La prima volta che ho sentito parlare di Ride è stato durante una conferenza alla scorsa IGDS, quando il game director Michele Caletti ed il lead game designer Irvin Zonca hanno manifestato tutta l’ambizione dietro a questa inedita IP targata Milestone: ricreare un Gran Turismo con le moto. Sviluppare nel 2014 un gioco con un concept risalente al 1997 mi ha fatto abbastanza sorridere, però non si può dare torto alla casa milanese quando sottolinea la mancanza nel mercato attuale di titoli motociclistici in grado di restituire un’esperienza simile a quella del capolavoro targato Polyphony Digital, reo di aver reso il genere dei racing “simulativi” appetibile anche al grande pubblico, riuscendo di fatto a diventare il titolo più venduto sulla prima Playstation. Un’idea alla base quindi non prettamente innovativa, ma non per questo meno interessante, soprattutto considerando i mezzi ben più esigui rispetto alla casa di Yamauchi. Dal 27 Marzo 2015 Ride è disponibile su tutte le console fisse Sony e Microsoft attualmente presenti sul mercato e su PC. In questa recensione parlerò nello specifico della versione Playstation 4, con la quale ho giocato per circa una ventina di ore.
L’esperienza di Milestone, maturata con innumerevoli pubblicazioni di titoli su licenza, ha giocato un ruolo decisivo nella progettazione del modello di guida di Ride, che si rifà in larga scala a quello visto in MotoGp 14. Il risultato è una simulazione dalle tinte leggere, in grado di enfatizzare la gimmick motociclistica soprattutto nei cambi di direzione, ovvero quando si manifesta l’eccellente resa dell’inerzia giroscopica: metabolizzare quella frazione di secondo richiesta per inclinare la moto ed affrontare al meglio la curva è la caratteristica che maggiormente differenzia l’esperienza di guida al manubrio di una moto da quella al volante di una macchina. Ogni moto richiederà qualche gara di apprendistato prima di poter essere pilotata a dovere, soprattutto quando si passerà tra due categorie di cilindrata diverse. Per quanto divertentissimo, la necessità di dover dosare il gas in accelerazione (in particolare nella classe superbike) ha mostrato i limiti di ergonomicità del Dual Shock 4 per quel che mi riguarda, portandomi immediatamente a desiderare una periferica dedicata. Il problema è ampliamene aggirabile se si decide di ricorrere agli aiuti in pista (traiettorie ottimali, freni congiunti, frenata assistita, ecc). L’unico particolare in grado di rompere (anche visivamente) il feeling con la motocicletta è un sistema di collisioni approssimativo, troppo accondiscendete quando si viene in contatto con barriere architettoniche ed al contempo incredibilmente punitivo nelle sportellate con gli altri motociclisti, spesso non particolarmente brillanti per l’IA. Fondamentale in queste circostanze il rewind, una meccanica che normalmente non digerisco nei corsistici ma che si è dimostrata obbiettivamente indispensabile per un tipo di gameplay che prevede così tante cadute.
La scelta di pubblicare il gioco anche su console di scorsa generazione ha forse pregiudicato una realizzazione tecnica di maggior spessore. I modelli delle motociclette sono eccellenti, tutti riprodotti con una cura maniacale grazie ai CAD forniti direttamente dalle aziende produttrici, ma la loro realizzazione cozza con delle ambientazione che, seppur in certi casi ben caratterizzate, come ad esempio Kanto Temples, risultano pallide su schermo: sembra di gareggiare in un diorama, dove tutto è molto statico o artificioso, come i “cartonati” del pubblico a bordo pista. Il confronto con giochi come Driveclub è ancora più impietoso se si pensa che non sono riprodotte condizioni atmosferiche diverse dal sereno. Altalenante anche sonoro, che spazia da rombi più o meno verosimili a suoni posticci. Glisserò sulla colonna sonora, visto che gli ho immediatamente preferito l’uso della nuova app di Spotify.
Passiamo ora ai temi scottanti, quelle feature che avevano distinto Gran Turismo da tutti gli altri racing game di fine anni ’90: contenuti e struttura di gioco. Come in parte anticipato, in Ride sono presenti diverse categorie di moto: light, heavy-naked, supersports, superbikes ed historical, per un totale di più di 100 modelli appartenenti a 14 marchi diversi. Un numero discreto considerando la cura riservata nel differenziare lo stile di guida di ogni mezzo ed il fatto che siamo al primo episodio di un nuovo franchise. Il lato enciclopedico si sfoga durante i caricamenti del gioco, non brevi, nei quali una schermata a scorrimento ci permette di approfondire la conoscenza del bolide con cui affronteremo la prossima gara. Ogni moto può essere superficialmente personalizzata con pezzi rigorosamente su licenza, grazie ad un editor che, nella sua semplicità, riesce a mantenere l’estetica del gioco su livelli alti di sobrietà, senza scadere in carene dai colori imbarazzanti e cosparse di adesivi discutibili usciti da un’edicola dello scorso millennio. In questi piccoli tocchi si vede l’autentica passione di Milestone per la cultura motociclistica. La personalizzazione dell’abbigliamento tocca il punto più alto del feticismo per le due ruote, soprattutto per un numero di caschi quasi eccessivo. Meno esaltante la quantità dei tracciati, una quindicina più varianti, insufficiente a pareggiare la durata della modalità carriera. In compenso sono tutti planimetrie divertenti e variegate, che variano dalle strade urbane piene di curve a gomito ai circuiti tappezzati di sgommate furenti nei punti di staccata. Mancano del tutto piste sullo sterrato, e relative classi motociclistiche.
La modalità World Tour non ha nulla da spartire con la carriera di Gran Turismo: niente patenti o cose del genere, dopo aver acquistato la nostra prima moto, con i pochi crediti inizialmente disponibili, potremmo in teoria accedere fin da subito a tutti gli eventi che costituiscono questa modalità. L’unico limite è la necessita di procurarsi una moto di una classe compatibile con l’evento in cui ci apprestiamo a gareggiare, un procedimento che implicherà la spesa dei crediti guadagnati in competizioni precedenti. La progressione monetaria è resa talmente rapida che dopo pochissime gare sarà già possibile comprare una superbike per poi potenziarla meccanicamente passo a passo: una scelta ottimale per i giocatori esperti, magari non entusiasmati dalle velocità convenzionali delle meno costose naked, ma che toglie un po’ della soddisfazione di costruire la propria scuderia pezzo per pezzo gareggiando con mezzi non propriamente competitivi. Oltre alle classiche gare e time attack, la modalità World Tour sfoggia prove in accelerazione, basate esclusivamente sul tempismo della cambiata, eventi di sorpasso, dove bisognerà raggiungere un numero determinato di sorpassi nel minor tempo possibile, e scontri con rivali, in cui bisognerà superare una determinata moto entro il tempo prefissato. Non mi è stato permesso completare la campagna a causa di un bug che resetta i salvataggi del gioco, un grave problema che a quanto pare Milestone non è ancora riuscita a risolvere a due settimane dall’uscita del titolo, ma posso dirvi con certezza che, seppur nel complesso più che dignitosa, non siamo neanche vicini alla profondità di quella che può essere la modalità principale in un GranTurismoLike. Niente di interessante invece per quello che riguarda il comparto multiplayer, costituito da una modalità online abbastanza scialba e priva di un’opzione fondamentale come quella di poter eliminare le collisioni: uscire incolumi dalla prima curva sarà un’impresa.
Ride, al suo primo episodio, è già un gioco degno dell’attenzione dei fan delle motociclette. Un racing game solido e divertente, nonostante una struttura ed un comparto tecnico non proprio strabilianti. Il divario con le ambizioni alla presentazione è ancora ampio, ma sono sicuro che se Milestone continuerà a lavorare su questa IP potrà realizzare grandi cose.