Il libro di cui mi accingo a scrivere è figlio del progetto Playing The Game, una “piattaforma interdisciplinare che pone al centro delle proprie attività lo studio del videogioco, promuovendone la vocazione creativa ed innovativa, indagandone le potenzialità peculiari e scoprendo il dialogo che sviluppa con le altre forme culturali”, è stato fondato da Paolo Branca nel 2012. Playing The Game intende coinvolgere attivamente sia gli esperti del settore che il grande pubblico attraverso attività di studio e ricerca e manifestazioni, stimolando il dibattito e il confronto sulle tematiche trattate.
Articolato in 3 macrocapitoli, Textural Videogames: Universi per un’Esperienza Emozionale raccoglie in parte l’esperienza del terzo evento del progetto, tenutosi lo scorso anno all’interno degli spazi Pirelli HangarBicocca, durante il quale sono stati protagonisti alcuni giochi che negli ultimi trent’anni hanno “[sfidato] le convenzioni più tipiche del videogioco: i punti da accumulare e i livelli da superare”. Da Little Computer People del 1985 a Progression del 2014, passando per The Secret Of Monkey Island (1988), The Incredible Machine (1992), Creatures (1996), LSD: Dream Emulator (1998), ICO (2001), The Graveyard (2008), Proteus e The Stanley Parable (2013), le loro brevi schede descrittive occupano la seconda parte del volumetto con titolo, anno di pubblicazione, nome e presentazione del team di sviluppo e brevissima sinossi.
Seguono le interviste fatte agli sviluppatori indipendenti durante l’evento, ai quali è stato chiesto anche quale sarebbe stato secondo loro il futuro delle sperimentazioni videoludiche. Quasi tutti (tra cui Sander van der Vegte, Ed Key, Davey Wreden) guardano con fiducia ed entusiasmo ai futuri sviluppi delle “nuove meccaniche di gioco e modalità di interazione”, ma alcuni preferiscono non sbilanciarsi con le previsioni. Solo i Tale Of Tales si mostrano apertamente disfattisti.
La prima parte, invece, racchiude alcuni brevi saggi raccolti attraverso un bando internazionale, a cui hanno partecipato personalità provenienti da diversi ambiti. Paul Booth, insegnante alla DePaul University, ad esempio, ha inviato un breve testo con alcune riflessioni su The Stanley Parable; Federica Fumelli, laureata al Dams di Bologna e ora studentessa al biennio specialistico in Didattica dell’Arte e Mediazione Culturale del Patrimonio Artistico, parte della parola “esplorazione” per svelare quanto liberatori siano i videogiochi textural, mentre Claudio Musso, critico d’arte, curatore indipendente e docente, si chiede cosa accadrebbe se si mettessero in discussione le regole interne al videogioco come medium.
Ancora, Giorgia Noto, laureata in Conservazione dei Beni Culturali e membro dell’associazione culturale Seven O’Clock di Roma, scrive di un capovolgimento di prospettiva nell’usufruire sia delle nuove tecnologie che dell’esperienza videoludica, e Giuliano Tarlao, artista performativo, descrive le potenzialità dell’abbandono di schemi concettuali gerarchici nei videogiochi. Altri due saggi mi hanno colpito particolarmente: uno, di Michelle e Marc A. Ouellette, una coppia di educatori e autori, è un bel pezzo su The Incredible Machine, mentre il secondo, di Stephanie Vie, professoressa associata di Scrittura e Retorica alla University of Central Florida, descrive le logiche capitaliste di Animal Crossing.
In conclusione, Textural Videogames è un libro breve ma intenso, nato da un progetto interessante e ambizioso che riesce a coinvolgere migliaia di persone, anche stringendo legami e avviando collaborazioni a livello europeo con altre importanti realtà.
Il volumetto può essere acquistato online su Lulu.com e su Amazon.
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