Pubblicato il 27/03/24 da Antonio Rodofile

Chubby Pixel – Intervista a Fabio Ferrara

Abbiamo fatto una chiacchierata con Fabio Ferrara, founder di Chubby Pixel che ci ha parlato della scena indie italiana e dei prossimi progetti del team.

Nella nostra recente serie di interviste, aperta poche settimane fa con quella di Angelica Danarini, siamo lieti di poter ospitare Fabio Ferrara, founder di Chubby Pixel. Lo studio indie è noto per aver realizzato Suicide Guy, interessante puzzle game che unisce ad uno stile visivo intrigante delle meccaniche di gameplay che cambiano costantemente. Con Fabio abbiamo esplorato diversi argomenti che variano dallo sviluppo di un indie in Italia, ai prossimi progetti dello studio, fino agli aspetti più intimi che portano a scegliere questo lavoro.

Se vuoi recuperare le altre interviste, ecco i link:

Come nasce Chubby Pixel?

Abbiamo iniziato più di 10 anni fa con i primi giochi. Siamo nel campo da più di 10 anni e ne abbiamo viste di tutti i colori. Siamo stati tra i precursori degli indie, abbiamo visto cambiare il mercato e siamo riusciti a mantenere il team e anche a ingrandirlo nel tempo. Siamo riusciti a sviluppare sempre giochi nuovi su tutte le console e, nello sviluppare, abbiamo imparato a muoverci nel campo per realizzare prodotti che riescano a sostenere l’intero team.

Il team è composto adesso da 5/6 persone, io (Fabio) sono il founder. Poi ci sono due programmatori, un modellatore, un audio designer e una illustratrice di grafica 2D. Il team è anche abbastanza dinamico e ogni tanto prendiamo anche dei freelancer in base ai progetti. Sviluppiamo tanti progetti diversi contemporaneamente e ci sono ovviamente giochi che vanno meglio di altri, ma in complesso riusciamo a tenere in piedi la baracca. Il team si è espanso nel tempo, ma ho sempre cercato di non allargarlo troppo per delle questioni di costi e rischio.

Dall’altra parte, trattandosi di un piccolo gruppo, devi saper fare un po’ tutto. Io mi occupo praticamente di qualsiasi aspetto del gioco dalla UI ai modelli 3D, animazioni e marketing ma è una cosa che dà enormi soddisfazioni e che fai per passione, non per i soldi.

Come hai capito di volerti dedicare allo sviluppo di videogiochi?

Da quando ho iniziato a giocare ho sempre voluto. È un imprinting che ho avuto da quando avevo tre anni. Ho sempre voluto capire la tecnica per svilupparli e farci dei soldi è stato solo un elemento secondario. Anche perché con i primi giochi abbiamo venduto poco e abbiamo dovuto capire come fare per guadagnare da questi giochi.

Avete guadagnato poco perché vi mancavano le abilità di marketing?

Un po’ di tutto, sia il marketing che le piattaforme. Ad esempio, il primissimo Woodle Tree, il platformer, su PC aveva venduto pochissimo, mentre su altre piattaforme come Switch e PlayStation ha fatto dei numeri molto più interessanti. In generale, anche capire quali campagne di marketing fare e dove pubblicizzarci sono delle tecniche utili per vendere.

Sono cose che hai imparato sul campo o hai fatto degli studi particolari?

Le ho imparate un po’ online, ci sono molti articoli, siti e blog che ne parlano e ho studiato da solo per capire come fare. Poi molte cose cambiano costantemente e quello che funziona oggi non è detto che funzionerà domani.

Ci sono dei titoli o degli studi che ti hanno ispirato nella scelta di diventare uno sviluppatore?

Sicuramente la maggior parte dei titoli Nintendo o giochi della Valve come Half-Life 2 o tutti i capolavori del passato come Super Mario o Zelda. Poi, negli anni anche vedere tutti i primi indie mi hanno ispirato nel capire cosa gli altri riuscivano a tirare fuori.

Ad esempio, quelli di Jonathan Blow o qualcosa del 2010 come FEZ, Super Meat Boy o The Binding of Isaac. Tutti capolavori sviluppati da piccoli team o, addirittura, da singoli sviluppatori. Ancora ora escono tantissimi titoli validi, ma quell’epoca mi ha ispirato molto perché l’ambiente era piccolo e familiare. Adesso è diventato più difficile.

Il fatto di avere un ambiente piccolo ti aiuta nel senso che riesci a conoscere queste persone materialmente o li guardi comunque da lontano?

Ho conosciuto alcuni sviluppatori, ma avendo poco tempo per gli eventi… Alcuni hanno anche abbandonato, come quello di FEZ. Ci sono ovviamente progetti che vanno bene e molti altri che falliscono. Quindi c’è sempre l’ansia.  

La vostra serie più longeva è quella di Suicide Guy. Trovo molto interessante il modo ironico in cui si affronta una tematica così interessante e delicata. Come nasce l’idea?

Inizialmente era stato un prototipo fatto come esperimento, poi è piaciuto parecchio e da lì ho capito che valeva la pena di provare a fare qualcosa di più complesso. Poi il gioco non è realmente incentrato sul suicidio perché il protagonista sta dormendo e quindi è più come prendere delle botte per avere un risveglio dal mondo dei sogni. Poi il titolo è rimasto perché il prototipo era quello.

In alcune versioni abbiamo provato ad alleggerire il titolo, come in quelle PlayStation (The Guy, Sleeping Guy), però il gioco è conosciuto con quel titolo e lo abbiamo mantenuto.

In Suicide Guy avete essenzialmente sovvertito uno dei capisaldi del gaming, ovvero che dobbiamo sopravvivere per vincere. Trovo che la meccanica di correre incontro alla morte per terminare un livello sia azzeccatissima per il gioco. Puoi dirmi qualcosa in più in merito a questa scelta?

Il concept iniziale era proprio una parodia del concetto base del gioco e poi è diventato proprio una parodia. Sia a livello di gameplay che di storia. Infatti ci sono dei livelli parodia presi anche da film o giochi. Lo abbiamo sviluppato cercando di sperimentare a livello di gameplay, quindi, ogni livello ha un gameplay diverso o, comunque, ci sono delle logiche diverse per ogni livello. Sicuramente è quello il motivo per cui è piaciuto molto: il gioco cambia ogni dieci minuti.

Una delle cose che ho subito notato in Suicide Guy: Lost Dreams, infatti, è proprio questo riscoprire le regole ad ogni livello.

Per ogni livello devi ragionare in modo opposto a quella che sarebbe la tua logica di base. Infatti mi piacerebbe provare a fare qualcosa di nuovo in un secondo capitolo. Anche se stiamo attualmente lavorando su altri progetti.

Quindi il due è solo un’idea nel cassetto attualmente?

Sì. Al momento abbiamo iniziato solo a “prototipare”, non abbiamo ancora delle idee precise di date.

È ancora un po’ presto per parlarne (del progetto attualmente in sviluppo, ndr), ma nei prossimi mesi potrebbe arrivare qualcosa, è un progetto che volevo sviluppare da anni, ma non ho mai avuto tempo e un team giusto. Ci stiamo lavorando da diverso tempo e dovremmo riuscire a pubblicarlo tra quest’anno e l’anno prossimo.

Abbiamo già pubblicato qualche video di questo progetto che stiamo sviluppando per Nintendo Switch e per le altre console. 

Lo “sleeping guy” è un personaggio ricorrente nei vostri giochi. Potete dirci qualcosa in più sul suo conto?

La caratterizzazione è legata proprio sul lasciare molto all’immaginazione. Questo ti porta a chiedere cosa stia facendo, perché durante tutto il gioco non fa altro che sognare. Il fatto di essere inattivo e di non fare niente lo rende simpatico.

Nel due abbiamo in mente di dare qualche dettaglio in più sul personaggio. Vorrei approfondire un po’ di più, senza rischiare di rovinarlo perché quando dai molti dettagli corri il rischio di rompere l’immaginario del giocatore.

A Way of Life è uno dei progetti che mi ha colpito molto sul vostro sito. È un gioco che ha una profondità filosofica ed emotiva molto interessante.

È stato fatto diversi anni fa durante una jam, sviluppato in poche ore con altri developers. Non era solo nostro, ma fatto anche in collaborazione con altri designers. Si trova ancora su Steam ed è gratis. Era un concept che mi piaceva molto.

Vorrei approfittare per dire qualcosa in più anche in merito alle jam, potrebbe essere interessante anche per chi si vuole approcciare a questo mondo.

È da un po’ che non faccio delle jam per mancanza di tempo, ma se sei agli inizi è importante partecipare. Sta tutto nel saper trovare il team giusto che riesca a portare a termine il gioco e non è facile.

Hai 48 ore per sviluppare un progetto ed è una cosa abbastanza stressante che, però, ti porta a velocizzarti e ti fa sperimentare abbastanza perché hai risorse e tempo limitati e quello aiuta a provare cose diverse con idee semplici che, però, siano anche efficaci.

L’inizio del 2024 è stato caratterizzato dai grandi studi che sono stati costretti a licenziare moltissime persone e hanno cancellato diversi progetti. Nel mercato italiano, questa cosa è stata in qualche modo percepita?

In Italia, essendo un mercato piccolo è difficile tagliare. Sicuramente non si è espanso, non mi sembra che ci siano stati grossi cambiamenti in positivo o negativo.

Nel nostro piccolo non abbiamo avuto grandi cambiamenti, i progetti che stavamo facendo li stiamo finendo. Sicuramente per gli indie è meno impattante.

Io, ad esempio, mi rifiuto al momento di usare le AI. Credo abbia senso per team giganteschi e posso capire che si inizi ad usare perché sicuramente risparmi tantissimo. Però, non credo abbia senso in un contesto di indie. Nei progetti grossi, però, tagliare così tante persone e utilizzare sempre più AI non può portare ad un numero maggiore di vendite. Probabilmente alla fine non gli cambierà nulla, ma si vedrà con il tempo. Magari spendere un quinto per un gioco aiuta a rientrare meglio. Quei giochi ormai costano tantissimo.

A proposito di questo, una cosa che volevo chiederti è: come si sostiene uno studio indipendente nel nostro paese?

Secondo me, l’unica è provare a fare più progetti originali e sapere gestire i budget che è una cosa ad alto rischio.

Voi non finanziate i giochi con Crowdfounding o strumenti simili?

No, sono tutti incassi di giochi. Il budget del gioco dipende da quanto hai, non chiediamo prestiti alle banche e non credo che in Italia ci siano grandi possibilità di fare Crowdfounding.

Avevamo provato anni fa con un progetto, ma non abbiamo tirato su quasi niente. Credo anche che sia finita l’era del Crowdfounding, non vedo molti progetti. Ha più senso chiedere un prestito alle banche perché per fare bene una campagna Crowdfounding serve del tempo che, piuttosto, puoi utilizzare per sviluppare meglio la cosa.

Dove vedi Chubby Pixel tra 10 anni? Cosa immagini per il futuro?

A me andrebbe bene rimanere così, mantenere un team stabile e riuscire a sviluppare nuove idee e nuovi progetti. Realizzare le idee che abbiamo in testa. L’obiettivo è quello, se poi al pubblico non piace almeno ci abbiamo provato. Secondo me, rischiare e fare qualcosa di nuovo ha più senso che sviluppare l’ennesimo sparatutto.

Anche perché i tripla A stanno iniziando a soffrire i troppi titoli simili tra loro.

Qualsiasi cosa fai rischi, quindi tanto vale continuare a divertirsi.

Quindi è una conferma che dopo anni di lavoro nel mercato, la cosa continua a divertirti e pensi che lo farà anche in futuro?

Negli anni non c’è più l’energia che c’era all’inizio. Ci sono stati mille momenti difficili, ma con l’esperienza riesci a capire cosa vale la pena di portare avanti e cosa no. Le esperienze di vita ti fanno capire su cosa focalizzarti e cosa lasciare perdere.

Ad esempio, non guardare a cosa fanno gli altri per guadagnare e fare una roba uguale, ma cerca di metterci del tuo e fare qualcosa di originale, senza disperarsi se qualcosa va male. Credo che sia l’unica visione possibile, piuttosto che distruggersi e arrovellarsi.

Vuoi raccontare qualcuno di questi momenti di down e confrontarli con dei momenti di enorme soddisfazione?

Momenti di down possono essere gli inizi. I primi giochi che dopo anni di sviluppo vendevano poco o niente, ma con l’esperienza ho capito anche come venderli e sono riuscito a guadagnare da progetti sviluppati anche anni prima. Tutto il lavoro che ho fatto sono riuscito a farlo valere.

Suicide Guy è sicuramente il gioco che è piaciuto di più e quando lo sviluppavo mi chiedevo “cos’è questa roba?” e se sarebbe piaciuto. È stato esaltante vederlo giocato da così tante persone. Se fai cose particolari e sperimenti vieni premiato, basta non fare cose banali e già viste per riuscire a vendere qualcosa. Anche mentre sviluppiamo questo nuovo progetto mi chiedo “cos’è” e non ho idea di come verrà preso.

Un altro gioco che non è andato molto bene è stato il secondo Woodle che avevo provato a rendere un open world, anche se è un platform molto classico. Da lì ho capito che gli open world stanno iniziando a interessare meno e la gente non ha tanta voglia di spendere ore a giocare in mondi troppo grossi.

Poi, sviluppandolo, ho capito quanto fosse complesso fare un open world e ho capito che per uno studio indie era troppo complesso da gestire. Non è venuto malaccio, ma è quello che ha venduto meno.

Antonio Rodofile - Biografia

Sono nato col pad in una mano e la penna nell'altra. Trent'anni dopo, scrivo con la tastiera.