Pubblicato il 13/03/15 da Neko Polpo

The Order 1886: alto artigianato

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È abbastanza palese che The Order: 1886 sia un videogioco, non posso dimostrare il contrario: è uscito in esclusiva su Playstation 4, si gioca con un joypad e ha un sistema di salvataggio. Allo stesso tempo però sono sicuro che se lo prestassi a Paolo Mereghetti, critico cinematografico del Corriere della Sera, riuscirebbe a recensirlo senza problemi, anche se non avesse mai giocato ad un videogioco in vita sua. Com’è possibile? Andrea Pessino, durante la sua conferenza a Milano per la presentazione del gioco, è stato abbastanza chiaro sulle intenzioni dei Ready at Dawn riguardo alla loro prima IP originale: “Volevamo raccontare una storia”. E lo hanno fatto in effetti, soltanto che, invece di congegnare meccaniche di gameplay atte a tale scopo, hanno preferito un approccio narrativo affine a quello cinematografico. Non che non sia già stato fatto in passato, basterebbe pensare alle ultime grandi produzioni Naughty Dog, per intenderci, però questo The Order: 1886 è diverso: non c’è giocabilità o comunque piacere d’interazione, tutto è focalizzato esclusivamente sull’intreccio e la caratterizzazione, i momenti memorabili vengono tutti vissuti passivamente. Per questo mi chiedo quanto sia giusto discutere di questo gioco con le metodologie della critica videoludica, analizzandone appunto meccaniche, longevità, responsività dei comandi e grafica, se l’esperienza finale è più simile a quella di uno spettatore rispetto che a quella di un giocatore. Forse questo articolo sta inaugurando la nuova rubrica di cinema di Pixel Flood, e non me ne sto nemmeno rendendo conto.

Un headlock, splendidamente applicato, durante un QTE.
Un headlock, splendidamente applicato.

Grayson, conosciuto ai più come Sir Galahad, è uno dei membri dell’Ordine, una confraternita di cavalieri costituita ai tempi di Re Artù per fronteggiare, grazie ai poteri del Sacro Graal, la minaccia dei Lycan: uomini-lupo nati da un ramo evolutivo parallelo a quello della razza umana. Il conflitto, in atto sin dall’alba dei tempi, è arrivato fino al 1886: un anno critico per Londra, tormentata dalle lotte intestine tra le diverse classi sociali, e per l’Ordine stesso, macchiato da dissapori interni. Durante la decina di ore di longevità del gioco, Sir Galahad si ritroverà ad affrontare tutta questa situazione, arrivando fino a mettere in crisi quelle che sono le fondamenta dell’Ordine. La sequenza iniziale del gioco, simile concettualmente a quella di The Last of Us, è ambientata qualche mese in avanti rispetto a gran parte dei fatti narrati, anticipandoci una futura cattura di Grayson per le mani dell’Ordine stesso, a causa di un non ben precisato tradimento. Seppur meno efficace della controparte Naughty Dog, l’incipit è in grado di creare già in pochissimi minuti un forte legame empatico con il protagonista, fondamentale per tenerci incollati allo schermo per le successive prime ore di gioco, quelle narrativamente meno avvincenti. Si torna adesso a qualche mese prima, quando Grayson era ancora a tutti gli effetti uno dei membri più rinomati dell’ordine di cavalieri.

Una Londra familiare ma inedita.
Una Londra familiare ma inedita.

Non è il 1886 riconoscibile sui libri di storia: seppur sia in pieno svolgimento anche in questo universo parallelo una rivoluzione industriale, la tecnologia, soprattutto per quello che riguarda il campo bellico, è leggermente più avanzata di quanto non ci si possa aspettare. Affacciarsi per la prima volta su un cornicione di Londra e vedere mischiati tra loro edifici storici ed elementi più fantascientifici toglie una volta per tutte ogni dubbio sulla bontà artistica del titolo Ready at Dawn. La cura con cui è stato concepito e poi riprodotto questo periodo storico inesistente ha davvero dell’incredibile. Immediatamente chiara la potenza tecnica impiegata, non tanto per i modelli dei personaggi principali quanto per un potente uso del motion blur ed altri effetti visivi, The Order: 1886 arriva a stupire non appena ci si rende conto della varietà degli ambienti di gioco: si tratta spesso di zone circoscritte (gran parte del gioco è ambientato nei vicoli dei quartieri poveri della città inglese) rese vive e credibili da una quantità di particolari a schermo che non ricordo in nessun’altra produzione. In tal senso sembra davvero esclusivamente propagandistica la scelta degli sviluppatori di non permettere a Galahad di correre per gran parte dell’avventura, consentendo così al giocatore di compiacersi delle scenografie durante le lunghe passeggiate tra una cut-scene e l’altra.

Un bellissimo cavallino. Non lo vedrete più per tutto il gioco.
Un bellissimo cavallino. Non lo vedrete più per tutto il gioco.

Come detto in precedenza, The Order: 1886 mette decisamente in secondo piano tutto quello che è interazione per una precisa scelta di design, e non per delle qualità ancora acerbe degli sviluppatori. Una scelta che, mi ripeto anche qui, era già stata fatta in passato, magari mascherata con qualche meccanismo più o meno legittimo di scelte morali, e che ha suscitato nella stampa estera uno scalpore a mio parere immotivato, anche perché dire che un gameplay è poco profondo non vuol dire necessariamente che sia stato poco curato. Il genere è riassumibile in un over the shoulder shooter, pieno zeppo di quick time event e con qualche sezione stealth. Salvo per queste ultime, davvero lineari ed insignificanti ludicamente, il team ha cercato di rendere per lo meno interessanti le altre due situazioni di gioco. Le meccaniche delle sparatorie si rifanno principalmente a Gears of War, riprendendo in toto il sistema di copertura ed arricchendolo con le armi progettate da Nikola Tesla, in questo universo ricercatore al servizio dell’Ordine. Le armi da fuoco, tutte splendidamente caratterizzate in quanto a pesantezza e metodologia di sparo, vanno dalla canonica pistola fino all’avveniristico Fucile a Termiti, uno strumento in grado di lanciare una nube incendiabile a mezz’aria da fare successivamente brillare con un dardo sparabile da una seconda bocca di fuoco. La buona volontà messa nel rendere divertente il controllo in battaglia del nostro Galahad viene completamente mandata alle ortiche da una gestione superficiale degli scontri a fuoco, tutti molto standardizzati (l’intelligenza artificiale dei nemici è poco elaborata) e privi di eventi dinamici in grado di cambiare le carte in tavola. Non ci sono conflitti a fuoco memorabili o anche solo funzionali a portare avanti la trama, sono solamente intermezzi movimentati. Molto più ingombranti invece i QTE, presenti in tutte le forme possibili ed immaginabili. Usati spesso a sproposito, non hanno implicazioni morali tranne in una circostanza (chiedetemi nei commenti per delucidazioni), sono sfruttati per rendere più coreografiche le lotte all’arma bianca con i Lycan: i cosiddetti cinemelee affiancano a dei QTE difensivi la capacità di muoversi attorno al nemico liberamente, lasciandoci possibilità di iniziare l’attacco quando meglio crediamo, il tutto chiaramente animato in modo da sembrare una scena di intermezzo. L’esperimento, impiegato in sole due occasioni, non mi è parso troppo riuscito.

Sir Galahad inseguito da un QTE.
Sir Galahad inseguito da un QTE.

Arriviamo così a quello che è il vero punto dolente di tutta la produzione, la caratteristica che tra tutte quelle descritte aveva il ruolo di protagonista principale e, per questo, necessitava di una cura maggiore per poter far sì di ritenere The Order: 1886 un titolo degno di qualsiasi ludoteca: il comparto narrativo. Sì, perché ho letto tanto di longevità e gameplay deludente, però non ho trovato nessuna critica ragionata sulla trama ed i personaggi di gioco. Il mondo creato da Ru Weerasuriya è notevole, la mitologia dietro alle vicende dell’Ordine ha richiesto mesi di ricerca nella cultura anglosassone, portando addirittura gran parte del team a trasferirsi per qualche mese a Londra, per effettuare un rilievo fotografico. Un mondo che ha il principale pregio di rendere credibile la commistione tra una Londra di fine ‘800 e tutto quel carrozzone di creature e macchinari fantascientifici. Quello che però Ru non è riuscito a fare è stato mettere a servizio di questo universo delle vicende altrettanto appassionanti e plausibili. L’intreccio si dimostra debole e pieno di falle, rivelandosi degno di un film d’azione mediocre. Spesso pretende erroneamente di creare scene drammatiche con personaggi poco approfonditi, con il risultato di non riuscire a ricavare mezza emozione dallo spettatore/giocatore. La sensazione diffusa è di guardare un film che ha subito un pesante ridimensionamento in fase di montaggio. Uno spunto clamorosamente perso è stato il non sottolineare la peculiare condizione di vita dei cavalieri dell’Ordine, costretti ad una vita innaturalmente longeva grazie al potere del Sacro Graal. Un ritmo narrativo davvero scostante aiutato, sembra strano a dirlo, solo dai QTE, che mantengono alta l’attenzione con degli atti di puro disturbo. In questo comparto l’unica cosa veramente riuscita è il personaggio di Galahad che, seppur molto vicino al cliché del veterano badass, è stato l’unico personaggio a cui mi sia affezionato.

Il fatto che non ho nominato nessuno degli altri protagonisti è sintomo della loro mancanza di carisma.
Il fatto che non abbia nominato nessuno degli altri protagonisti è sintomo della loro mancanza di carisma.

The Order: 1886 delude, soprattutto per le premesse eccellenti in tutto quello che investe la caratterizzazione. Spero per Ready at Dawn che si formi una community in grado di mitizzare il brand e di dargli quell’identità che il team di sviluppo ha costruito solo in parte. È mancato, per adesso, quel lampo di genio. C’è il potenziale per tramutare questo primo esperimento in una saga degna di definire questa generazione di console, analogamente a com’è successo in passato con Assassin’s Creed.

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NekoPolpo - Biografia

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