosch, e siamo dunque passati ad altro. Poi abbiamo scelto uno stile “minimal“, che comunicava bene con Bosch. Quando ci sono le opere del pittore abbiamo optato per un richiamo molto forte, uno stile illustrato e non geometrico, che comunica con i personaggi di Bosch.

G&R: Parlando del sonoro, come avete lavorato per la musica?
M: Noi siamo in due e le musiche sono l’unica cosa che non abbiamo fatto noi. Abbiamo infatti cercato qualcosa di già pronto in rete, tra le risorse Creative Commons, con la giusta licenza, visto che non tutte sono utilizzabili per prodotti come un videogioco. Frugando in rete abbiamo trovato le musiche di questo ragazzo canadese, Craig Storm (che ha un progetto chiamato Monroeville Music Center), musiche con quello stile un po’ strano, un po’ storto e non del tutto a fuoco che volevamo anche per il nostro gioco. Lui ci ha concesso volentieri, per l’episodio #00, le musiche che aveva già composto (apprezzando il modo in cui abbiamo legato il suo lavoro al nostro). Per il nuovo episodio Craig ha deciso di comporre nuova musica appositamente per il gioco. È bello, perché si tratta di una collaborazione tra persone che non si sono nemmeno mai viste in faccia!

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C: Quando si lavora ad un progetto si possono guardare le cose da due angolazioni: o sai che cosa vuoi fare, e fai in modo di trovare elementi per portarla a termine (vuoi fare un tavolo e cerchi il legno adatto), o non sai cosa vuoi fare, ma trovi un legno che si presta per fare una cosa che non avevi previsto. Con l’audio non sapevamo dove andare, avevamo un problema creativo da risolvere: c’è stata una sorta di casting per scegliere le cose che meglio potessero sposarsi con il nostro progetto. Il comparto sonoro è nato un po’ così, cercando elementi che potessero dare un valore in più al nostro lavoro. Ad esempio abbiamo trovato quelle voci sporche e distorte che si abbinavano perfettamente al tono distorto e onirico di Cave! Cave! Deus Videt. Nel gioco sono presenti anche video di inizio Novecento: la nostra idea è stata quella di fare in modo che il personaggio, attraverso il video, potesse entrare dentro le porte e le stanze dipinte nei quadri. È stato tutto una sorta di collage di stili per dare più elementi sulla vita di Bosch, sulle interpretazioni delle sue opere…
M: In sostanza il messaggio è questo: vi manca un grafico? Rubatelo online, perché c’è tanto materiale gratuito che sta lì a marcire, in attesa di essere rivalutato ed utilizzato. Qualche mese fa si è tenuta persino la Public Domain Jam!
C: Io credo che il periodo storico che stiamo vivendo sia come un secondo Rinascimento: l’era digitale sta dando veramente la possibilità di poter sperimentare in molti campi. Internet è un “luogo” che può dare un aiuto fortissimo a chi vuole realizzare un progetto.
R: Anche senza vedersi mai in faccia!
C: Esattamente, anche senza vedersi mai in faccia.

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R: Che tipo di narrazione volete portare avanti, con la struttura episodica?
M: Abbiamo concepito l’episodio #00 più che come un prototipo, come un episodio pilota di una serie TV. Non l’abbiamo più ritoccato, praticamente, dopo la consegna per il contest. L’abbiamo vista così: si tratta sempre di trovare un equilibrio tra il premiare chi ha seguito la serie sin dall’inizio e l’accessibilità anche per chi si perde gli episodi precedenti. Stiamo lavorando in questo modo.
C: In linea di massima pensiamo di pubblicare un episodio all’anno, fino al 2016.
M: Sì, perché nel 2016, a ‘s-Hertogenbosch, verrà organizzata la più grande retrospettiva mondiale su Bosch, dato che nel paese natale di Bosch non c’è quasi niente del pittore: molti quadri sono al Prado di Madrid, a Lisbona
C: L’obiettivo dell’evento è far sì che il nome del pittore faccia pensare immediatamente a quello del paese: il suo nome deriva a quello della sua terra. Il vero nome di Bosch, infatti, era Jeroen Anthoniszoon van Aken!

G: La vostra narrazione come si lega a Bosch in quanto pittore? Dov’è Bosch nella narrazione?
M: Un po’ è una questione d’atmosfera, molti dialoghi sono sospesi, cercano di creare un senso di attesa e suspense, per comunicare la stessa inquietudine dei quadri di Bosch. C’è molto di Bosch, ma la narrazione è ambientata nel mondo di oggi, con questo ragazzino diciassettenne che ascolta musica “punk-rock” e guarda Star Wars. C’è un immaginario anche “pop“, se vogliamo, che crea una sorta di mosaico con l’immaginario di Bosch.

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R: Ci saranno finali differenti in Cave! Cave! Deus Videt?
C: Ci saranno dei detour significativi, ma vista la nostra intenzione di creare un gioco episodico, e quindi un gioco in cui il percorso tra un episodio e l’altro deve essere comune, abbiamo dovuto fare attenzione. Il gioco è una cosa che si costruisce lungo il percorso: ci sono soluzioni visive, ad esempio, che si risolvono in modi in cui non avevo previsto. Ho sempre disegnato Mrs. Blake con un décolleté molto allungato, senza sapere il perché, e questo elemento in realtà si lega a un quadro particolare di Bosch…

Deborah Zucchetti: È la prima volta che vi cimentate con la creazione videoludica. Quali sono stati gli scogli da superare?
C: Negli ultimi cinque anni abbiamo lavorato molto nello story-telling. Ciò ci ha permesso di avvicinare i videogiochi in una maniera progettuale intelligente. Abbiamo strutturato il lavoro come per gli storyboard di un film. Magari questo non sarà il modo migliore di affrontare la progettazione nel mondo videoludico, ma con noi ha funzionato.
M: Lo scoglio della programmazione è stato superato utilizzando Ren’Py, un tool open source basato su Python che, nonostante sia tutto in codice, è piuttosto semplice. È tutto un andare a tentativi e imparare facendo. Strumenti come Ren’Py e Twine permettono a chi non ha conoscenze con il codice di sperimentare e lavorare sul medium videoludico.

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R: Quali sono le fonti d’ispirazione videoludiche per Cave! Cave! Deus Videt?
M: In termini di narrazione, mentre scrivevo i dialoghi avevo in mente Kentucky Route Zero, per l’atmosfera di sospensione che riesce a trasmettere.

D: Avete giocato ad altre visual novel prima di creare Cave! Cave! Deus Videt?
M: Io ho giocato ai lavori di Christine Love, come Analogue. Poi mi ha colpito anche un piccolo esperimento meta-meta-meta-narrativo, Save the Date!
C: A me non piace prendere ispirazione dai videogiochi, la prendo da altre parti. Come avrete notato sono molto concentrata sulla grafica, che è un mio pallino. Il 90% dei miei spunti viene da libri di grafica di anni e anni fa.
M: L’elemento grafico, inoltre, è quello che ha fatto sì che ci piacessero giochi come MirrorMoon EP, Device 6, Monument Valley, Thomas Was Alone, Metrico, Gorogoa, Neverending Nightmares.

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Fanart di Akagi Miee

G: Ripensandoci, in realtà il vostro stile grafico non è così lontano da quello di Bosch. Voi, secondo me, riuscite a offrire una versione “boschiana” proprio “spogliandolo” di “horror vacui” (che pure rimane, osservando i dettagli) e andando all’essenziale, a questa linea di contorno nettissima che pure nel caos mantiene la nitidezza della visione…
C: È un po’ quello che dicevamo in apertura. Le linee guida che ci siamo imposti sono state essenzialmente tre: 1) rispettare il lavoro di Bosch 2) unire più ambiti artistici e 3) fare qualcosa di nuovo. Così abbiamo dato spazio prima a Bosch, poi alla (nostra) grafica.

G: Negli enigmi ho notato che c’è questo proporre parti delle opere di Bosch che nella visione d’insieme è difficile cogliere, un po’ come nella vostra grafica: se ne prende una parte e saltano fuori mille dettagli
C: Ti ringrazio per questa annotazione, perché ci permette di sottolineare il fatto che noi non vogliamo offrire una “fruizione” come quella museale. Vogliamo dare un punto di vista sul quadro differente, un’esperienza che non potresti vivere al museo. Ci sono addirittura personaggi che invecchiano nei lavori di Bosch, da quadro a quadro: Bosch li dipinge dopo vent’anni, e i personaggi invecchiano.

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R: Volete dire qualcosa ai nostri lettori?
M: L’ho già detto: se si ha voglia di fare un videogioco, non ci si deve fermare per nessuno degli scogli di cui abbiamo parlato!
C: E inoltre bisogna chiedere e domandare. Mandare mail, contattare anche personaggi che paiono irraggiungibili e si rivelano poi disponibilissimi. Bisognerebbe anche ricordare che il videogioco è uno strumento culturale, che qualcuno ci gioca e che si deve essere responsabili nell’uso del mezzo.

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Matteo Pozzi e Claudia Molinari.

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