Venerdì scorso ho avuto la piacevole occasione di intrufolarmi come ospite indesiderato al Game Happens!, un evento, alla sua seconda edizione, svoltosi all’interno della splendida Villa Durazzo Bombrini a Genova. Dico splendida perché è una villa del ‘700, in effetti non ho una vera opinione al riguardo. Comunque dicevo Game Happens!, una manifestazione principalmente incentrata al “far networking” tra gli sviluppatori indipendenti di videogiochi ma, come nel caso di quest’anno, un’opportunità per farsi contaminare da intuizioni che vanno ben oltre il canonico campo d’azione del videogame. Il sottotitolo di questa edizione infatti era Beyond The Screen, un tema che può essere interpretato come qualcosa di relativo alla realtà virtuale, ma che gli organizzatori (Federico Fasce, Marina Rossi, Alessandra Carboni) hanno esteso a tutto ciò che si può arrivare ad influenzare con i giochi elettronici. La giornata era divisa in due parti: la mattina dedicata esclusivamente alle conferenze, mentre il dopo-pranzo allo showcase di giochi indipendenti, prototipo tecnologici ed installazioni. Previsto anche un mini-talk sui dispositivi VR che purtroppo mi sono perso, perché troppo impegnato a giocare e stressare qualche sviluppatore con le mie domande da impiccione. Vi faccio un breve riassuntino di ogni conferenza, invitandovi a seguirle in differita sul canale Youtube del Game Happens!, non appena saranno pubblicate.
The Last Beat of Your Heart: Games that Get You Fit
La prima conferenza dimostrava come il videogioco può cambiare la nostra vita di ogni giorno e, nello specifico, aumentare il nostro benessere fisico. Adrian Hon, CEO di Six to Start e co-creatore di Zombies, Run!, ha esposto tutte le sfide che un designer deve superare per riuscire a sviluppare un gioco in grado di rendere qualcosa di noioso, come il fitness, divertente e soprattutto più pratico. Secondo Adrian infatti le scelte di progettazione che hanno reso Zombies, Run! uno strumento di fitness ludico così di successo sono state quelle focalizzate all’incremento di versatilità, per meglio adattarsi alle esigenze degli utenti più disparati: giocabile ovunque (per strada, sul tapis roulant, in pista), economico, sicuro (gli avvisi di gioco vengono trasmessi tramite suoni, non serve guardare lo schermo correndo) e comodo. Tutto questo però senza ridursi ad essere solamente uno strumento per la corsa; il divertimento ed un certo grado di immersione devono essere garantiti, soprattutto per attirare tutti coloro che hanno sempre ritenuto il fitness come un qualcosa di noioso. Adrian ha anche esposto le falle del proprio prodotto, individuandole nella mancanza di una vera esperienza multiplayer (inserire banalmente delle leaderboard sarebbe dannoso per il morale dei nuovi utenti), la mancanza di un sistema in grado di aumentare l’immersività facendoci interagire la corsa con tutto ciò che ci circonda (dispendioso tecnologicamente e danneggerebbe in parte la praticità) e l’impossibilità di giocare con dispositivi indossabili (ma ho notato un iWatch al polso del signor Hon, quindi probabilmente sta provando ad ovviare proprio in questo periodo).
Beyond the Screen & Beyond the Human: What I learned from Designing and Developing
Michelle Westerlaken è una ricercatrice della Malmö University attualmente impegnata nell’approfondire il rapporto che intercorre tra animali ed oggetti elettronici. Il suo lavoro è finalizzato principalmente all’aiutare lo sviluppo di tecnologie in grado di essere comprese anche da animali, coinvolgendoli così con le attività dei padroni, ma non esclude che le sue pubblicazioni possano creare nuove strade per il design di applicazioni per soli umani. Attualmente, per cause di sicurezza e reperibilità, sta svolgendo gran parte delle sue sperimentazioni grazie all’aiuto dei suoi due piccoli cagnolini. Potete approfondire i risultati del suo lavoro direttamente sul suo sito personale.
Play Outside: Reimagining Our Cities with Urban Games
Lena Mech è una designer di Urban Games, giochi collettivi in grado di rivalorizzare spazi urbani; un’attività istintiva che hanno i bambini ma che si perde progressivamente con l’età adulta. La sua passione per questo genere di giochi è nata quando, durante una sua esibizione teatrale, si è resa conto che il teatro era ingiusto nei confronti dello spettatore, riservando agli attori tutto il vero divertimento. Ha iniziato a frequentare i workshop di un gruppo chiamato Invisible Playground, per poter così sviluppare qualcosa in grado di rompere il muro tra spettatore ed attore. Lena ha riportato alcuni esempi di Urban Games; tra i più memorabili il RedBall Project di Kurt Perschke, ovvero l’inserire una palla rossa gigante in un contesto urbano e vedere cosa succede, ed Everything Is Awesome. Al Game Happens!, nel pomeriggio, era possibile prendere parte ad una sessione di Idiots Attack The Top Noodle, una variante di acchiapparello in cui, grazie ad uno “scanner mentale”, è possibile cambiare il colore dei Move Controller degli inseguitori per bloccargli così i movimenti.
Nurturing Talent to build the Videogame Industry from Scratch: A Singapore Story
Ho avuto abbastanza difficoltà a seguire questa conferenza, visto l’immane quantità di dati forniti da Roberto Dillon, un italiano trapiantato a Singapore. L’ultima conferenza ha dimostrato come i videogiochi, o meglio la voglia di investire sull’industria che li circonda, possano andare ad influenzare le priorità politiche di un governo. Dieci anni fa Singapore ha iniziato un progetto per rendersi un Ditital Media Hub competitivo, investendo tempo e capitali nell’istruzione di nuovi talenti. Sono sorte nuove scuole di game design, in grado di garantire un’istruzione completa anche a chi dovesse intraprendere una carriera lavorativa lontana dal mondo dei videogiochi ed ,al contempo, di aggirare alcune impedimenti logistici imposti dallo stato, come ad esempio la leva obbligatoria di 2 anni (rischiosa per un tipo di lavoro che si fonda sull’essere continuamente aggiornato sulle nuove tecnologie). Tutto questo ha portato alla nascita di innumerevoli studi indipendenti (LambdaMu Games, Springloaded) ed al significativo insediamentodi Ubisoft che, oltre a dare lavoro a circa 300 persone, accresce l’esperienza dei suoi dipendenti mettendoli al lavoro su titoli di spessore come i suoi franchise tripla A.
In arrivo un articolo esauriente sullo showcase pomeridiano, soprattutto per quel che riguarda i giochi giocati e/o discussi. Rimanete su Pixel Flood.