Pubblicato il 10/02/18 da Neko Polpo

Gaming, depressione e tutto il resto

Come i videogame e gli eSports mi hanno accompagnata fuori da uno dei tunnel più brutti della mia vita.

Tengo anzitutto a precisare che questo è solo ed esclusivamente il racconto della mia esperienza personale, non si tratta assolutamente di un articolo atto ad indicare come comportarsi soffrendo di depressione. Ho comunque seguito un percorso di aiuto psicologico in seguito.

Il 2010 fu un anno particolarmente disastroso per me. Non si è mai preparate a gestire relazioni malsane che sfociano in violenze fisiche, figuriamoci a 20 anni. Uscivo da una di queste situazioni, una di quelle che se non scappi in tempo potresti diventare pane per giornalisti annoiati. Una delle conseguenze principali di questo tipo di legami è la solitudine, poiché nell’arco di tutta la relazione ci si trova ad isolarsi dal resto del mondo, perdendo spesso tutte le amicizie e i contatti umani.

A 20 anni e con un bagaglio troppo pesante da portare sulle spalle, ho ritrovato nel mio PC una via di fuga da quei ricordi troppo forti e dolorosi da sopportare. Rispolverai la mia passione per i videogame, scoprendo con un po’ di sollievo che le ore dedicate a vivere le avventure dei miei personaggi erano ore che io strappavo al dolore. Il mio legame d’affetto per Bioware nacque proprio in quel periodo grazie a Dragon Age: Origins che, grazie a quelle cento ore e passa di gameplay, ha saputo trasportarmi nel mondo che probabilmente cercavo, un mondo dove mi sono sentita importante, necessaria, un’eroina. Decisi così di approfondire il mio rapporto con la casa di sviluppo canadese, scoprendo quella che è ad oggi la mia saga videoludica preferita: Mass Effect.

Mass Effect non è solo un’action RPG con dinamiche shooter, è un mondo a parte, un universo che ti rapisce e ti accoglie. In breve tempo la Normandy diventò casa miaTali, Garrus, Wrex e Kaidan i miei migliori amici. Grazie a Mass Effect mi sono sentita di nuovo parte di qualcosa, ho avvertito la volontà di “salvare l’universo” dal momento in cui la mia Comandante Shepard è entrata in contatto con la reliquia Prothean. Cominciavo a stare meglio e dovevo ringraziare un videogame.

Purtroppo però le mie disavventure nel mondo reale mi portarono a subire un grave infortunio alla gamba destra, che mi costrinse a rimanere bloccata sulla sedia a rotelle per ben 8 mesi. Se prima i miei contatti col mondo esterno erano minimi, nel 2011 vennero del tutto azzerati e, come spesso capita, le persone spariscono nel momento del bisogno.

Impossibilitata nel restare seduta alla mia scrivania, dovetti dare una chance a quella Xbox 360 acquistata per vezzo e mai utilizzata: nel 2011 scoprii il lato “Online” dei videogame.

Insieme alla console avevo acquistato Gears of War 3 e Call of Duty: Modern Warfare 3. Mi presi del tempo per abituarmi all’utilizzo del pad, ma sentivo che dovevo lanciarmi nel mondo online e far vedere a tutti di cosa ero capace.

Ricordo chiaramente la prima volta in cui qualcuno mi rivolse la parola durante un match di Gears of War e il mio totale imbarazzo nel rispondere a questa persona che non conoscevo. La possibilità di parlare da un paio di cuffie, dietro ad uno schermo e seduta sulla mia poltrona mi ha però aiutata nel socializzare. Del resto, nessuno poteva giudicarmi non vedendomi.

Uno dei lasciti degli avvenimenti che sono stata costretta a subire è stato sicuramente il crollo della mia autostima. Mi son trovata a dover ricostruire la mia rete mentale da zero, senza aiuti. Per questo il gaming online divenne la mia comfort zone.

Notai sin da subito che stranamente stavo simpatica alle persone e che avevano voglia di passare del tempo in mia compagnia online. Per una persona sana questa è la normalità, per una persona che ha subito gravi abusi è un qualcosa di davvero speciale. Ad oggi non posso far altro che ringraziare di cuore tutte le persone che hanno passato del tempo con me, rendendolo più leggero, facendomi ridere, ascoltandomi e lasciando che io li ascoltassi.

Continuai a giocare durante tutto il periodo di degenza in casa… e oltre. Approdando su Call of Duty: MW3 trovai il mio campo da battaglia, qualcosa che sembrava fatto proprio per me. Ero portata per questo FPS così frenetico e al contempo tattico, a tal punto che venni quasi immediatamente contattata per entrare a far parte di un clan, con il quale iniziai a partecipare alle mie prime ladder e tornei online. Fu grazie a loro che scoprii quanto amassi competere e quanto poco me ne fregasse di essere una mera quota rosa in un mondo di ragazzi-ni-.

Credo che il momento fondamentale, che cambiò la mia visione delle cose fu quando presi coscienza che forse qualcosa sapevo fare, che tutto ciò che mi era stato detto in passato era falso. Sapevo giocare, ero in grado di comprendere il gioco meglio di quanto facessero molti giocatori veterani. In quel momento qualcosa dentro di me si è mosso, compresi che non ero uno zero, capii di aver bisogno sicuramente di una mano per uscire dal mio tunnel, ma avevo una dote, un qualcosa sul quale lavorare.

Smisi di dormire giorno e notte, di autocommiserarmi. Cominciai a concentrarmi su quella che fu la fase embrionale del settore eSport italiano di Call of Duty, conscia di avere una voce. Mi imposi in una delle community più complicate del settore videoludico.

Ho trovato una via d’uscita, l’ho cercata ed era lì. I videogame mi hanno presa con loro in quegli anni, mi hanno tenuta al sicuro, portata in mondi nuovi, diversificati, unici. Hanno salvato la parte sana della mia psiche, l’hanno tutelata e resa forte.

Come si suol dire: forse non tutto il male viene per nuocere e certe cose devono semplicemente succedere. Se tornassi indietro eviterei tanti passi falsi compiuti, prenderei altre strade e mai vorrei incappare in situazioni come quelle che ho subito, ma sono sicura che sono proprio questi passi falsi ad aver contribuito a rendermi la persona che sono ora. Il mio spirito di competizione non sarebbe stato così preponderante, magari avrei preso la questione “gaming” molto più alla leggera, ma questa non sarei io e io non vorrei essere altrimenti.

In fin dei conti il mondo online non è sempre quel posto malsano, pieno di giocatori frustrati e pronti a riversare le proprie frustrazioni sugli altri. Se preso nella maniera corretta – quindi evitando che diventi l’unico posto dove stare, trasformandolo in dipendenza – sa essere un angolo di comfort, dove nascono amicizie a volte più longeve di altri rapporti.

NekoPolpo - Biografia