Pubblicato il 02/02/18 da Neko Polpo

The Red Strings Club

Romanzo breve di filosofia cyberpunk
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La grafica è in pixel art, l’ambientazione è cyberpunk. Serve che dica altro? Beh, probabilmente se state leggendo questa recensione, sì, vorrete qualche informazione in più su The Red Strings Club. Quindi, va bene, ne parlerò più approfonditamente. Ma, vi avviso: nulla di quello che dirò riuscirà a cogliere appieno la profondità e la poesia di questo piccolo capolavoro.

Sviluppato da Deconstructeam e pubblicato da Devolver Digital, questo videogioco, o meglio, questa storia cyberpunk, inizia nel più classico dei modi: un uomo sta precipitando nel vuoto; la morte si avvicina rapidamente, ma non senza concedergli il tempo di assaporare il gusto amaro della vita, di rivivere la spirale di eventi che l’hanno condotto a quel preciso momento.

Brandeis è seduto al pianoforte di un bar vintage-decadente, e il barista/amico/confidente Donovan chiede a me, giocatrice / musa ispiratrice di aiutarlo a preparare un cocktail che tiri fuori le emozioni più nascoste di Brandeis. Gli servo un drink a base di rimpianto. Brandeis lo beve, continuando a suonare al pianoforte una melodia calma e malinconia, lamentandosi di quanto sia corrotta la città e… all’improvviso la porta si spalanca, e un androide semidistrutto irrompe agonizzante nel The Red Strings Club. E non è un androide qualsiasi, bensì l’ultimo modello, non ancora commercializzato, della Supercontinent Ltd. Il primo capace di prendere decisioni basate sull’etica, analizzando la totalità dei fattori interni ed esterni agli esseri umani con cui si trova a interagire: Akara-184.

Il cuore del gioco, i tre meravigliosi protagonisti della trama.

Da qui prende le mosse una storia cyberpunk con tutti i crismi, che verrà a poco a poco raccontata al giocatore tramite le azioni di Brandeis e Donovan.

E qui inizio anche a parlarvi di uno degli innumerevoli pregi di questo gioco, il gameplay; sì, perché le meccaniche di gioco sono parte integrante della storia e contribuiscono all’immedesimazione come raramente mi è capitato di vedere. Sono meccaniche semplici, che, lo dico sin da subito, escludono del tutto il combattimento. Il giocatore sarà chiamato a svolgere una serie di attività che richiedono abilità manuali, come plasmare degli impianti cibernetici da materiale grezzo, o – come già citato – preparare cocktail in grado di tirare fuori le giuste emozioni dagli avventori del club, ottenendo così da loro preziose informazioni. La storia si dipana soprattutto attraverso queste azioni e attraverso dialoghi scritti magistralmente, in cui il giocatore dovrà scegliere tra opzioni talvolta radicalmente opposte. Ogni decisione che prenderete avrà delle conseguenze, non direttamente sul finale del gioco, ma su qualcosa di ben più importante: quello che viene dopo il finale.

Grazie a noi, Donovan potrà preparare drink che arrivano dritti all’anima degli avventori.

La componente GdR di questo gioco è fortissima, raramente mi è capitato di sentirmi così in grado di plasmare la storia – anche se poi, a ben vedere, tutte le strade conducono allo stesso finale. Questo è dovuto anche alla particolare struttura dei salvataggi, anzi, del salvataggio. Nel gioco, infatti, non sarà possibile salvare a piacimento, ma ci saranno dei salvataggi automatici che avverranno in genere subito prima e/o subito dopo qualche evento rilevante, senza permettere al giocatore di “controllare” la situazione: fate la vostra scelta e affrontatene le conseguenze, perché non potrete semplicemente spegnere e cambiare. Un solo set di dati di gioco, aggiornati automaticamente: se volete cambiare percorso, dovrete ricominciare. Questo sistema apparentemente molto punitivo non solo contribuisce, come ho già osservato, a farvi realmente pesare ogni scelta possibile, ma è in parte mitigato da alcuni espedienti in gioco: Akara, ad esempio, potrà sintetizzare per voi delle droghe, che potrete, nei panni di Donovan, mettere nei drink dei clienti, per cancellare la loro memoria a breve termine e poter così esplorare altre opzioni di dialogo. Un sistema brillante ma non invasivo, di gran lunga più coinvolgente del “riprendo dal salvataggio prima del dialogo e vedo cosa succedere se cambio le risposte”.

Ogni scelta ha un peso. Ogni parola.

Un altro aspetto di questo gioco che ho amato sono i personaggi. Il giocatore interpreterà alternativamente i tre protagonisti. Donovan è un bartender-filosofo con una grande fiducia nell’uomo e un’altrettanto vasta sfiducia nelle tecnologie e nelle corporazioni che le producono e utilizzano, un personaggio decisamente “ai margini” e con una mentalità antiquata, per il mondo in cui vive; eppure, tutti gli altri personaggi sono in qualche modo attratti da lui e dalla sua saggezza d’altri tempi. L’irrequieto Brandeis è un moderno ronin, un hacker freelance che disprezza il sistema ma che al contempo ne fa parte, accettando le regole del gioco… fino a un certo punto. E poi c’è Akara, l’androide umanizzata, che, come molti suoi “colleghi” nella letteratura romanzesca, fumettistica e cinematografica, mescola tratti da automa con comportamenti, ragionamenti e sentimenti (?) umani, sempre più marcati a mano a mano che la storia procede: dolcissima, è impossibile non amarla.

Ma non si tratta solo di loro: tutti, ma proprio tutti i personaggi che incontrerete sono curati, ben caratterizzati, mai banali. Il The Red String Club sarà, in questo senso, un vero e proprio “zoo umano”, in cui potrete osservare i diversi, diversissimi avventori.

È impossibile non cogliere in questo gioco echi di Blade Runner e di Ghost in the Shell, solo per citare gli esempi più famosi e lampanti. Deconstructeam – a cui vanno i miei sinceri complimenti – è riuscito a prendere i migliori cliché del genere cyberpunk, concentrarli in una storia della durata di circa tre ore e integrarli con elementi originali che si svelano nel finale, un finale degno della migliore opera cyberpunk; un finale che cambierà le carte in tavola e fornirà la chiave di lettura di tutta la narrazione. Non paghi, gli sviluppatori hanno pervaso la loro opera di filosofia transumanista e di diversi spunti di riflessione, ed entrambi gli elementi saranno un’ulteriore motivo di soddisfazione per gli amanti dei generi.

Donovan spiega a Brandeis come utilizzare questa tecnologia ormai obsoleta… Il telefono.

Anche dal lato tecnico, non posso che elogiare questo gioco. La grafica in pixel art è ad effetto e totalmente appropriata al contesto, così come le musiche: ritmi cyberpunk, synthwave e retrowave si alternano, a seconda delle scene, anche a brani malinconici e noir.

Ho riscontrato però qualche difetto nella sceneggiatura (solo piccoli refusi) e nell’interfaccia, che in alcuni momenti passava dall’inglese allo spagnolo all’interno dei titoli delle finestre di dialogo. Ma si tratta davvero dell’unico, trascurabilissimo difetto che ho trovato in questo gioco.

Se lo consiglio? Beh, se siete arrivati fino a questo punto della lettura, avrete già capito che la mia risposta può essere solo una: sì, sì, sì. Ma, attenzione: è una vera chicca indie e, probabilmente, non tutti i tipi di giocatori lo capiranno e apprezzeranno. Ma se vi piacciono le belle storie, la poesia, il cyberpunk, la filosofia, o anche solo uno di questi elementi, non indugiate un istante di più: acquistate The Red String Club e godetevi quest’opera che, nella sua brevità e semplicità, merita di sicuro una menzione nella storia della letteratura cyberpunk.

  • Intenso e immersivo
  • Denso di filosofia
  • Personaggi superbi
  • Cyberpunk classico, con elementi di originalità

 

  • Problemi minori di interfaccia

IL TRIO DEI PROTAGONISTI

FILOSOFIA CYBERPUNK

SCRITTURA E SCENEGGIATURA

NekoPolpo - Biografia

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