Secondo lavoro di Tequila Works, RiME nacque durante la lavorazione di Deadlight (2012), come un mix curioso tra un RPG isometrico e un tower defence. Inizialmente fu Microsoft a finanziare il progetto, in vista di un eventuale rilascio sulla sua piattaforma Xbox Live Arcade. Il concept originario, tuttavia, mutò non poco nel corso dello sviluppo, entrando in collisione con le politiche di pubblicazione di XBLA, volte prevalentemente al multiplayer. Infatti, dopo aver in un primo momento approvato il gioco, Microsoft decise successivamente di abbandonarlo, per via delle scelte fatte dallo sviluppatore madrileno in relazione al design. A prendere il posto della multinazionale statunitense, tuttavia, fu un altrettanto illustre gigante. Sony, interessata alla piega più adventure che RiME stava prendendo, decise di farne un’esclusiva Playstation 4 e, pertanto, di finanziare il progetto, che rimase sotto l’ala protettrice della corporation per circa due anni. I travagli della produzione, tuttavia, non erano ancora arrivati al termine, dato che anche Sony, per ragioni mai del tutto chiarite, decise di interrompere il finanziamento. Nel 2016, alla fine di questa lunga serie di vicissitudini, l’IP fu riacquisita dalla stessa Tequila Works, mentre Grey Box e Six Foot, assunta la posizione di publisher, si impegnarono a portare il titolo su quasi tutte le piattaforme.
Non è raro imbattersi in opere (anche non videoludiche) che, come RiME, hanno attraversato uno sviluppo difficile, tormentato. Molte di queste, alcune anche molto amate, portano in sé i segni di queste difficoltà, siano essi un vago senso di incompiutezza o una percepibile frammentarietà, probabilmente legata al continuo rimaneggiamento avvenuto durante la lavorazione. Raro è, invece, tra quei lavori dalla produzione sfortunata, trovare titoli compatti e unitari come il nostro RiME.
Nonostante sia, per l’appunto, un progetto mutato radicalmente in corso d’opera, RiME non porta nessuna stigmata del proprio passato, apparendo piuttosto come un lavoro concettualmente molto orientato, ottenuto per sottrazione e limatura, una specie di distillato dal gameplay fondato su aspetti semplici, perfettamente integrati e compenetrati, volti unicamente a fare da impalcatura per un racconto emozionante ed enigmatico.
Fin dai primi trailer, per RiME sono state chiamate in causa diverse fonti di ispirazione. Chi ci vedeva l’atmosfera dei giochi del Team ICO, chi lo stile di Legend of Zelda: The Wind Waker, chi ancora quel senso di meraviglia che ha contraddistinto il Journey di Thatgamecompany. In effetti RiME è un gioco che non nasconde varie influenze (tra le quali non si possono non annoverare anche film di Hayao Miyazaki come Laputa e Nausicaä della valle del vento), ma che sa rimescolare le carte in tavola in modo originale, creando un aroma dalle molte reminiscenze, ma comunque nuovo.
Come alcune delle opere di Ueda, anche RiME inizia in un modo tanto brusco quanto evocativo. Dopo la breve, rassicurante visione di un terso cielo stellato, ci ritroveremo infatti in mezzo a un mare in tempesta, illuminato solo dalla flebile luce di un faro appena visibile. Tra i tuoni e le onde, sulle note di uno degli struggenti temi musicali che impareremo ad amare nel corso dell’avventura, si fa strada, sconquassato dal vento, un piccolo cencio, una macchia rossa in un mare di colori cupi. Dopo questo incipit, dal sapore criptico, quasi di oscuro presagio, ci fermiamo su una costa che rievoca le isole mediterranee. Un bambino (o una bambina?) giace sulla battigia, privo di sensi, probabilmente scampato a un naufragio. Con una zazzera bruna e due occhi vispi ed espressivi, vestito solo di una chiara tunica lacera e di un piccolo mantello rosso assai sgualcito, Enu (questo è il suo nome) inizia a muovere i primi, barcollanti passi in quell’isola, aliena per lui tanto quanto lo è per noi.
Sull’isola si trovano diverse misteriose strutture architettoniche, forse le vestigia di una civiltà perduta, o i templi di antichi culti, o chissà cos’altro. Sono delle presenze enigmatiche, senza tempo, quasi ultraterrene nel loro candore accecante. Tra queste, sicuramente, quella che più colpirà Enu, e con lui il giocatore, sarà l’alta torre che domina il paesaggio, affascinante soprattutto a causa della misteriosa fessura situata alla sua sommità, simile al buco della serratura di una porta…. Ma una porta per dove?
Il mondo di RiME non è un open-world: esso ospita diversi punti di non ritorno, ed è composto in ultima istanza da un’unica strada percorribile, senza consistenti possibilità di scelta. Tuttavia, esplorando l’isola, che presenta comunque numerose aree nascoste, sarà possibile trovare diversi collezionabili: parti di una ninna nanna da suonare, serrature che rievocano visioni del passato di Enu, indumenti, parti di emblemi e pure giocattoli.
Inoltre, nonostante i vasti spazi presenti sull’isola, perdersi è pressoché impossibile. Fin dai primi momenti di gioco, infatti, una piccola, tenera volpe, misteriosa quanto ogni altra cosa sull’isola, ci farà da guida, attirando costantemente la nostra attenzione coi suoi strazianti, impazienti ganniti.
Essa sarà l’unico altro essere vivente presente sull’isola, oltre a Enu e a uno sfuggente figuro incappucciato, nascosto da un mantello rosso brillante, simile a quello del protagonista. Sarà questo uomo che la volpe seguirà, e noi con lei, fino a vederlo sparire in cima alla misteriosa, onnipresente torre bianca. Mentre osserverà Enu dall’alto, esitando qualche momento, il silenzioso messaggio dell’uomo incappucciato non lascerà dubbio alcuno: l’infante dovrà arrivare lassù, per sperare di ottenere una risposta alle proprie domande sulla strana isola.
Oltre a essere un personaggio che suscita una naturale simpatia, la volpe ha anche una funzione molto importante nello scandire il ritmo di RiME. La prima volta che ho giocato, colpito dalla costante fretta della volpe di guidare Enu verso il proprio destino, ho seguito l’animale senza badare troppo all’esplorazione, vedendo la vicenda snodarsi davanti ai miei occhi come un fiume in piena, un susseguirsi di meraviglie e suggestioni. Dopo un secondo viaggio dai ritmi più rilassati, in cui ho potuto ammirare come i livelli fossero disegnati in un modo molto meno lineare di come li avessi percepiti in precedenza, non posso che consigliare, a chiunque si appresti a cimentarsi con RiME, di giocarlo come ho fatto durante il mio primo gameplay. È davvero emozionante lasciarsi trascinare in questo fluire di sensazioni intense, magari anche finendo per giocare tutte le quattro, cinque ore di RiME in un’unica seduta.
Nonostante RiME sia un puzzle-adventure, il cui gameplay si potrebbe dividere essenzialmente tra la soluzione di enigmi e l’esplorazione dell’ambiente mediante salti e arrampicate, nessuna di queste due componenti del core ludico rappresenta un ostacolo al proseguimento dell’avventura. Se cercate i puzzle di The Witness o le arrampicate di Lara Croft, insomma, RiME vi lascerà verosimilmente a bocca asciutta.
La vera forza dei puzzle di RiME non è la classica soddisfazione che deriva dell’aver risolto l’enigma, quanto piuttosto il sorriso stupito che il gioco saprà strapparci con le sue invenzioni meravigliose, fatte di incantesimi di prospettiva, surreali avvicendarsi di notte e giorno, antichi marchingegni al confine tra tecnica e magia.
Allo stesso modo, le arrampicate e le sequenze platform non costituiscono una sfida, rappresentando piuttosto un tutt’uno con la narrazione stessa, riecheggiando delle emozioni di Enu e dando ora un profondo senso di scoperta, ora la paura per un imminente pericolo. Il divertimento che ho provato giocando a RiME non è stato quello tipicamente offerto dai videogiochi d’azione, quanto piuttosto quello che nasce dal sentirsi completamente rapiti, parte di una storia abilmente costruita. Ci si dimentica che stiamo giocando e passano in secondo piano anche tutte le rigide regole e le irrinunciabili approssimazioni che l’incastro di un gameplay in una struttura narrativa, inevitabilmente, richiede.
Questa forte, inaspettata unitarietà, che contraddistingue il travagliato titolo dei Tequila Works, non si limita solo alla sua natura di monolitica magia narrativa, ma permea tutta la fruizione dell’opera. All’inizio dell’articolo parlavo di un processo di limatura e sottrazione, il quale può facilmente essere esteso anche alla forma di RiME. La grafica in stile cell-shading, col suo uso di colori desaturati, tipici degli assolati paesaggi mediterranei, crea il contrasto che permette ad alcuni elementi rilevanti, come il rosso del mantello di Enu, di spiccare. La totale assenza di parole, sia nel racconto che nell’HUD (che, comunque, si mostra davvero sporadicamente), aumenta l’immersione nel mondo di gioco. La strepitosa colonna sonora, composta da David García Díaz per una grande varietà di archi, per pianoforte e per fiati, in cui melodie delicate lasciano spazio, senza alcuna soluzione di continuo, a dei picchi di una malinconica drammaticità estremamente emozionanti, diventa quasi l’emblema di uno stile che è più rappresentato al cinema che nei videogiochi (qui, di nuovo, mi tocca citare lo Studio Ghibli, soprattutto Principessa Mononoke e La citta incantata). Si potrebbe quindi dire che la musica, le immagini, la narrazione di RiME sono unite tra loro in modo indissolubile, si completano a vicenda nel creare quelle sensazioni che, nell’atipico asciutto stile che esso usa per raccontarsi, costruiscono l’identità del titolo di Tequila Works, rendendolo la meraviglia che è. Se anche una sola delle caratteristiche descritte fosse diversa, l’intero RiME non sarebbe lo stesso. È il perfetto equilibrio delle parti che crea la magia.
Si potrebbe obiettare che RiME è un gioco piuttosto corto per il suo prezzo, ma, si sa, il valore di opere di questo genere non si può misurare “con la pertica persiana”, e, comunque, RiME dura quanto deve durare, senza lasciarci la sensazione di essere un titolo annacquato, deliberatamente allungato. Qualcuno potrebbe anche, come anticipavo, trovare il gioco un po’ scialbo sotto l’aspetto del gameplay e della soluzione dei puzzle. Per questi motivi, mio malgrado, mi farei qualche riguardo a consigliare in modo indiscriminato questo gioco, perché non è un gioco che può essere universalmente apprezzato. A me RiME è piaciuto davvero molto, soprattutto per la scelta di finalizzare allo sviluppo del contenuto narrativo ogni suo aspetto, in un modo davvero coeso, senza cercare di essere tante cose diverse, di accattivarsi a tutti i costi le attenzioni del pubblico. Si tratta di un gioco che richiede un certo tipo di sentire, probabilmente estraneo a molti videogiocatori.
Giocando a RiME, colpiscono soprattutto la grande onestà intellettuale dei suoi autori, il loro coraggio nel rinunciare alle sirene incantatrici – quali combattimenti posticci o minigiochi decontestualizzati – e, infine, il loro profondo amore per i personaggi e per gli ambienti plasmati con cura nel corso degli anni.
Un amore che Tequila Works non ha mai perso, nemmeno davanti alle molte porte chiuse in faccia.
Profonda coesione
Colonna sonora
Nessuna parola
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RiME uscirà per Switch nel corso del 2017
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