Un settore in continua evoluzione tecnica come il videogioco è normale che sia suscettibile alle influenze delle nuove tecnologie e la storia dell’industria videoludica è costellata di storie d’amore con questa o quella innovazione, più o meno travagliate e dagli esiti disparati.
Indice
NFT E VIDEOGIOCHI
Nel recente passato, ad esempio, abbiamo avuto l’infatuazione con gli schermi 3D, che si è esaurita lasciandosi dietro giusto il Nintendo 3DS, e il grande ritorno di fiamma della realtà virtuale, che dopo esser sparita negli anni ’90 è tornata armata di migliori intenzioni (e hardware più performanti) e sembra esser qui per restare.
Ogni tanto litighiamo ancora con i DRM e la loro invadenza (mi spingerei a definirla stalking), mentre il passaggio dalla distribuzione fisica a quella digitale è stata così liscia che ci siamo ritrovati sposati a Steam senza neanche accorgercene.
Ebbene, i NFT (Non-Fungible Tokens) sono senza dubbio il nuovo oggetto del desiderio che sta tenendo banco sui rotocalchi del mondo videoludico.
Alcuni li odiano, altri li amano e tutti si chiedono se e quanto diverranno davvero il futuro dei videogiochi (come affermato, ad esempio, da EA).
Se per una risposta definitiva è ancora troppo presto, penso però che gli utilizzi di questa tecnologia nel nostro medium preferito siano già abbastanza da poter iniziare a mettere in fila qualche considerazione.
Prima, però, sarà il caso di capire di che stiamo parlando.
I NFT: cosa sono? Una spiegazione essenziale
Semplificando brutalmente, i NFT (Non-Fungible Tokens) sono una delle possibili applicazioni della tecnologia blockchain la quale, sempre semplificando malamente, è una tecnologia che permette di creare e gestire un registro di dati distribuito e decentralizzato.
- Distribuito, perché invece di esistere una sola copia di questo registro di dati, accessibile dai suoi utenti, ogni utente (detto nodo) che intenda partecipare alla sua gestione del registro ne possiede una copia.
- Decentralizzato, perché quando qualcuno chiede di aggiungere un dato al registro l’aggiunta non viene effettuata da un organismo centrale (come accadrebbe, ad esempio, per un registro bancario) ma viene effettuata da un nodo scelto di volta in volta attraverso un procedimento prestabilito e complesso, che assicura che la richiesta venga soddisfatta in modo imparziale e senza manomissioni.
Quando un dato viene autorizzato a essere aggiunto al registro viene impacchettato assieme ad altri dati in un blocco di dati che viene poi chiuso e unito ai blocchi creati in precedenza (è dalla successione di questi blocchi di dati che viene il nome blockchain).
A quel punto il dato registrato è immodificabile e nei secoli dei secoli (o, comunque, finché tutti i nodi non scoppiano con le loro copie) chiunque potrà consultare la blockchain e verificare che nella tal data tal Tizio ha fatto inserire tal dato nel registro.
- Un esempio celebre di dati registrati nelle blockchain sono le criptovalute e la blockchain più famosa è senza dubbio la blockchain che gestisce i Bitcoin.
La blockchain Bitcoin registra sostanzialmente due tipi di dati: i Bitcoin, generati come premio per i nodi che di volta in volta validano le registrazioni, e le transazioni con le quali i Bitcoin passano di mano in mano fra gli utenti.
Le criptovalute come i Bitcoin possono considerarsi un esempio di token (anche se nel caso delle criptovalute si usa il termine coin) fungibili. È vero che ogni singolo Bitcoin ha un suo numero di serie (come le banconote) ma per l’utente Tizio è indifferente possedere il Bitcoin A o il Bitcoin B perché entrambi hanno il medesimo valore e svolgono la stessa funzione di criptovaluta.
I Non-Fungible Tokens, come spiega il nome, sono invece token non fungibili che caratterizzano enti unici o limitati, dove non è indifferente, per l’utente Tizio, possedere uno invece dell’altro.
L’esempio tipico di Non-Fungible Token è il certificato di proprietà di un’opera d’arte digitale. Mettiamo che qualcuno crei un’opera digitale, un dipinto ad esempio, intitolato Pretty Paint e decida di vendere la proprietà dell’opera. Un tempo avrebbe dovuto rassegnarsi al fatto che il primo cui avesse venduto una copia dell’opera avrebbe potuto crearne infinite copie con cui inondare Internet, impedendogli di venderne altre oppure costringendolo ad affidarsi a macchinosi DRM, o ad atroci watermarks, per scoraggiare la diffusione dell’opera e la conseguente perdita di valore.
Oggi l’autore può creare un NFT che attesti che il possessore del NFT è il proprietario dell’opera Pretty Paint (o di una delle 10-20-tot copie “originali” di Pretty Paint, ognuna accompagnata dal suo NFT) e cedere il NFT assieme a una copia dell’opera al momento della vendita.
In questo modo l’opera conserva il suo valore anche se Internet viene inondato di sue copie, perché solo chi può esibire il NFT ne è il legittimo proprietario e la scarsità dei NFT, che grazie alle caratteristiche tecniche della blockchain non possono essere duplicati, garantisce il valore della proprietà dell’opera.
E questo è solo l’utilizzo più semplice dei NFT. I NFT possono anche integrarsi con siti e programmi software per ottenere ulteriori effetti, come ad esempio consentire solo a chi possiede un apposito NFT di accedere alla sezione esclusiva di un sito, oppure ad alcune delle funzionalità di un programma. Un NFT può anche essere letto da un programma così dar vita, al suo interno, a un asset corrispondente che potrà essere utilizzato solo dal proprietario del NFT.
I NFT nei videogiochi: la situazione odierna
Al momento l’utilizzo dei NFT nel campo videoludico non è ancora molto diffuso.
I grandi publisher stanno giusto adesso esprimendosi sulla questione e pochi di loro sono già scesi in campo.
Per ora si sono mostrati favorevoli Electronic Arts, Epic Games, Ubisoft e Square Enix, mentre Valve ha attuato un ban dei videogiochi che ne fanno uso dal catalogo di Steam, e dei big a favore solo Square Enix e Ubisoft hanno già dei progetti avviati.
Square Enix ha creato e venduto un set di carte in NFT per Shi-San-Sei Million Arthur (un card game della serie Million Arthur), mentre Ubisoft ha lanciato una piattaforma per l’acquisto di NFT di nome Ubisoft Quartz, che al momento venderà in NFT oggetti estetici per Ghost Recon Breakpoint.
A usare i NFT in maniera più centrale e innovativa sono, al momento, prodotti di realtà indipendenti, due delle quali stanno ottenendo molto successo e risonanza.
Si tratta di Axie Infinity e The Sandbox, ed è da questi due titoli che voglio partire per vedere come gli NFT stanno venendo usati nei videogiochi e, soprattutto, se la cosa ha senso.
Axie Infinity
Sviluppato da Axie Infinity Limited, Axie Infinity è un gioco per PC e mobile che vede i giocatori creare party di creature fantastiche chiamate Axies.
Il gioco prende molta ispirazione dai videogiochi della serie Pokemon (sono gli sviluppatori stessi a tracciare il parallelo), con la differenza che, mentre ogni Pokemon appartiene a una specie predeterminata (Pikachu, Bulbasaur ecc.), ogni Axie è come fosse una specie a sé.
Ognuna di queste creature, infatti, ha il corpo composto da sei parti e per ogni parte del corpo (occhi, orecchie, corna ecc.) ci sono decine di possibili varianti. Inoltre, ogni Axie appartiene a una classe (Pianta, Acquatico, Uccello… funzionano esattamente come la classificazione in tipi dei Pokemon) e le diverse combinazioni fra parti del corpo e classe permette la creazione di decine di migliaia di Axies unici, diversi da tutti gli altri.
Classe e parti del corpo determinano le statistiche di attacco e difesa di ogni Axie e le parti del corpo, inoltre, ne determinano la dotazione iniziale di carte, che costituiscono le abilità utilizzabili dall’Axie in combattimento.
Ogni giocatore inizia la sua avventura con un party composto da tre Axies e può partecipare ad attività PvE, esplorando il mondo di gioco e combattendo con i propri Axies contro dei mob, o ad attività PvP, combattendo contro gli Axies di altri giocatori. È inoltre possibile collezionare nuovi Axies e farne accoppiare due fra loro per far nascere nuovi mostriciattoli.
A livello di gameplay, insomma, siamo di fronte a un clone di Pokemon ibridato con un card game. Quello che distingue Axie Infinity dagli altri pokemon-like è l’intenso uso della tecnologia blockchain dietro gli asset di gioco.
Ogni Axie, infatti, è un NFT o, meglio, ha un NFT associato che ne determina la proprietà e solo il giocatore che possiede questo NFT può schierarlo in campo. Gli Axies possono essere comprati e venduti in cambio di Ether (in sigla ETH, la criptovaluta della blockchain Ethereum) sul marketplace ufficiale di Axie Infinity e per iniziare a giocare bisogna comprare i tre Axies che formeranno il proprio party iniziale. Al momento in cui scrivo l’Axie meno costoso viene venduto per l’equivalente di 74 dollari.
Oltre agli Axies anche gli oggetti utilizzabili in game sono legati a dei NFT che possono essere comprati e venduti in cambio di Ether, e lo stesso discorso vale per gli appezzamenti di terra dentro il mondo di gioco, che al momento non sono ancora implementati (serviranno a introdurre una componente survival al gameplay) ma possono essere già pre-acquistati sul marketplace.
Ma non solo praticamente tutti gli asset di Axie Infinity sono NFT, l’integrazione fra questo gioco e la tecnologia blockchain raggiunge un livello di complessità ulteriore grazie agli Axie Infinity Shard (AXS), un tipo di token proprietario di Axie Infinity Limited creato tramite la blockchain Ethereum.
In gioco questi token, fungibili, fungono da valuta di gioco e, come tutte le valute virtuali dei videogiochi, vengono ottenute dai giocatori come ricompensa per una serie di attività e vengono spese per compiere altre attività ancora. L’attività più importante che richiede la spesa di AXS è l’accoppiamento fra Axies.
Fuori dal gioco, invece, gli AXS vengono quotati e scambiati come una normale criptovaluta. Chi non gioca può investirci come farebbe con altre criptovalute, mentre i giocatori di Axie Infinity sono stimolati ad accumularli e metterli a deposito (staking) per ottenere in cambio, a seconda del tempo trascorso senza utilizzarli, una serie di ricompense che vanno da ulteriori AXS a benefici in game.
Inoltre, il possesso di AXS permette di intervenire nelle scelte degli sviluppatori del gioco, in quanto conferisce un diritto di voto sulle loro proposte per i futuri sviluppi di Axie Infinity.
The Sandbox
The Sandbox, di Bacasable Global Limited, si definisce come un metaverso aperto, collocandosi quindi a cavallo fra il fenomeno videoludico e il metaverso ampiamente inteso, che è l’altro grande e controverso fenomeno del momento.
In sostanza è un videogioco che ricorda, per stile e meccaniche, l’aspetto building di Minecraft e di creazione e condivisione di esperienze ludiche (ma anche artistiche e sociali) da parte degli utenti di Dreams.
Gli utenti possono comprare degli spazi certificati in NFT, le LAND, e riempirle con abitazioni, oggetti, creature, opere, elementi scenici ecc. creati e certificati in NFT grazie all’editor VoxEdit.
I più intraprendenti possono inoltre usare un secondo editor, Game Maker, per creare esperienze interattive per gli utenti in visita presso la loro LAND, come ad esempio dungeon da esplorare e razziare, o anche club dove rilassarsi ascoltando musica.
Anche The Sandbox ha un proprio utility token da impiegabile come valuta in questo metaverso, SAND, che oltre a essere usata per acquistare e vendere le LAND e le creazioni degli utenti può essere compravenduta sui siti di trading di criptovalute.
The Sandbox mira, quindi, a diventare un’esperienza che trascende il semplice videoludo, offrendo occasioni di incontro e socialità in un mondo virtuale dove gli utenti possono esplorare liberamente le terre degli altri utenti e godere delle loro creazioni oppure curare le proprie terre creando ambienti ed esperienze con cui stupire gli altri.
Tirando le somme: fra riciclo del passato, speculazione rampante…
Considerando l’uso dei NFT nei due videogiochi adesso esaminati la prima conclusione che mi viene da trarre è che siamo di fronte, per lo più, alla riproposizione di meccaniche vecchie con una tecnologia nuova.
Un po’ come quando siamo passati dall’imprimere il movimento di una mazza da golf con la levetta di un gamepad al farlo impugnando e agitando un Wiimote, solo che a questo giro non mi pare di vedere il valore aggiunto a livello videoludico.
Alla fine, tutte le funzioni che abbiamo visto in Axie Infinity e in The Sandbox, compresa la compravendita degli asset di gioco, sono cose che si sono fatte anche in passato e che sono tutt’ora fattibili senza bisogno di ricorrere alla blockchain e ai NFT.
La possibilità di associare un asset a un singolo account, la possibilità di creare asset unici, la possibilità di vendere e acquistare questi asset in game attraverso valuta di gioco e/o valuta reale sono cose che possono essere fatte direttamente in game o comunque dallo sviluppatore, come provano la sventurata auction house di Diablo III e il meno sventurato mercato della comunità di Steam.
Dare la possibilità ai giocatori di creare asset e di metterli a disposizione di altri giocatori, compresa la creazione di veri e propri giochi o esperienze ludico/artistiche/sociali, è patrimonio comune di molti giochi, da Minecraft a Dreams passando per The Sims 4.
La possibilità di possedere spazi virtuali in un mondo di gioco persistente, e di incontrarsi con altri utenti per vivere assieme esperienze non solo ludiche, è prima di The Sandbox è stata fornita senza problemi da molteplici MMORPG e da realtà come Second Life.
L’unica differenza con queste esperienze del passato e del presente, e con quello che si potrebbe comunque fare senza ricorrere a blockchain e NFT, mi sembra essere solo, appunto, la scelta di impiegare i NFT e la blockchain per farlo e questo, a mio avviso, non aggiunge niente all’esperienza di gioco.
Al che qualcuno potrebbe, giustamente, obiettare che il valore aggiunto dei NFT e della blockchain è esterno all’esperienza videoludica strettamente considerata e consiste nei vantaggi dati dalla decentralizzazione dell’ecosistema blockchain.
Che fra possedere una Teebu’s Blazing Longsword perché risulta associata al nostro account di World of Warcraft in un server di Activision-Blizzard e possedere una Teebu’s Blazing Longsword perché se ne detiene il NFT c’è una netta differenza, dal momento che Activision-Blizzard potrebbe cancellarla dal nostro account domani (o cancellare direttamente l’account) mentre il NFT non può esserci sottratto da nessuno.
Vero, ma resta il fatto che l’unica utilità di possedere una Teebu’s Blazing Longsword è brandirla in WoW, se domani i server di WoW dovessero venire spenti noi rimarremmo con soltanto il certificato di proprietà di un asset digitale che non esisterebbe più.
Cosa sarà del valore, anche cospicuo, degli Axies il giorno che i server di Axie Infinity dovessero venire spenti? O delle LAND di The Sandbox se il progetto dovesse chiudere?
- Il primo problema che vedo, dietro l’attuale uso dei NFT nei videogiochi, è che è inutile appoggiarsi a una tecnologia decentralizzata e distribuita se poi l’esistenza stessa, e la possibilità di utilizzo, degli asset certificati in NFT e registrati in blockchain dipende da un videogioco gestito in maniera centralizzata dallo sviluppatore e/o publisher sui propri server.
- Il secondo problema che vedo è che – considerato quanto sopra e, quindi, l’apporto nullo a livello di esperienza videoludica – l’unica cosa che l’uso di queste nuove tecnologie aggiunge ai videogiochi che ne fanno uso è l’aspetto speculativo del mondo blockchain.
Non voglio fare l’ipocrita. Il mondo videoludico ha i suoi fenomeni speculativi, che si tratti di comprare collector’s editions per rivenderle a prezzo maggiorato ai collezionisti, del fenomeno del gold farming nei MMORPG o della vendita di account di giochi online in possesso di collezionabili rari.
Però si è sempre trattato di un fenomeno secondario, alimentato da persone che per trarre un guadagno sfruttano meccaniche di gameplay o elementi di collezionismo che non sono stati creati allo scopo di alimentare la speculazione ma, appunto, di offrire un determinato gameplay o dei bonus (fisici e/o digitali) da collezionare per il piacere di farlo.
Anzi, tutte le volte che si è avuta la sensazione che una meccanica fosse pensata per stimolare un atteggiamento speculativo degli utenti c’è stata una levata di scudi abbastanza generalizzata. Penso che ricordiamo tutti, per richiamare un esempio fatto, le critiche all’auction house di Diablo III.
L’implementazione che si sta attuando dei NFT nel videogioco, con tanto di pseudo-criptovalute proprietarie, mi sembra un voler invece spingere sull’aspetto speculativo per coinvolgere utenti interessati principalmente al guadagno, e sostenere così il successo di pubblico e, soprattutto, economico, di titoli che altrimenti avrebbero poco da dire sulla scena ludica.
Ad esempio, è interessante notare che Axie Infinity è molto diffuso in quelle zone del mondo dove il reddito medio pro-capite è basso ma la possibilità di accedere a Internet da smartphone è molto diffusa, dove sta diventando qualcosa a metà fra il fenomeno culturale e un lavoro.
Nelle Filippine, ad esempio, c’è una estesa comunità di giocatori che grazie alla vendita degli Axies e degli oggetti di gioco ottenuti in game si guadagna da vivere e, sinceramente, se gli Axies non fossero dei NFT valutati in Ether ma dei normali asset, con la possibilità di comprarli e venderli in cambio di dollari attraverso una auction house in game, non penso proprio che Axie Infinity avrebbe avuto lo stesso successo.
Il fatto, poi, che Axie Infinity prometta a chi acquista e detiene i proprio token AXS per un certo tempo ricompense anche in AXS, al pari delle normali criptovalute, spinge anche chi non gioca ad acquistare AXS e metterli in staking nella speranza che il loro valore aumenti – o, comunque, di ottenere nuovi token – per rivenderli un domani con profitto.
AXS, insomma, ha tutte le caratteristiche di una criptovaluta da investimento con la differenza che gli andamenti del suo valore dettati dalla speculazione hanno un impatto diretto nel gioco, visto che funge anche da valuta interna ad Axie Infinity.
Su The Sandbox, complici anche sponsorizzazioni di rilievo e al richiamo del metaverso, si sta scatenando una speculazione degna delle collections di opere d’arte in NFT, con gente che sborsa migliaia e migliaia di dollari per LAND che al momento nemmeno possono usare, visto lo stato di Alpha del progetto.
E lo stesso si può dire per le terre in Axie Infinity, ancora non uscite e già vendute per oltre 10.000 dollari a lotto.
Sinceramente trovo difficile non vedere dietro a tutto questo l’insinuarsi nel mondo videoludico del fenomeno speculativo selvaggio e, spesso insensato, che accompagna i NFT in ogni ambito in cui vengono utilizzati.
Basti pensare che per una cosa simile, vendere gli asset di un gioco in via di sviluppo, Star Citizien è diventato una specie di barzelletta del mondo videoludico! Invece se la cosa avviene utilizzando NFT e blockchain tutto diventa improvvisamente normale, anche interessante, forse il futuro stesso dei videogiochi.
… e promesse di futuro
Venendo al futuro, tuttavia, non intendo chiudere questa disamina solo con le note negative.
Anche se trovo che l’uso che si sta facendo dei NFT e della blockchain nei videogiochi in questo momento non abbia senso, e sia addirittura problematico, penso anche che queste tecnologie abbiano un potenziale videoludico positivo che aspetta di essere esplorato.
La decentralizzazione dei NFT e il loro essere direttamente proprietà degli utenti può, infatti, portare a meccaniche interessanti se si riuscirà a implementare i NFT nei videogiochi nel modo corretto.
Un primo esempio potrebbe essere l’utilizzo di NFT in giochi che non dipendono, per la loro fruizione, da un sistema centralizzato.
Penso ad esempio ai giochi di strategia o shooter che consentono a ogni giocatore di ospitare partite multiplayer utilizzando il proprio PC, o la propria console, come server. In giochi così organizzati non ci sarebbe il rischio di perdere l’asset legato al NFT fintanto che vi sono copie del gioco in circolazione, macchine in grado di farle girare e giocatori attivi.
In questi giochi l’esplorazione delle meccaniche di gameplay date dall’esistenza di asset rari o unici in NFT da acquisire e impiegare nelle proprie partite avrebbe maggior senso e sarebbe anche più duttile.
Ad esempio. In un videogioco online centralizzato i giocatori entrano in gioco con l’assetto stabilito dal sistema centrale (a un certo account corrispondono determinate risorse) ma un videogioco che lascia ai giocatori la libertà di organizzare le proprie partite potrebbe esplorare soluzioni differenti, come la possibilità di caricare gli asset legati ai NFT dei partecipanti e poi ridistribuirli, per quell’incontro, fra tutti i giocatori. Oltre agli asset più propriamente “materiali”, poi, si potrebbero mettere in NFT modalità particolari di gioco, ruleset speciali ecc., che i proprietari potrebbero mettere a disposizione degli altri giocatori.
Si potrebbe, insomma, puntare a creare videogiochi che sfruttino le caratteristiche di questa nuova tecnologia distribuita e decentralizzata per essere a loro volta, a modo loro, davvero decentralizzati.
Un’altra ipotesi sarebbe sfruttare il grande potenziale di portabilità e versatilità dei NFT.
Il NFT alla fine è un certificato che attesta che il suo titolare è proprietario di un determinato asset digitale e questo, nei videogiochi, si traduce nel fatto che il gioco legge il certificato e mette a disposizione del giocatore l’asset corrispondente.
Ebbene, si potrebbe sfruttare questo meccanismo per far si che giochi differenti leggano lo stesso NFT legandogli asseti differenti. Lo stesso NFT che in un videogioco ci permette, ad esempio, di usare una specifica creatura in un altro gioco potrebbe permetterci di usare un determinato veicolo o una determinata arma.
Certo, una cosa simile è possibile farla già oggi all’interno di giochi dello stesso sviluppatore/publisher senza bisogno di NFT. Già Blizzard ha abituato i suoi utenti a bonus, solitamente estetici, che una volta sbloccati si manifestano in asset differenti a seconda del gioco Blizzard utilizzato. Però il fatto che il NFT esiste in una blockchain esterna all’ecosistema di questo o quello sviluppatore/publisher, e liberamente consultabile, permetterebbe di estendere questa portabilità e versatilità anche fuori dal singolo ecosistema.
Il NFT connesso oggi a un gioco di Blizzard potrebbe essere letto e implementato in game in modo nuovo domani da un gioco di Square Enix, senza bisogno di complicate operazioni informatiche per permettere alla seconda di leggere e operare sui dati degli utenti della prima. Basterebbe semplicemente conoscere i codici dei NFT interessati e programmare il nuovo gioco a riconoscerli.
Considerato, inoltre, che i NFT sono potenzialmente eterni questo permetterebbe di recuperare asset vecchi anche di anni. Un asset in NFT di un gioco ormai obsoleto potrebbe essere recuperato e implementato nel remake, ad esempio, di quel gioco sviluppato venti anni dopo senza alcuna complicazione (basta solo che l’utente non abbia perso l’accesso al wallet in cui detiene il NFT…).
Si potrebbero anche venire a creare, grazie ai NFT e alla blockchain, connessioni fra giochi che oggi non riusciamo a pensare.
In conclusione, non penso che i NFT e la blockchain saranno il futuro dei videogiochi, per niente affatto, ma credo che saranno parte del futuro dei videogiochi, a patto di far uscire dalla porta l’aspetto speculativo di queste tecnologie e assicurarsi che non possa rientrare dalla finestra.
L’articolo è stato gentilmente scritto e offerto da Marco “Hendioke” Parini
Videogiocatore dai tempi del Commodore 64, segue l’evoluzione del medium saltando da una piattaforma all’altra.
Nel mentre è diventato avvocato, specializzato in software e diritto IP, per seguire i videogiochi anche nel lavoro.