Starfield è, senza dubbio, uno dei giochi più attesi di settembre e di questa annata videoludica. Il titolo di Bethesda è uscito da poco più di una settimana e si è già detto moltissimo sul suo conto. Il bilancio delle mie prime venti ore sull’open world nello spazio è assolutamente positivo. Tuttavia, le prime ore spese sul gioco mi hanno portato ad una riflessione che va oltre il semplice videogiocare.
Starfield, infatti, può avere diverse chiavi di lettura: io ho scelto una di quelle più amare. Dietro a paesaggi meravigliosi, città dalle sgargianti luci al neon, avamposti semi-abbandonati e grandi centri abitati in cui lo sfarzo la fa da padrone si nasconde, infatti, tutta l’arroganza dell’essere umano.
Siamo soli nell’universo?
Dopo aver esplorato i primi pianeti di Starfield, mi sono, infatti, accorto che le uniche persone con cui mi sono trovato a interagire sono umane. Questo mi ha portato a chiedermi: siamo soli nell’universo? È mai possibile che in una serie sterminata di pianeti, galassie e lune in cui è stato possibile insediare forme di vita, nessuna di queste sia aliena?
Dopo alcune ricerche ulteriori, sembra proprio che in Starfield non siano presenti specie aliene socievoli. Esistono, infatti, diversi tipi di “extraterresti” con i quali ci troveremo faccia a faccia durante i nostri viaggi spaziali, ma nessuno di questi sarà disposto a interagire con noi.
Tra terrormorfi e bestie di varia natura, infatti, ogni forma di vita aliena non farà altro che tentare di ucciderci. Si tratta di una scelta interessante da parte di Bethesda, soprattutto se consideriamo opere come Mass Effect che già da inizio degli anni 2000 hanno messo in conto l’esistenza di diverse specie extraterrestri dalle tecnologie avanzate.
L’arroganza dell’uomo
Starfield, dunque, si può leggere anche in una chiave più riflessiva, che si addentra nella psiche e nell’ego umano. Stando alle premesse del gioco, infatti, l’uomo, dopo aver reso invivibile il pianeta Terra, ha iniziato a colonizzare altri sistemi, espandendosi a macchia d’olio fino ad uscire dal Sistema Solare.
In questo processo, gli umani si sono portati dietro tutti i problemi che caratterizzano la popolazione terrestre. Povertà, corruzione e criminalità dilagante sono solo alcune delle situazioni con le quali ci troveremo a contatto nella nostra avventura su Starfield.
L’uomo, quindi, non soddisfatto dalla distruzione portata sulla Terra, ha deciso di proseguire la sua scia di devastazione in altri pianeti. Invece di imparare a cooperare e unirsi per creare delle società coese e armoniose, l’essere umano ha preferito espandersi come un virus che si diffonde senza controllo.
Dalle miniere su Cydonia, fino ai pirati disseminati nelle più remote località dello spazio, è il male a prevalere sui cittadini per bene. I poveri vengono schiacciati dai governi e tenuti sotto pressione da strozzini e canaglie, mentre i ricchi si godono lo spettacolo dalle loro abitazioni di lusso.
Si tratta sicuramente di un paragone piuttosto azzardato, ma la condizione umana rappresentata da Starfield è senza dubbio preoccupante. Possiamo, dunque, vedere il titolo di Bethesda come una versione su larga scala di quello che vediamo ogni giorno sui telegiornali.
Allo stesso modo, Starfield potrebbe essere una spinta in direzione contraria. Rendersi conto che, tra qualche centinaio di anni, la nostra specie potrebbe arrivare a tanto, può infatti fungere da scintilla verso una riflessione opposta.
Il miglioramento parte dal singolo
Grazie alla sua libertà d’azione, infatti, Starfield permette di schierarsi con diverse fazioni e affrontare le situazioni con svariati approcci, dal più crudele al più pacifico. Proprio in questa ottica di rivalsa della condizione umana, la mia prima run sul titolo di Bethesda è orientata verso un bene esasperato.
Mi sono, infatti, ritrovato a prestare soldi, saldare debiti altrui e risparmiare la vita di persone appena conosciute, solo per vedere come tutto questo andrà ad impattare sul mondo che mi lascerò alle spalle una volta conclusa la mia avventura.
Quello che ne ho tratto fino ad ora, dopo aver visto molto poco della storia principale, in favore di svariate missioni secondarie e interazioni con chiunque volesse parlarmi, è un alto livello di soddisfazione.
Proteggere gli indifesi e usare il mio “potere” per aiutare gli svantaggiati, infatti, mi ha lasciato un senso di benessere non indifferente. Di contro, in quelle poche occasioni nelle quali una scelta sbagliata mi ha portato ad abbandonare la mia morale, il senso di colpa si è fatto sentire duramente.
Dunque, anche se non dovessi riuscire a rendere l’universo un posto in cui gli uomini ballano in cerchio, abbracciati sotto arcobaleni splendenti, affrontare questo viaggio con la consapevolezza di poter fare del bene mi ha saputo incollare allo schermo e mi ha fatto sentire, per una manciata di ore, un essere umano migliore.