Il nome di Joe Madureira sicuramente fa riaffiorare nella memoria dei lettori di Uncanny X-Men bellissimi ricordi ma se, sfortunatamente, questo nome non vi dice niente, permettetemi di presentarvelo: Joe inizia la sua carriera, appunto, come fumettista presso la Marvel, per poi abbandonarla, deciso a realizzare un suo progetto personale: il fumetto di Battle Chasers. Lo stile particolare di Madureira e i personaggi prendono posto nel cuore di alcuni lettori, il fumetto vende benissimo ma, inspiegabilmente, dopo nove numeri la serie viene interrotta. È qui che il nostro Joe incontra il mondo dello sviluppo videoludico, nel quale lavora come Concept Artist a progetti come i primi due Darksiders.
Passano gli anni e Madureira torna al mondo dei comics, ma sembra che un seguito di Battle Chasers non arrivi, finché non appare un progetto su Kickstarter: non un fumetto, ma un videogame, sviluppato dalla nuova Software House fondata da Joe stesso: Airship Syndicate. Ed eccoci qui, dopo l’incredibile successo della campagna di crowdfunding (e con una generosa mano da parte di THQ Nordic), con il gioco in mano, pronti a rigettarci in quel mondo fatto di omaccioni nerboruti a cui Madureira ci ha abituati col suo particolare character design.

Partiamo dalla parte più riuscita del gioco: il gameplay. Battle Chasers: Nightwar si presenta come un il figlio illegittimo nato da un rapporto strambo tra RPG occidentale e JRPG. Temi, personaggi, setting e nemici li potremmo tranquillamente ricondurre a una classica campagna di D&D e al nostro immaginario tipico immaginario fantasy occidentale, con un pizzico di Arcanepunk, mentre l’esplorazione dei dungeon e gli skill tree dei personaggi sono caratterizzati da ovvi richiami a dungeon crawler isometrici come Diablo. Il battle system nudo e puro, invece, profuma di Giappone: rigorosamente a turni, ogni incontro ci richiederà un certo grado di organizzazione strategica per non rischiare il game over.
Ogni personaggio ha a disposizione gli attacchi base, una serie di mosse istantanee dagli effetti più disparati in grado di “sovraccaricare” la nostra riserva di mana, le abilità, attacchi che ci costringeranno a star fermi almeno un turno per essere utilizzati ma con effetti molto più forti di quelli degli attacchi base (e nel caso andassimo ad usare il mana in sovraccarico, in certi casi, diventeranno devastanti), e, infine, le ultimate, tre mosse per personaggio che potranno essere utilizzate una volta caricata la barra dedicata (condivisa dall’intero party) che hanno la possibilità di ribaltare le sorti dello scontro.
La parte strategica, come già detto, è tutto: anche i nemici hanno accesso allo stesso ventaglio di possibilità disponibile al protagonista, quindi decidere come, in quanti turni e chi attaccare è di vitale importanza, considerando anche il fatto che quasi tutti gli attacchi possono applicare status alterati al nemico (ce ne sono una marea) aiutandoci quindi a maciullarli o mettendo il nostro team in difficoltà nel giro di un solo turno.
Combattere inoltre non sarà solo utile ad aumentare il livello dei personaggi, che ci permetterà di acquisire punti da spendere nello skill tree e di imparare nuovi attacchi, o a ammassare denaro e materiali, ma andrà anche a aumentare la nostra conoscenza della fauna locale, inizialmente dandoci i dettagli riguardanti i nemici come HP e mosse, per poi, dopo un numero considerevole di incontri, andando a sbloccare bonus specifici come aumento del danno contro una certa famiglia di creature, o drop maggiorati: le variabili in gioco sono molte. Nonostante questa immane lista di bonus, ogni incontro (anche i più semplici) si è sempre rivelato impegnativo, con una curva della difficoltà ben bilanciata se si riesce a giocare prediligendo la strategia all’attacco concentrato senza un minimo di ritegno.

Passando all’esplorazione, ho preferito di sicuro le sezioni dungeon crawler (ambientate tutte in dungeon generati casualmente e dalla difficoltà selezionabile) alla semplice scampagnata nell’overworld. Nel secondo caso i nostri eroi si ritroveranno ad esplorare l’Isola del Mana in una visuale a volo d’uccello tipica dei Final Fantasy dell’era SNES/Playstation, con una piccola differenza: non potremo allontanarci dalle strade. Se questa scelta da un lato va ad eliminare i fastidiosi incontri casuali mostrando chiaramente dove, quando e quale nemico andremo ad affrontare, dall’altro va a eliminare il brivido dell’esplorazione, tenendoci per mano con pochissime deviazioni possibili.
D’altro canto i dungeon randomici mi hanno intrattenuto parecchio e affrontarli alla difficoltà massima alza di molto il grado di sfida aggiungendo molte più trappole e nemici più feroci. Ogni stanza può contenere un numero variabile di nemici, con cui potremo interagire con le skill d’esplorazione di ogni singolo personaggio (Calibretto, ad esempio, può curare i suoi compagni mentre esplora i dungeon, Gilly invece può stordire i nemici prendendo a pugni il terreno prima di uno scontro), tesori, trappole e, infine gli ultimi due aspetti del gameplay da citare: un laghetto in cui pescare e dei banchi da lavoro per il crafting (forge o alambicchi alchemici).

Il minigioco dedicato alla pesca, sarò sincero, non mi ha entusiasmato particolarmente e, anzi, mi ha annoiato sul lungo periodo, mentre il sistema di crafting mi ha fatto innamorare: ammazzando mostri, raccogliendo tesori e pescando (sigh) otterremo vari materiali che potremo raffinare in armi, armature, pozioni e quant’altro, a patto di avere acquistato preventivamente i manuali dedicati.
La particolarità del sistema sta nella possibilità di creare oggetti dal grado più alto di quello che dovrebbero avere: un’arma tendenzialmente comune, nel caso avessimo materiali in esubero da sprecare, potrà essere elevata al grado raro o epico, aumentando bonus nelle statistiche e aggiungendo vari buff e debuff agli effetti degli attacchi. Per gran parte dell’avventura ho usato solo oggetti creati da me piuttosto che quelli raccolti in giro, e devo dire che generalmente non sono un fan del crafting…

Sicuramente, invece, la parte più debole del gioco è la trama. Il problema di base sta nel fatto che un’introduzione c’è ma è sicuramente riduttiva per chi non conosce il fumetto, inoltre con la localizzazione italiana si vanno a perdere alcune sfumature che rendono, in lingua originale, i dialoghi meno ripetitivi.
Peccato comunque che questo problema non sia originato da una localizzazione mal realizzata ma dalla differenza tra le due lingue: in lingua inglese molti personaggi usano modi di dire, slang o nomignoli difficilmente traducibili in altri idiomi a meno che non si ricorra al brevettatissimo (e da molti odiato) sistema “Final Fantasy IX“: utilizzando dialetti nostrani o accenti esteri per caratterizzare, chi più e chi meno, i personaggi.
Sul lato tecnico invece siamo a un livello leggermente superiore al classico indie uscito da Kickstarter: lo stile inconfondibile di Madureira sprizza personalità da ogni pixel e ogni singola mappa, nemico e personaggio è una gioia per gli occhi. Ho riscontrato alcuni piccoli bug visivi nelle transizioni tra esplorazione e battaglia, con un lieve stuttering ogni tanto, e alcuni legati ai baloon dei fumetti in battaglia, rare volte presentavano “sbavature” sugli angoli (letteralmente linee bianche che partivano da un angolo verso l’esterno per alcuni pixel), ma sembra che dopo la pubblicazione questo problema sia stato corretto.
Per quanto riguarda la colonna sonora mi è abbastanza piaciuta, con i suoi temi medievaleggianti, anche se il tema dell’overworld alla lunga mi ha dato noia.
Battle Chasers: Nightwar non avrà di sicuro una trama innovativa, non sarà la storia più bella mai raccontata nel panorama indipendente e tantomeno lo è in quello del genere RPG, ma è sorretto da un gameplay altamente accattivante, colmo di sfaccettature e molto solido. Prima di affrontare il gioco, però, datemi retta: spendete qualche soldo per l’omnibus del fumetto (lo si può recuperare online in lingua originale), primo perché ne vale la pena anche solo per i disegni del buon Joe, secondo perché vi introdurrà al mondo di gioco, dando quella scintilla in più all’avventura.
Opera d'arte
Crafting
Dungeoneering
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