Non tutti i classici nascono per essere rassicuranti. Alcuni, come Heretic e Hexen, hanno sempre avuto il compito opposto: trascinarti in un mondo ostile, fatto di pietra, sangue e incantesimi, e lasciarti lì a sopravvivere con quello che riesci a trovare. Negli anni ’90, Raven Software prese l’ossatura di Doom e le diede un’anima diversa: meno marines e pistole, più grimori e bacchette, meno corridoi militari, più cattedrali in rovina.
Questa nuova edizione, curata da Nightdive Studios, non è un lifting superficiale. È un recupero archeologico che pulisce e restaura senza togliere il fascino ruvido originale; dentro troviamo i due giochi con le loro espansioni, nuove campagne inedite e una cura tecnica che li rende giocabili oggi senza sacrificare quella sensazione di muoversi in un mondo “vecchio”, ma vivo. È come aprire un forziere dimenticato e scoprire che, oltre alle monete d’oro, qualcuno ha nascosto anche una mappa verso stanze che non sapevi esistessero.
Ombre antiche, nuove reliquie
Heretic e Hexen condividono lo stesso universo oscuro e oppressivo, ma lo raccontano con prospettive diverse. Nel primo capitolo, seguiamo Corvus, un guerriero della razza Sidhe, deciso a fermare i Serpent Riders dopo che hanno corrotto e annientato il suo popolo. È una storia semplice nella forma, ma che trova forza nelle atmosfere: cattedrali gotiche, cripte invase dal silenzio e città piegate dalla magia oscura.
Hexen amplia lo scenario e abbandona il punto di vista unico. Qui impersoniamo uno fra tre campioni scelti per fermare Korax, il secondo dei Serpent Riders, in un viaggio che si snoda attraverso portali e mondi interconnessi. Non c’è una narrazione lineare scandita da cutscene, ma un racconto frammentato che vive nei livelli stessi: architetture imponenti, simboli arcani, e quell’inquietudine costante di muoversi in luoghi che sembrano vivere e respirare.
Questa edizione non si limita a riproporre i due giochi originali con le rispettive espansioni, ma aggiunge due nuove campagne – Faith Renewed e Vestiges of Grandeur – create per integrarsi con il materiale classico, mantenendo coerenza stilistica e livello di sfida. A completare il quadro, la Raven Vault offre un archivio di bozzetti, sprite e curiosità dietro le quinte, regalando al giocatore la sensazione di sfogliare il diario di sviluppo di un’epoca in cui il dark fantasy negli sparatutto era ancora un territorio inesplorato.
Velocità, enigmi e libertà d’azione
Heretic mantiene il cuore pulsante di uno sparatutto anni ’90, ma lo arricchisce con meccaniche che all’epoca lo distinguevano da Doom e dai suoi simili: un inventario di oggetti utilizzabili in qualsiasi momento, armi con effetti unici e poteri temporanei che possono cambiare il corso di uno scontro. La gestione dell’equipaggiamento non è un contorno, ma parte integrante della strategia: saper decidere quando usare un Tomo del Potere o una Fiala dell’Invisibilità è tanto importante quanto centrare un colpo di bacchetta.
Hexen, invece, prende quella struttura e la piega in direzioni più complesse: i livelli non sono sequenze lineari, ma hub interconnessi, con aree che si aprono solo dopo aver risolto enigmi o azionato meccanismi in mappe lontane. La scelta della classe – guerriero, chierico o mago – cambia profondamente il modo di affrontare il gioco, spingendo a rigiocarlo per sperimentare approcci diversi.
In questa riedizione, Nightdive ha lavorato per limare le asperità senza snaturare la difficoltà: la mappa è più chiara, i punti di interesse sono meglio evidenziati e la gestione delle chiavi e degli obiettivi è meno criptica. Sul fronte tecnico, il supporto al multiplayer fino a 16 giocatori e allo split-screen fino a 8 aggiunge un gusto da arena caotica, mentre l’integrazione nativa delle mod apre possibilità virtualmente infinite. Il risultato è un’esperienza che conserva il ritmo serrato dell’epoca, ma con abbastanza comfort moderni da renderla scorrevole anche per chi arriva oggi.
La bellezza della pietra consumata
Heretic e Hexen non hanno mai puntato a essere “belli” nel senso convenzionale. La loro forza visiva è sempre stata nel far sembrare ogni muro, arco e corridoio parte di un mondo antico e ostile; questa riedizione spinge quella sensazione ancora più in là, senza cancellare la grana dell’epoca: i pixel restano netti, ma ora si stagliano su schermi widescreen, in 4K, con una fluidità che raggiunge i 120 fotogrammi al secondo.
Le luci, più morbide e pulite, restituiscono profondità agli ambienti senza snaturarli. Le texture sono più leggibili, ma ancora imperfette, come se la pietra fosse stata ripulita senza però levigarne le crepe. Nelle nuove campagne, la geometria si fa più audace: ponti sospesi, spazi verticali più ampi, scorci che invogliano a fermarsi un attimo prima di affrontare l’ennesima ondata di nemici. È un restauro che non tenta di ringiovanire a forza, ma di far invecchiare bene.
Due incantesimi, un’unica maledizione
Il sonoro è un altro punto in cui Nightdive ha scelto il rispetto alla sostituzione; puoi giocare con la colonna sonora originale, con le sue tracce MIDI secche e metalliche che oggi suonano come canti funebri di un’era digitale passata, oppure attivare il remix orchestrale di Andrew Hulshult, più corposo e cinematografico.
La differenza sta tutta nell’atmosfera che vuoi evocare: con le tracce originali, ti sembra di essere tornato nel 1994, seduto davanti a un monitor CRT mentre fuori piove. Con quelle nuove, invece, il mondo di gioco diventa un film epico, con archi e percussioni che amplificano ogni scontro. La cosa migliore? Non c’è imposizione: puoi alternare le due esperienze quando vuoi, scegliendo di volta in volta quale incantesimo lanciare alle tue orecchie.
Reliquie vive
Heretic + Hexen in questa forma è più di una riedizione: è una riesumazione cerimoniale; non pretende di trasformare due classici in qualcos’altro, ma si limita — si fa per dire — a ripulirli, illuminarli e dotarli di nuove stanze segrete. È un invito a rientrare in un’epoca dove l’azione era brutale, la magia era nera e il livello successivo era sempre dietro un enigma.
Non è nostalgia sterile: è la dimostrazione che certi mondi non muoiono, si limitano ad aspettare che qualcuno li richiami per nome.
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