L’ultima volta abbiamo visto come i picchiaduro a scorrimento Capcom abbiano mosso passi da gigante verso sistemi di combattimento più complessi e variegati. Oggi vedremo come anni di esperienza e sperimentazioni collimano in giochi che influenzeranno pesantemente il futuro.
Armored Warriors/Powered Gear – 1994
Restiamo nel 1994 e nel genere della fantascienza, questa volta di tipo diametralmente opposto. Invece di guardare allo sci-fi pulp/horror occidentale, Capcom getta lo sguardo sui robottoni della terra natale. In quel periodo, nell’ambiente strettamente videoludico, i mecha godono di buona fama e discreta rappresentazione, generalmente nel campo dei platform-shooter 2D come Cybernator, Target Earth, Iron Blood e l’occidentale Metal Warriors. L’idea di fondere mecha e picchiaduro a scorrimento è, per il periodo, piuttosto originale.
Arriva così, in sala giochi, Armored Warriors (Powered Gear in terra natale). Essendo i combattenti quattro diversi robottoni, la colonna portante del gioco è l’abilità di personalizzarli equipaggiando pezzi che ne alterano l’aspetto e le mosse a disposizione. La complessità del sistema di combattimento è scalata parecchio indietro rispetto ad Alien vs. Predator, ritornando alla combo lineare di tre-quattro colpi, più un paio di mosse speciali, standard di qualche anno prima. Il downgrade è intenzionale, in quanto la complessità del sistema è nelle parti equipaggiabili. Le braccia modificano completamente la combo standard, le gambe modificano il tipo di movimento e i cannoni da spalla fanno da arma di supporto con munizioni limitate. Il mech scelto influenza ulteriormente l’efficacia dei pezzi equipaggiati. Ad esempio: mech più lenti e pesanti possono essere resi più agili con gambe leggere, ma il salto più limitato riduce l’efficacia delle mosse speciali. Braccia agili come la lama laser sono meno indicati per mech pesanti, il loro danno naturalmente più elevato è più indicato per parti come la trivella.
L’intero sistema di combattimento si basa su questo, sull’equipaggiare pezzi appropriati al proprio mech, allo stile di gioco e alla situazione. Braccia e gambe conferiscono mosse speciali uniche da mischiare liberamente, grazie al sistema di combo dinamico. A proposito di combinazioni, una delle feature più gustose è l’abilità di assemblare i tre giocatori in un unico robottone devastante con una speciale sequenza di tasti.
Armored Warriors non raggiunge i livelli di complessità e varietà di altri picchiaduro Capcom, ma resta una gemma notevole, divertente da giocare e ricca di design mecha anni ’90 da sbavo.
Curiosità: l’universo di Armored Warriors e l’idea di combinare pezzi per combo diverse sono stati riutilizzati per il picchiaduro a incontri Cyberbots, nel 1995.

Dungeons & Dragons: Shadow over Mystara – 1996
Tre anni e parecchi passi avanti dopo Tower of Doom, viene rilasciato Dungeons & Dragons: Shadow over Mystara, seguito diretto che mira ad ampliare molto più della sola trama.
Al precedente cast di quattro classi si aggiungono Ladra e Mago, inoltre ogni personaggio dispone ora di un costume alternativo con abilità leggermente diverse (ad esempio, i due maghi hanno alcuni incantesimi differenti). Il sistema di combo implementa tutti i miglioramenti di Alien vs. Predator e oltre: ritorna il sistema di combo dinamico, con attacchi cancellabili in colpi pesanti e mosse speciali, queste ultime ora molto più numerose, con input simili a un tradizionale picchiaduro a incontri.
Abbiamo glissato sul sistema di inventario in Tower of Doom, quindi parliamone ora più nel dettaglio. Nel predecessore era possibile trovare alcuni oggetti magici (tipo guanti della forza, anelli di protezione e simili) automaticamente equipaggiati in un limitato inventario, poco più che power-up temporanei, insomma. In Shadow over Mystara l’inventario permette di controllare anche elmo, armatura e arma, oltre agli spazi liberi per guanti, scarpe ed anelli. Nel corso dell’avventura sono presenti molte più stanze e strade segrete, zeppe di equipaggiamento magico per sostituire quello di partenza. Le armi magiche appartengono a diverse categorie e ovviamente non tutti i personaggi possono equipaggiarle, ma offrono set di mosse unici e, spesso, danni elementali. Il sistema di magie ha beneficiato delle stesse migliorie, ora suddiviso in livelli di potenza e più facile da consultare, idem per le sotto-armi, ora in una categoria ad esse dedicata.
Uno slot extra di inventario è riservato ai drop speciali, come pelli di mostri rari, da scambiare nei negozi per nuove armi e armature magiche. I negozi, visitabili generalmente alla fine di ogni livello, sono rimasti simili a quanto visto in Tower of Doom, con l’aggiunta del poter vendere equipaggiamento non desiderato per qualche moneta extra.
Il sistema di level up è rimasto pressoché invariato da Tower of Doom, relegato a punti fissi della trama, ma oltre a qualche punto salute in più vengono sbloccate anche nuove magie e abilità.
Dungeons & Dragons: Shadow over Mystara è un capolavoro, straordinario nella tecnica, eccellente in gameplay e, soprattutto, seminale. La sua influenza è presente tutt’oggi nel genere, dando vita a schiere di imitatori e seguiti spirituali.
Grazie alla versione Sega Saturn, che includeva anche Tower of Doom, è stato uno dei pochi capolavori arcade gustabili, in versione inalterata, anche a casa. Per i giocatori moderni è disponibile nella collection Chronicles of Mystara, su PC e console di scorsa generazione.

Battle Circuit – 1997
Arriviamo alla fine del nostro viaggio, ma il capolinea ci riserva un’ultima sorpresa. Nel 1997 Capcom rilascia il suo ultimo progetto nel campo dei picchiaduro a scorrimento: Battle Circuit.
In un gioco solo collimano anni di sperimentazioni e progressi, con un sistema di combattimento ancora più complesso che in precedenza. L’avanzato sistema di combo utilizzato fino ad ora si arricchisce di un numero ancora maggiore di mosse normali e speciali per ognuno dei cinque personaggi. Ci si avvicina sempre più ai picchiaduro ad incontri, da cui preleva gli input per le mosse speciali (in quel periodo Street Fighter e King of Fighters erano così popolari da essere input conosciuti da chiunque) e alcune meccaniche avanzate (tipo prese a comando, attacchi off-the-ground e cancel). Il risultato è un sistema di combattimento dalla fluidità senza paragoni, per l’epoca, almeno.
A questo si combinano anche parecchi elementi sperimentati con i due Dungeons & Dragons: i nemici lasciano a terra denaro da raccogliere, tra i livelli si visita un negozio ed è possibile spendere tutto per comprare nuove mosse, oggetti e potenziamenti. Ogni personaggio ha, inoltre, una mossa speciale che permette di potenziare l’intera squadra con un power-up per una manciata di secondi (ad esempio: Captain Blue aumenta i danni, Yellow Iris la velocità, eccetera).
Non credo che Capcom avesse previsto già da allora di abbandonare il genere, ma la sensazione di finalità è forte. Battle Circuit è il canto del cigno ed il saluto finale di Capcom all’incarnazione classica del genere. Tristemente è rimasto relegato alle sale giochi per molti lunghi anni, limitandone l’appeal e rimanendo sconosciuto ai più, anche nell’era dell’emulazione. Oggi è facilmente recuperabile grazie al Capcom Beat’em Up Bundle.

Coda: la strada dei posteri
Capcom ha lasciato il palco, ma lo spettacolo continua grazie a nuovi attori, nonostante la calante popolarità del genere. Il salto al 3D di fine anni ’90 è stato poco convincente, per colpa di prodotti discutibili come Fighting Force, Zombie Revenge e The Bouncer (quest’ultimo notevole per aver pensato che ciò che serve ad arricchire un terribile sistema di combattimento fosse la production value di un brutto Final Fantasy). Il genere, per parecchi motivi, non poteva esistere nella sua forma attuale in vero 3D. Ho sentito citare spesso Die Hard Arcade (Dynamite Cop in terra natale) come unico picchiaduro a scorrimento classico 3D di successo, e l’affermazione non è errata, ma è giusto notare che la terza dimensione viene sfruttata a malapena, restando solidamente ancorato a gameplay e controlli classici.
Ironicamente (e forse accidentalmente) è stata Capcom stessa a farsi pioniere della reinvenzione del genere in 3D, nel 2001, con un giochino sconosciuto di nome Devil May Cry. Questo tipo di action game riprende esattamente da dove Battle Circuit si è fermato (i nemici droppano denaro, con esso si possono comprare nuove mosse e potenziamenti e generalmente si avanza pestando a morte gruppi di nemici), ricordando i principi del passato, ma completamente reinventato per funzionare in 3D, evoluto al punto da essere quasi irriconoscibile. Il nuovo genere ha continuato il cammino del suo predecessore verso l’avvicinamento alla complessità dei picchiaduro ad incontri, con esemplari importanti come Devil May Cry 3, God Hand e Bayonetta. Capcom torna brevemente ad esplorare la versione più classica del genere con Beatdown: Fists of Vengeance (2005) e Final Fight: Streetwise (2006). Le due schifezze stratosferiche hanno avuto il solo effetto di confermare che i picchiaduro a scorrimento classici non hanno posto nel mondo 3D, venendo sbeffeggiati e rapidamente dimenticati.
I picchiaduro a scorrimento 2D classici, nonostante ciò, sono rimasti vivi, e l’influenza di Capcom continua ad essere forte ancora oggi. Ad esempio, l’eccellente Dragon’s Crown è una lettera d’amore nostalgica indirizzata ai due Dungeons & Dragons, dai quali riprende a piene mani così tanti elementi di gameplay e design che potremmo star qui a parlarne per ore. L’influenza di Guardian Heroes (ironicamente ispirato, a sua volta, dai picchiaduro Capcom) è anche molto forte, visibile soprattutto in giochi come Scott Pilgrim vs. The World (il quale combina il sistema di combattimento Capcom al sistema di crescita del gioco Treasure).
Al momento ci sono Streets of Fury (tanto brutto da vedere quanto bello da giocare), Fight’N Rage ed il futuro Streets of Rage 4 a tenere alta la bandiera e dimostrare che i picchiaduro a scorrimento (si spera) non moriranno mai.