Pixel Flood ha da sempre avuto un particolare focus sul panorama videoludico indipendente. In quest’ottica, abbiamo deciso di realizzare una serie di interviste che coinvolgeranno personalità italiane che operano nell’industria del gaming su scala nazionale. La prima chiacchierata vede protagonista Angelica Donarini, concept artist e illustratrice che ha lavorato al recente The Last Faith, ma ha saputo anche spaziare tra progetti più conosciuti come Dead By Daylight, produzioni indipendenti quali le opere di Stormind Games e giochi da tavolo dei quali è tutt’ora una grande appassionata.
Uno dei tuoi ultimi lavori è stato The Last Faith di Kumi Souls Games. Qual è stato il percorso che ti ha portata a realizzare concept per videogiochi? È una cosa a cui pensavi già da bambina?
Ciao a tutti, sono Angelica Donarini, concept artist e illustratrice per videogame e giochi da tavolo. Ho iniziato a disegnare fin da piccola, ancora prima di imparare a scrivere. È una passione che ho portato sempre avanti e ho avuto la fortuna che la mia famiglia mi sostenesse sempre. Ho frequentato il liceo artistico con uno degli ultimi indirizzi accademici prima che venisse tolto.
Disegnare era quello che volevo fare nella vita e mi interessa non solo fermarmi a creare storie o design specifici, ma anche trasmettere qualcosa che potesse essere una sorta di aiuto alle persone.
Spesso, infatti, ci capita di leggere un fumetto o giocare a un videogioco che ci fa del bene e ci accompagna non solo in situazioni spiacevoli nelle quali ci conforta, ma anche in contesti in cui ti trovi la sera con gli amici a parlare e giocare su Discord.
Anche creare una skin o un personaggio e vedere qualcuno che si identifica talmente con esso da farne un cosplay.
È una cosa che ti è capitata in prima persona?
Mi è capitato di recente con un lavoro realizzato per Dead By Daylight al quale mi è capitato di collaborare per creare una collezione di skin.
Una ragazza che fa molti video su una categoria di abiti definita Techwear (abiti alla Cyberpunk), ha fatto una serie di inspiration outfit su ogni personaggio di quella collezione.
Vedere una persona che seguo da tanto tempo fare l’ispiration outfit di qualcosa che ho realizzato io, per me è stato un onore.

Posso immaginare, con le dovute proporzioni, è come scrivere un libro che poi viene trasposto in un film.
Sì, con i dovuti paragoni. Tornando a noi, dopo le medie ho fatto l’artistico e, in quegli anni, non si parlava ancora di concept art, non come adesso comunque. Io conoscevo qualcosina perché ero già appassionata di videogiochi e avevo molti artbook. Più che concept art ero più legata all’illustrazione tradizionale e al fumetto.
Dopo il liceo ho preso lezioni private con una piccola classe seguita da un fumettista e illustratore per Bonelli e Marvel. Poi ho proseguito i miei studi in un’accademia in Toscana che si concentrava più su tecniche di fumetto e illustrazione asiatiche e poi ho fatto alcuni viaggi studio in Giappone.
Grazie a questa accademia ho conosciuto alcune persone che poi mi hanno parlato di una scuola specializzata in concept e illustrazione digitale con diverse sedi. Io sono andata in quella di Milano e mi sono diplomata dopo i due anni di studio.
Sono state le prime volte che mi sono confrontata con il digitale. Fino a quel momento avevo avuto sempre un approccio più tradizionale. Dato che le lezioni erano una volta a settimana ed era molto leggero ho potuto, inoltre, iscrivermi anche a diversi workshop e ampliare le mie conoscenze.
Mentre studiavo ho anche avuto la fortuna di fare la spalla in lavori di artisti che avevano più esperienza di me e partecipare a eventi di concept art dove ho conosciuto diverse persone che ora sono miei colleghi.
Ho caricato il mio portfolio su ArtStation, l’ho spedito in giro e hanno iniziato ad arrivare i primi lavori veri. Sono entrata nel progetto di Lex Arcana, un gioco di ruolo italiano a cui sono molto legata, e poi mi hanno chiamato anche per altri giochi da tavolo e per indie game.
A fine del 2020 mi ha contatto Stormind Games, un’azienda di giochi italiana, e ho potuto entrare a far parte di progetti molto più grossi e di un certo rilievo.
Il lavoro artistico dietro la creazione di un videogioco è un processo piuttosto complesso che coinvolge moltissime figure. Puoi spiegare brevemente in cosa consiste il lavoro di una Concept Artist?
Partiamo dal fatto che concept art e illustrazione sono due cose diverse. La concept art è funzionale a uno scopo di produzione: definire un ambiente, un personaggio o un oggetto prima della realizzazione di un prodotto finito. Serve a visualizzare le idee in modo che 3D artist, animatori e VFX possano renderle pronte alla produzione.
Non è una illustrazione promozionale, quindi non è simile a quelle che trovi come copertine dei videogiochi. È un disegnare veloce che ha lo scopo di presentare un’immagine elaborata e gradevole, ma che renda l’idea.
L’illustrazione, invece, ha il fine di comunicare un messaggio, una storia o un’idea centrale con un disegno. In quel caso è essa stessa il fine. E poi c’è il grafico che è tutt’altro.
Spesso, quando si matura in ambito artistico si riguarda alle proprie opere passate e si fatica a riconoscerle. Senti che la tua arte, nel corso del tempo, ha subito una qualche evoluzione o pensi di essere rimasta fedele allo stile con il quale hai iniziato?
A livello tecnico assolutamente, anche a distanza di pochissimo tempo. Per lo stile, mi piace molto il dark fantasy ma, per lavoro, ho imparato a spaziare e mi sono approcciata ad altri generi come sci-fi o post apocalittico. Mi sono capitati anche vestiti casual o delle figure storiche da disegnare.
Ad esempio, in Lex Arcana, per alcune illustrazioni con personaggi e figure umane dovevamo essere molto precisi sul tipo di abito e l’atmosfera.
In quei casi cosa fai?
Fai ricerca e, a volte, ti viene anche affiancato uno storico all’interno del team con cui ti rapporti. Lui ti dice se una cosa è accurata o meno e ti invia immagini e descrizioni. È una cosa utile perché ti dà la conferma che quella cosa è accurata.
Alcune cose le ho cercate anche io, ma così hai anche la conferma che quella cosa c’era effettivamente in quel contesto. In tutte queste cose tendo sempre a inserire quel dark/horror/creepy che è mio.
Tra l’altro, piccolo aneddoto, all’inizio volevo fare l’illustrazione per l’infanzia. Ho fatto test e proposto cose per un determinato target, ma mi è stato detto che la maniera con cui rappresentavo le cose potevano andare bene negli anni 80 e 90, anche per una questione di dettagli.
Adesso si tende, infatti, a cercare un disegno più minimal rispetto ad anni fa. Un esempio sono le illustrazioni che si facevano su I Piccoli Brividi e che andavano bene, appunto, negli anni 80.
Penso al confronto tra le animazioni di un Peppa Pig di oggi piuttosto che Leone il Cane Fifone o quei cartoni degli anni Novanta.
Anche solo quello ispirato a dei libri di un illustratore che mostrava degli animali vestiti da umani e in cui il protagonista era un gatto in salopette (Evviva Sandrino, Busytown Mysteries, ndr).
In ogni caso, può capitare anche che passi poco tempo da quando faccio una cosa e la riguardo accorgendomi di essere migliorata.
Immagino anche che sia un ambiente in continua evoluzione e apprendimento.
In questo ambito devi assolutamente essere curioso e devi imparare tante cose. Ci sono novità ogni giorno e, ogni tanto, ti viene la paura di non riuscire a stare dietro a tutto perché escono tantissime cose, ma le ore in una giornata sono quelle che sono.
Spesso gli artisti hanno dei riferimenti ai quali si ispirano e da cui attingono per plasmare le proprie opere. Esistono delle persone che ti hanno trasmesso la passione per questo lavoro o degli artisti a cui ti senti particolarmente legata?
Ho avuto molti bravi maestri e conoscenti che mi hanno insegnato e alimentato la passione per questo lavoro. Alcuni di loro adesso lavorano per aziende veramente importanti.
Se dovessi fare un elenco di artisti a cui mi sento legata sarebbe abbastanza lunga: pittori, concept artist, fumettisti. Potremmo passare da Simone Martini a Caravaggio, fino a Mucha o i Preraffaelliti, per arrivare alla From Software o i Six More Vodka.
Mi piacciono molto anche alcuni artisti slavi come Beksinski (nell’immagine sotto, ndr) e Lewandowski.
Loro hanno dei tratti che ricordano i disegni nel Sandman di Neil Gaiman, mi piacciono molto.
Altri artisti che mi piacciono sono: Maxim Verehin, Oleg Vdovenko, Tatyana Kupriyanova, Roman Kupriiano e Bogdan Rezunenko.
Cambiamo argomento. Quando si pensa ai videogiochi, solitamente, l’immaginario delle persone si proietta al Giappone o agli Stati Uniti, la cui storia nello sviluppo di prodotti videoludici è sicuramente più solida. Cosa vuol dire lavorare in questo settore in Italia? Pensi che il nostro paese possa competere con le produzioni estere?
Siamo partiti veramente in ritardo rispetto ad altri paesi, anche in Europa, ma stiamo facendo grandi progressi come professionisti sia per quantità che come qualità. Stiamo recuperando parecchio non solo con indie game quali The Last Faith, Baldo, Soulstice di Forge Reply o Batora di Stormind che ha anche recentemente annunciato la sua collaborazione con Dead By Daylight, ma anche studi come Milestone per quanto riguarda il racing.
Poi è entrata in vigore anche la Tax Credit dal ministero della cultura. Ai produttori di videogiochi spetta un credito di imposta fino 25% del costo elegibile per la produzione di videogiochi a cui viene riconosciuta la nazionalità italiana, fino a un massimo di un milione annui per impresa o gruppo di imprese.
Il beneficio è riconosciuto in base agli investimenti effettuati per la produzione di videogiochi che oltre alla nazionalità italiana siano riconosciute come opere di valore culturale e contribuiscano allo sviluppo della creatività italiana ed europea nei videogiochi.
Questo è un piccolo grande passo del governo italiano nei confronti di un’industria che fino a qualche anno fa era stata ignorata.
Immagino che nel tuo lavoro, come in molti altri ruoli, non sia sempre tutto bello, ma ci siano alti e bassi. Qual è stato il progetto più divertente a cui hai lavorato e quale quello più stressante?
A ogni progetto a cui ho lavorato ho partecipato molto volentieri. Non c’è stata una volta in cui ho detto che non mi piace lavorare a qualcosa, anche perché sono una persona molto entusiasta.
L’unica cosa è quando il cliente ti fa fare tremila correzioni o ti chiede una dozzina di design e viene scelto quello meno interessante tra le mie proposte. Magari in quei casi ti indisponi.
Ci sono state volte in cui è stato scelto un design che non c’entrava nulla con quel contesto e che ha proprio uno stile diverso da quella collezione. Magari veniva inserito un elemento gotico in un personaggio che, invece, doveva essere futuristico.
Tu hai lavorato sia su videogiochi che su giochi da tavolo. Sarebbe interessante capire quanto è diverso lo sviluppo o il processo creativo tra i due mondi.
Per esperienza personale posso dire che nei videogiochi si fanno più chiamate nelle quali si commenta e si revisiona quello che non va bene o si parla di quello che funziona. Io ho sempre lavorato da remoto e a queste call si aggiungono spesso quelle in solitaria con i lead o l’art director o entrambe queste figure.
Per quanto riguarda editoria o giochi da tavolo, per ora, abbiamo sempre tenuto un botta e risposta via e-mail. Si mettono tutti in copia e si comunica in questo modo. È anche capitato che per videogiochi più indie si facessero gruppi Skype o Discord ed è un po’ una via di mezzo tra le due esperienze di cui ho appena parlato. Ma, ovviamente, queste sono le esperienze che sono capitate a me.
Se pensi alla Angelica del 2034 dove vorresti che si trovasse?
Ho degli obiettivi e dei progetti a cui voglio partecipare. Attualmente sto lavorando a cose molto interessanti. Non nego che ci sono dei videogiochi specifici che fanno parte del mio background artistico e della mia infanzia. Si tratta sia di titoli indie che giochi da tavolo.
Mi piacerebbe molto esplorare di più i videogiochi indie e avere l’opportunità di lavorare a diversi titoli di quel genere.
Vorresti esplorare anche altro oltre ai videogiochi in senso stretto?
Sì, mi piacciono sempre i campi dell’editoria e dei giochi da tavolo perché si sono sempre creati dei bei rapporti nel lavoro. Era un bell’ambiente e ho sempre avuto delle belle esperienze.
Se penso ai videogame, invece, mi piacerebbe avere l’opportunità di partecipare a degli indie game perché ho visto titoli che magari durano un’oretta e mi hanno dato molte più emozioni di giochi che, invece, durano svariate ore.
È una cosa che sto vedendo anche nei manga e nei fumetti che sto leggendo. Leggo anche quelli famosi, ma preferisco quelli a volumi unici o autoconclusivi.
Vuoi dare qualche titolo?
Come giochi indie uno dei miei preferiti è Gris che è praticamente muto e c’è solo la musica. Ci sarebbe anche Dordogne che sembra disegnato ad acquerello e sto recuperando Child of Light che mi piace tantissimo anche per il modo in cui parlano i personaggi.
Sono giochi che non durano tantissimo, ma mi sono piaciuti particolarmente. Altri giochi tra i miei preferiti sono i due Little Nightmares.
Poi, in generale, i giochi che più mi ispirano sono quelli From Software che si avvicinano molto al mio stile e Horizon, ma anche Little Nightmare o i videogiochi della Capcom come Monster Hunter o Devil May Cry e gli ultimi God of War.
Sono anche una grande fan dei Final Fantasy. Mi piacciono in particolar modo quelli dall’uno al sei perché sono molto liberty e poi dal sette al nove per questioni affettive.
Bene, direi che abbiamo sviscerato alla perfezione sia il tuo lavoro che il tuo percorso artistico. Per me è stato un vero onore aver potuto parlare con te e sono davvero soddisfatto.
Grazie, anche per me è stato un onore e sono felicissima di aver partecipato.