Abbiamo già parlato delle due edizioni di Game Over (QUI e QUI), “festival” videoludico dedicato alla scena indipendente e underground italiana. Tra il 19 e il 20 settembre di quest’anno abbiamo avuto modo di fare anche due chiacchiere con gli organizzatori dell’evento, durante una lunga ed interessante intervista che vi proponiamo di seguito in versione integrale. Buona lettura!
Gabriele: Prima di tutto, chi sono gli organizzatori di Game Over?
Teo: Siamo ragazzi che hanno iniziato questo progetto come semplici appassionati, principalmente per divertirsi.
Gio: Gli organizzatori di Game Over sono dei ragazzi che nella vita si occupano di tutt’altro, ma che hanno in comune la passione per i videogiochi!
Ste: Beh, gli organizzatori di Game Over sono ovviamente Invader Verde, Invader Rosso, Invader Giallo. A parte gli scherzi siamo un collettivo di più persone, tutte appassionate di informatica e contenuti elettronici con le più svariate provenienze e gusti ritrovatesi quasi per caso.
Daniele: Siamo degli appassionati a cui piacciono l’informatica, i videogame e tutto ciò che gli gira intorno, compresi gli esseri umani!
G: Come è nata l’intenzione di proporre un evento dedicato ai videogiochi indipendenti italiani?
Gio: L’idea nasce per dare visibilità ai videogiochi indipendenti con un festival dedicato. Spesso viene assegnato un piccolo spazio ai videogiochi indie durante fiere di videogame commerciali: noi volevamo fare il contrario, cioè dare tutto lo spazio agli indie game, coinvolgendo anche le autoproduzioni affini.
Ste: L’idea è quella di dare uno spazio e un grosso evento dedicato (a calendario) alla scena indie di sviluppatori e programmatori italiani, ispirandosi a quanto di buono si è fatto per tanti anni e si continua a fare, ad esempio, con la musica, il cinema e l’editoria.
Teo: Beh, come ho detto prima all’inizio eravamo solo degli appassionati di indie gaming quindi degli outsider, ma volevamo creare esattamente l’evento a cui ci sarebbe piaciuto partecipare.
G: Game Over ha sempre voluto dare spazio anche alla parte più “underground” del mondo videoludico: cosa possono insegnare le realtà meno conosciute e persino le produzioni più amatoriali all’industria del videogioco in generale?
Teo: Secondo me possono insegnare principalmente che osare è bene. Spesso queste realtà che hai citato “non hanno molto da perdere”, quindi non si fanno problemi a oltrepassare certi limiti che in generale, nell’industria videoludica, difficilmente vengono oltrepassati. Il risultato di questo superamento spesso è comunque ricco di significato e divertente, o comunque piacevole: di frequente questi titoli scatenano un putiferio in rete e molta gente li cerca e li apprezza.
Gio: Nel nostro paese ci sono tantissimi sviluppatori con idee geniali e spesso anche “scomode“: credo che dare spazio a queste produzioni possa arricchire tutti, in quanto dietro la risata o lo stupore c’è sempre una riflessione individuale su temi poco o molto dibattuti.
Ste: Sicuramente negli ultimi anni abbiamo osservato una sorta di migrazione spontanea di numerose menti creative verso la produzioni di contenuti digitali, una sorta di eredità di quello che si faceva negli anni 80-90 autoproducendo, provocando e divertendosi con la propria musica e le proprie immagini, partendo nel proprio garage e salendo sui palchi degli spazi underground, o lasciando il proprio segno sulle pareti e mura delle città, su ispirazione di quello che accadeva nelle grandi metropoli internazionali.
Daniele: Alcune cose le possono insegnare: la creatività libera, le nuove tendenze, le belle idee di una volta. Altre cose non trovano nessuna espressione nell’industria: la ricerca del divertimento fine a se stesso, il videogioco come forma espressiva sociale, politica e artistica e la creatività veramente libera.
G: In questo periodo, complice la fioritura della produzione indipendente anche nel nostro Paese, si tende molto a fare facili “nazionalismi” e a diffondere una sorta di orgoglio per la produzione nazionale di opere videoludiche… Voi pensate che Game Over serva ad esaltare l’“italianità” videoludica, o ad inserire anche il mondo indipendente dell’Italia in un contesto internazionale di produzione dal basso?
Gio: Credo che sia importante far conoscere la realtà degli sviluppatori italiani perché spesso conosciuta poco o sottovalutata, ma non si tratta di orgoglio nazionale quanto piuttosto di informazione. Nella Game Over Room giochiamo a molti titoli anche stranieri. La provenienza conta poco, conta chi lo ha fatto.
Ste: La riflessione sul locale e sul globale in informatica ha chiaramente poche giustificazioni. La rete è lo spazio di espressione privilegiato di questo ambiente e agli attori/autori di questi contenuti difficilmente hanno o si fanno porre limiti o confini. Tuttavia, scoprendo la scena italiana ne abbiamo al contempo vissuto anche la particolare sensibilità a certi temi e le specificità culturali dei team.
Teo: Sinceramente noi come Game Over siamo aperti a chiunque, dai team già grandi e famosi al ragazzino che crea qualche gioco sperimentale nella sua cameretta, e dando spazio a tutti ci siamo accorti che effettivamente l’Italia è sicuramente un paese ricco per ciò che riguarda le produzioni videoludiche. A noi piacerebbe che questo festival fosse un punto di riferimento per gli sviluppatori italiani in primis, ma in futuro sarebbe bello lo diventasse anche a livello internazionale, dato che è evidente che l’Italia ha molto da offrire. La cosa interessante è che essendo Game Over stesso molto indipendente, senza sponsor ecc., si può vivere il festival da diversi punti di vista: quello dell’appassionato che viene a giocare a suoi giochi preferiti e a conoscere chi li ha creati, e quello dello sviluppatore che ha occasione di aggiornarsi e da quest’anno, con Svilupparty Hardcore, anche di approfondire le proprie competenze.
G: Collegandomi alla domanda precedente: Game Over potrebbe espandersi anche in ottica europea o extra-europea, magari con partecipazioni internazionali alle varie edizioni dell’evento?
Gio: A noi piacerebbe moltissimo avere partecipanti europei o magari mondiali, ma non utilizzando sponsor non abbiamo la possibilità di sostenere le spese di spostamento dei vari team. Il nostro invito rimane aperto a chiunque abbia voglia di partecipare, passando dall’Italia!
Ste: Beh, sarebbe bello e stimolante avere come ospiti più team internazionali, con le loro produzioni e sperimentazioni, e magari vederli interessati a quello che bolle in pentola in Italia.
G: Pensate che l’aumento esponenziale delle produzioni videoludiche (dovute a tecnologie più accessibili, anche ai non programmatori: si vedano strumenti come RPG Maker…) sia un vantaggio o uno svantaggio per il mondo dei videogiochi?
Teo: Secondo me è assolutamente un vantaggio, perché in questo modo anche chi ha solo un bella idea ma non ha determinate competenze può vederla realizzata, e questo è un vantaggio per tutti. Io, personalmente, sono assolutamente per spingere al massimo la circolazione delle idee. Questo tipo di engine può essere utile anche nel caso in cui si voglia creare un concept più che un gioco vero e proprio, quindi possono essere utili anche a livello artistico.
Ste: Anche se si potrebbe pensare che la scena possa saturarsi di tentativi di creare un gioco, personalmente penso sia necessario un mix di buone idee e capacità di emergere: la varietà non può far altro che stimolare l’ambiente, ovvio senza farsi limitare dagli strumenti che si stanno utilizzando, ma cercando di sperimentare di più.
Daniele: Ovviamente un vantaggio: siamo per la condivisione dei saperi, in particolare quelli digitali, e per la facilitazione all’utilizzo di tutto ciò che concerne l’informatica e soprattutto i videogiochi. Noi cerchiamo disperatamente di aprire questo mondo (principalmente quello videoludico, ma non solo) a più gente possibile. Possiamo dire che è lo scopo principale di Game Over.
G: Durante l’organizzazione dell’evento vi preoccupate di “selezionare” le opere degli espositori che chiedono di partecipare al festival, oppure chiunque mostri interesse verso il progetto è il benvenuto a bordo?
Gio: In generale non selezioniamo le opere (a meno che non ci siano intenti comuni ma scopi diversi), per dare la possibilità a chiunque di mostrare il proprio lavoro anche a chi è alle prime armi, l’importante è che siano produzioni indipendenti.
Ste: Lo spirito di questi primi due anni di festival è stato inclusivo, la sola idea che qualcuno abbia programmato o sviluppato un contenuto con cui interagire è per noi il lasciapassare per poter partecipare ai tavoli del festival. L’apertura in questo senso ha permesso di scoprire autori e titoli che vanno al di là della pura definizione di videogioco, che hanno dimostrato avere radici forti nell’autoproduzione delle proprie idee e che sicuramente non troverebbero spazio in circuiti più strutturati. Non ci immaginiamo un Game Over con una giuria di censori o contabili che applichi dei parametri di mercato alla creatività digitale, sono stati i singoli team e developer a voler popolare i nostri tavoli e il pubblico a poter accedere senza filtri o retorica a ciò che è stato possibile giocare al festival, e pensiamo non sia poco.
Teo: Sì, selezioniamo nel senso che i progetti che vengono portati al festival devono essere rigorosamente indipendenti o comunque devono rispondere a determinati criteri come essere progetti open source, autoproduzioni, ecc… Per ciò che invece riguarda i contenuti ognuno può portare ciò che vuole, non facciamo censura di nessun tipo.
G: Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato a livello organizzativo?
Gio: Le difficoltà più grande sono sicuramente il numero esiguo di organizzatori e il dover mantenere i contatti con i vari team: non facciamo firmare nessun contratto, né chiediamo costi agli sviluppatori, ma spesso gli “impegni” vengono presi con troppa superficialità, e ciò rende difficile e a volte infruttuoso il nostro lavoro (vedi disdette all’ultimo minuto)!
Ste: Le difficoltà sono state molte, tecniche e organizzative ma in fondo hanno rappresentato uno stimolo per noi, per lo spazio che ci ospita (il Leoncavallo) e per gli stessi team. A partire dalla sfida di voler avere “fisicamente” centinaia di sviluppatori da tutta la penisola presenti in un weekend in solo posto, fino a quella di restare fedeli all’autoproduzione, il DIY vero, autoproducendo con enorme impegno e collaborazione di persone dalla grande volontà TUTTO quello che avete visto, dalle locandine alle proiezioni sui maxischermi, dalla gestione dei contatti alla promozione dell’evento, senza sponsor o finanziatori.
Teo: Riuscire a star dietro a tutti gli sviluppatori per avere le informazioni necessarie, screenshot dei giochi e così via.
G: In questi due anni cosa avete imparato da Game Over? Cosa pensate di voler aggiungere/modificare/ mantenere nelle prossime edizioni?
Ste: Abbiamo imparato a giocare come si deve (ride)! Per le nuove idee ci piacerebbe avere ancora più team a rappresentare la scena indie e sempre più esordienti con i propri esperimenti e ciascuno con la propria visione di gaming, in più iniziare ad aprirci alla digital art espositiva e performativa, e magari dedicargli un bello spazio accanto ai tavoli della fiera.
Teo: Ho imparato che non si può sempre far andare le cose come si vorrebbe che andassero. Spero si possa continuare con la serie di talk di alto livello dello Svilupparty Hardcore per gli sviluppatori e magari alzare anche ulteriormente il livello, poi come ho detto prima sarebbe bello includere anche team internazionali. Per il resto vedremo, noi siamo sempre aperti a nuove proposte quindi dipende anche dall’iniziativa di chi partecipa al Game Over come pubblico o come team che espone.
G: Game Over non è più un solo appuntamento annuo: in cosa consiste Game Over Room?
Teo: Sperando che gli altri della Game Over Crew rispondano in modo più esaustivo, ti dico che è principalmente un laboratorio in cui chiunque può sperimentare e divertirsi.
Gio: La Game Over Room nasce come uno spazio fisso per poter continuare anche durante l’anno a proporre, divertirsi e ritrovarsi con un solo tema: videogiochi indipendenti, open source, autoproduzioni affini al mondo dei videogames e all’informatica più underground. Lo spazio è a disposizione di chi vuole proporre dei workshop, di chi ha bisogno di uno spazio per delle jam, di chi vuole condividere qualcosa con altri o semplicemente per ritrovarsi e giocare in compagnia. L’aspetto della socializzazione è fondamentale, condividere con altri le proprie passioni, costruire e realizzare progetti insieme, o anche solo scambiare informazioni e consigli. Credo sia questo lo spirito della Room.
Ste: In sostanza una rilettura moderna e autogestita della sala giochi, in cui un gruppo di persone che la frequentano spontaneamente sceglie quali titoli proporre a un pubblico di frequentatori come lo si farebbe per una serata musicale, cinematografica o di reading capace di spaziare con i videogiochi dalla pura fantasia alla critica della società, e allo stesso tempo un laboratorio che accoglie dai workshop alle jam. Insomma uno spazio per divertirsi e smanettare in termini di gaming e informatica senza i particolari limiti che di solito etichettano superficialmente questo mondo. Uno spazio aperto anche la sera fino a tardi e in costante contaminazione con chi lo frequenta.
Daniele: La Room è la naturale continuazione di tutto ciò che esprime il festival: accesso ai saperi, condivisione di ciò che si sa e di ciò che si fa, possibilità di vedere l’informatica, internet, i videogiochi e tutto ciò che è digitale da un altro punto di vista. Ormai tutto ciò non è più un prodotto ma è, come dicevo prima, una delle tante forme espressive del genere umano; il MoMa di New York ha aperto un’ala ai videogiochi, dandogli il patentino di “forma d’arte”: non siamo così spocchiosi da dire che nella Room facciamo arte, ma almeno vogliamo trasmettere che c’è arte anche in un videogioco.
G: Oltre che organizzatori di questo evento, immagino siate anche giocatori: su quali titoli passate il tempo? Su cosa vi siete concentrati di recente?
Ste: Sai che seguire il Game Over ci ha allontanato dai giochi come un’indigestione per chi sta ai fornelli? No anzi, di recente io mi sto buttando sui concept game arcade come Lady Bug e Pacapong partoriti dalle varie jam Ludum Dare, una sana partita a perle italiane come The Waste Land e a quel pazzesco platform rap/pistolero western che risponde al nome di Luckslinger.
Teo: Ultimamente sto giocando contemporaneamente a tre titoli diversi appartenenti a tre tipologie di gioco diverse: un free-to-play, ovvero War Thunder, di cui apprezzo il realismo, il classico stealth game Thief e infine State Of Decay, con tutte le varie espansioni e mod.
Daniele: Personalmente a Hearthstone che non è per niente indie, ma come molti giochi industriali è una droga perfetta. Mi è piaciuto enormemente Monument Valley, che non è indie ma rientra a pieno titolo in ciò che prima chiamavo: “forma espressiva del genere umano”. Ed infine un gioco indie, EGGNOGG+: se avete un amico da umiliare questo è il vostro gioco!
G: C’è qualcosa che volete aggiungere o che volete dire ai nostri lettori?
Teo: Certo! Ringraziando tutta la redazione di Pixel Flood che ci segue da due anni, invito tutti a venire a trovarci alla Game Over Room e a mettersi in contatto con noi, nel caso avessero una proposta da farci o un’idea.
Ste: Sicuramente vogliamo invitare a Game Over 2016 chi non ha ancora avuto modo di partecipare, oltre che consigliare a tutti di fare un salto alle serate della Game Over Room al Leoncavallo di Milano. E poi giocate giochi indie, acquistando i titoli direttamente dagli sviluppatori che più amate per supportare la scena!
Gio: Ringrazio e inoltro a tutti l’invito a sentirsi partecipi e non solo fruitori di questo progetto: ogni idea e/o iniziativa è ben accetta, quindi vi aspettiamo!
Daniele: Veniteci a trovare: siamo aperti fisicamente il giovedì sera, e mentalmente tutti i giorni!