Pubblicato il 08/09/25 da Cathoderay

Metal Gear Solid Delta: Snake Eater – Nuovi e vecchi serpenti

Ma il dolore e la rabbia restano gli stessi.
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C’è un paradosso curioso nel tornare nella giungla con Snake, vent’anni dopo averla attraversata la prima volta; Metal Gear Solid Delta non è un semplice restauro: è come rivedere un vecchio film, ma scoprirlo proiettato in un cinema nuovo, con poltrone comode e schermo nitidissimo, mentre la storia sullo schermo resta quella di sempre. Snake mangia serpenti, striscia nel fango, si benda le ferite, e noi ci ritroviamo spettatori di un’epoca che non esiste più: quella in cui Kojima mescolava spionaggio, assurdità e filosofia in un cocktail che oggi sembra venire da un’altra galassia del game design. Tornare a Metal Gear Solid 3 significa ricordarsi che un tempo l’industria osava essere lenta, silenziosa e piena di pause incomode. Delta ci riconsegna tutto questo con una patina di modernità che brilla, ma sotto resta la stessa nostalgia fangosa.

Ricordo ancora la prima volta che inserii il disco di Metal Gear Solid 3. Era il 2004, il televisore a tubo catodico occupava mezza mansarda e svettava glorioso nel mio setup di console, stereo, divano sfondato e minifrigo, sapevo cosa aspettarmi avendo giocato i capitoli precedenti, ma vedere Snake togliersi la maschera per qualche secondo mi sembrò un film…il serpente stava cambiando ancora una volta la pelle, pur rimanendo lo stesso.
Delta riapre quella stessa porta, vent’anni dopo; il divano è cambiato e in parte anche io. Non c’è più il tubo catodico, ma un oled di grosse dimensioni che troneggia in mezzo al mio setup di console e stereo, ho sicuramente meno tempo, qualche cicatrice extra e molti kilometri in più, ma quando vedo Snake togliersi la maschera e guardare in camera, per me è tutto come lo avevo lasciato, come rivedere un vecchio amico.

 Rituali di sopravvivenza

La prima volta che mi tagliai un braccio nel gioco e dovetti suturarlo manualmente rimasi scioccato; era strano: nessun altro titolo mi obbligava a guardare le ferite in faccia. E mi chiesi: “Perché devo farlo io?”.
Oggi, in Delta, quella stessa azione ritorna, ma più fluida, meno macchinosa. Eppure resta un gesto pesante. Ti ricorda che Snake non è un superuomo: è carne che sanguina, stomaco che brontola, polmoni che respirano.
Nel 2004 sbuffavo, volevo solo andare avanti. Oggi, paradossalmente, trovo conforto in quella lentezza. È un promemoria che mi costringe a fermarmi, come un libro che non puoi sfogliare in fretta perché ha le pagine spesse. Delta non cancella l’attrito: lo lucida, ma lo conserva. E nel rigiocarlo capisco che quel peso è ciò che mi aveva fatto innamorare, anche se allora non lo sapevo. La struttura è intatta: cacciare per nutrirsi, medicarsi manualmente, cambiare camuffamenti, imparare a convivere con la tensione della sopravvivenza; Delta ripulisce i comandi, smussa certi attriti, ma non stravolge il cuore: il gioco resta denso, quasi scomodo, più interessato a farti percepire il peso di ogni passo che a correre liscio come i blockbuster moderni. I sistemi di mimetizzazione, cure e sopravvivenza non sono semplici trovate: sono riti. Ci ricordano che Snake è un corpo fragile, non un supereroe. E questo corpo lo devi guardare, curare, bendare. È un design che ti rallenta, ma proprio in quell’attrito ritrovi la magia: la sensazione di essere vivo in un mondo che non ti vuole, e che sopporti con lentezza. Delta rende più fluido questo rituale, ma non lo annulla fortunatamente, d’altronde siamo “solo” un soldato in mezzo alla giungla che cerca di sopravvivere, mentre trova un modo per scongiurare una guerra nucleare.

Una nuova vecchia missione

L’Unreal Engine dipinge una giungla che sembra quasi respirare. Le foglie filtrano la luce come piccoli specchi verdi, i volti hanno rughe e cicatrici scolpite nel dettaglio, e certi tramonti ti colpiscono con una forza che nel 2004 non potevi immaginare. Ma c’è anche una malinconia inevitabile: quella sensazione che il fotorealismo toglie un po’ di poesia. Dove prima c’era l’illusione, adesso c’è l’evidenza. È bellissimo, sì, ma anche un po’ troppo preciso. Ti fa rimpiangere le sagome squadrate e gli occhi vuoti che costringevano l’immaginazione a lavorare. Delta è un restauro impeccabile, ma l’impeccabile a volte pesa più della memoria; però mette a disposizione del giocatore non solo diversi filtri grafici che possono ricordare la terribile uscita video di ps2, ma anche un modo di giocare nuovo, oppure vecchio, scegli tu giocatore, preferisci arrancare come nei tuoi ricordi o essere più agile in un modo un po’ artefatto? puoi essere come preferisci, e sinceramente sono contento di aver scelto i comandi moderni, svecchiano la parte invecchiata peggio del titolo, senza intaccarne troppo la struttura. Sapete invece cosa ha intaccato tutto? i diversi crash del gioco che mi sono sorbito dall’inizio alla fine, almeno 6 o 7 volte il gioco si è freezato in un immagine, mentre il gameplay sotto proseguiva…era da tempo che non vedevo una cosa del genere, e forse questo Unreal 5 ha trovato il suo limite, se questo è lo scotto da pagare per la grafica.

Voci che tornano

La colonna sonora di Norihiko Hibino e Harry Gregson-Williams resta un monumento: quel mix di orchestrazioni solenni e suoni elettronici che si incolla alla memoria. Delta la restituisce con chiarezza cristallina, e i rumori della giungla — rane, vento, pioggia — hanno una tridimensionalità ipnotica. Ma più della pulizia tecnica, conta la voce di Snake, le urla di dolore, il silenzio che precede un duello. Giocare con le cuffie significa essere trascinati in un mondo che non ti lascia scampo. E quando parte “Snake Eater”, ancora una volta, il cuore ti sale in gola come se fosse la prima volta; ma le voci sono state il vero ponte col passato. Quella di Snake, roca, ferita, è identica alla mia memoria. Riascoltarla è stato come sentire un vecchio amico che non chiamavi da anni, ma che riconosci subito.

Fiori bianchi, sempre

Il finale non ha bisogno di descrizioni. È ancora lì, intatto. Snake in mezzo al campo di fiori bianchi, costretto a fare ciò che non vuole. Nel 2004 versai una lacrima, percependo tutto il peso di quel gesto. Era la prima volta che un videogioco mi faceva sentire cosi colpevole. Oggi lo percepisco ancora più potente: so cosa significa crescere, fare scelte che non vuoi, convivere con ferite invisibili.
Delta non cambia nulla di quella scena, la rende solo più nitida. Eppure il dolore è lo stesso, forse più acuto. Perché oggi so che non è solo una storia di spie e di missioni. È una storia sull’essere umani, sull’eredità che ci portiamo addosso, e sul peso del sacrificio.
Metal Gear Solid Delta è più di un remake e meno di un nuovo gioco. È un ponte fragile tra due epoche. Restituisce la forma più pura della visione di Kojima, ma incorniciata in un presente che sembra quasi non avere più spazio per simili follie. Giocarci oggi è un atto di memoria: significa ricordarsi che i videogiochi possono ancora parlare di politica, identità e sacrificio, nascosti dietro un serpente da arrostire sul fuoco. Snake resta solo, nel campo di fiori bianchi, e noi con lui. Delta non cambia quel destino, ma ci permette di riviverlo con occhi nuovi, più stanchi forse, ma ancora capaci di commuoversi.

Not for honor, but for you

C’è qualcosa di malinconico nei remake, un sentimento che va oltre la tecnica. Non si tratta solo di rifare un gioco con la grafica moderna: è un’operazione archeologica sulla memoria; ogni pixel restaurato non è mai innocente, porta con sé la domanda: “Che cosa ricordavamo davvero?”.

Metal Gear Solid Delta non è solo la giungla più verde e Snake più dettagliato. È la dimostrazione che la memoria non può essere rimasterizzata senza perdere qualcosa. Perché il ricordo non è mai fedele: è un miscuglio di impressioni, di pomeriggi persi a guardare un CRT sgranato, di momenti personali incollati a un poligono. Delta ti restituisce tutto lucido, ma nel farlo ti ricorda anche che sei cambiato tu, non solo il gioco.

E allora ci accorgiamo che questi remake non sono tanto per chi non c’era, ma per chi vuole rivedersi allo specchio. Un tempo eri un ragazzo che giocava fino a tardi, oggi sei un adulto che ruba ore al sonno. Snake resta lo stesso, ma tu no. E forse è proprio questo il senso di rivivere queste storie: non tanto ricordarle, quanto misurare la distanza tra chi eravamo e chi siamo diventati.

Delta non sostituisce Metal Gear Solid 3, lo accompagna. È la sua ombra lucida. E in quell’ombra, tra fiori bianchi e serpenti arrostiti, capiamo che i videogiochi non sono solo passatempi: sono capsule di tempo che ci costringono a guardarci indietro. Con un po’ di nostalgia, certo. Ma anche con gratitudine.

  • Fluidità a 60 fps e ottimo comparto grafico
  • il gameplay moderno è un vero toccasana
  • resta sempre un titolo pazzesco

 

  • motore di gioco da sistemare
  • diversi crush durante l'intera partita

 

Cathoderay - Biografia

Pare che io sia l'entropia videoludica.

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