Pubblicato il 27/09/18 da Neko Polpo

Phantom Doctrine

C'è una guerra in quell'angolo di mondo
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Qualche decennio fa, lontano dai nostri occhi e dai nostri schermi, un conflitto silenzioso continuava a macinare vite. Alcune di esse venivano spazzate via in un lampo, lasciando solo un cadavere. Altre, invece, non lasciavano traccia, come se fossero una damnatio memoriae scaturita come risposta al più alto dei tradimenti. Di tante altre non ne sapremo mai e poi mai nulla.

Girano però voci al riguardo: la più supportata riguarda forze speciali di grandi nazioni, infiltrate dietro le linee nemiche, che compiono atti ostili per chissà quale ragione. Altri parlano di cellule di intelligence stanziate in remoti angoli nelle località più sperdute del mondo, che agiscono sotto copertura scambiando le loro prove con mock-up fittizi. La verità è nel mezzo? Neanche. La verità è ben altra.

Pakistan, home. Or at least it was…

Phantom Doctrine è figlio di una filosofia di gameplay design rinata grazie ad X-COM da cui impara il necessario, aggiunge un suo twist interessante (di cui parleremo subito) e lo circonda con tanto, tantissimo worldbuilding, una componente gestionale invasiva al punto giusto e meccaniche che riescono a rendere divertenti sezioni di gameplay che, piuttosto, sarebbero una fonte di noia prepotente. Il lavoro di CreativeForge Games è encomiabile, pur non essendo perfetto, perché riesce in qualcosa in cui pochi trionfano: creare un gioco a sé stante, lontano dai dettami preimpostati dallo standard del genere e che abbia una sua personalità distinta ed unica. Il perché di tutto questo è subito spiegato.

Parlavamo del setting anni ’80, che è fondamentalmente il perno della produzione: la storia intreccia elementi di pura invenzione ad entità governative, complotti e cospirazioni che fan parte della cultura underground del tempo, come società segrete e cabale di varia natura che si incastrano perfettamente in una mitologia in-game redatta con giustizia e rigore. Tra le tante organizzazioni, una delle due iniziali sarà quella che ci porteremo per tutta la partita: la CIA od il KGB, ed una terza che sarà disponibile a fine campagna, e che comprende una difficoltà molto più accentuata in ogni ambito del gioco. Personalizzato il nostro alter-ego (cosa che potremmo rifare relativamente presto) la nostra avventura tra le ombre del complotto della Beholder Initiative può iniziare.

Il problema non è il fucile, che è un M14 prodotto dalla Beretta, ma il fatto che gli agenti nemici hanno la benedizione divina.

Il tutorial spiega, con un po’ di lentezza e meccanicità, le basi del gameplay. Abbiamo a disposizione due punti movimento ed un punto fuoco, e diverse abilità consumano un diverso quantitativo di questi punti, come in quasi ogni strategico. La variabile in Phantom Doctrine, invece, riguarda in modo specifico il combat system, dove non esistono chance di colpire, che sono invece relegate ad una barra denominata percezione (PP): essa viene svuotata effettuando determinate azioni e utilizzando abilità, od altrimenti evitando i colpi nemici. Un’esempio di abilità è l’atterramento dei nemici, che è possibile solo se la salute (PS) dell’agente è maggiore del nemico selezionato: in poco tempo vi accorgerete di come diventi praticamente impossibile atterrare determinati nemici in certe fasi del gioco. L’evasione è facilitata dalle coperture, anche qui alte e basse, e generalmente riduce di gran lunga i danni subiti quando si viene colpiti. Una volta finita la barra iniziano i guai.

Sarà meglio ricordare le basi del CQC questa volta. Per davvero.

Data la quantità di nemici con cui spesso andrete a combattere è importante tentare il più possibile un approccio stealth, che viene favorito non solo dalla quantità di informazioni su schermo (vedasi le zone evidenziate dove verrete rilevati) ma anche dai vantaggi che esso comporta, che esploreremo in seguito. In certe fasi sarete invece costretti a combattere un elevato numero di nemici, e dato il funzionamento del combat system è difficile uscirne illesi in determinate situazioni, se non impossibile. Il nemico ha il grilletto molto, molto facile.

Superate le prime missioni il nostro sarà reso disponibile hideout. Inizia con poche funzioni, ma sarà subito possibile potenziarlo per aggiungerne o migliorarne quelle pre-esistenti. Esso comprende i reparti per i vostri agenti, dove avrete modo anche di curarli, una sezione investigativa dove controllare le prove ottenute, una zona per produrre oggetti e migliorare la base ed un’ultima riguardante la mappa del mondo, dove potrete decidere la velocità con cui scorre il tempo (la componente gestionale è in tempo reale) e a che missioni partecipare.

Non è bello a vedersi ma funziona a meraviglia. Sopratutto la zecca.

Potrebbe sembrare una esagerazione, ma per certi versi la fase manageriale di Phantom Doctrine è più importante e fondamentale degli stessi combattimenti, a differenza di altri esponenti del genere: le fasi stealth, come sopracitato, non compromettono l’identità dell’agente. Appena si spara (senza un silenziatore) è facile rivelare il nostro operatore, e bastano praticamente due missioni non silenziose per renderlo visibile ad occhio nudo dalle agenzie nemiche; ciò può portare a problematiche a lungo termine come il nostro stesso nascondiglio compromesso causato dall’innalzamento del livello di pericolo, e se non si agisce in fretta trasferendosi in località più sicure dovremmo difenderci da un raid nemico. Lo stesso avviene se non si ostacolano le operazioni nemiche. Viste le premesse del combat system, è l’ultima situazione in cui vorremmo ritrovarci.

Quando non siamo dediti a lavorare nel nascondiglio (il quale potenziandolo può permetterci di mascherare le identità degli agenti o renderlo più sicuro dai raid nemici) è la mappa del mondo il luogo dove perderemo più tempo: gran parte degli eventi riguardano investigazioni da parte delle nostre celle segrete, senza per forza combattimenti a turni. Ricognizioni, scoperta di nuovi indizi, ricerca di potenziali rifugi in caso di problemi e tante altre sono le opportunità che ci lascia il gioco. Riguardo gli indizi, essi comprendono un’altra grande fetta del fascino di Phantom Doctrine, che riguarda l’archivio investigativo.

L’emisfero che conta nel mondo sarà il teatro di tutte le vostre operazioni.

Esso comprende una billboard divisa in diverse sezioni, tante quante le tracce che stiamo investigando. Quando troveremo un indizio riguardo, per esempio, una cospirazione in Europa, esso si aggiungerà alla lista. L’indizio può essere analizzato per individuare codici, parole chiave o altri segreti che ci permetteranno di agganciarlo ad un’altro indizio. Effettuato un collegamento, quando avremo ottenuto abbastanza indizi, potremmo agire. Esso potrebbe riguardare l’identità del nostro nemico, un luogo importante o una organizzazione che fa parte del complotto.

E’ come connect-the-dots ma mentre lo fai ti senti forte assai.

In missione potremmo portare un numero limitato di agenti, tra cui noi stessi: ovviamente, in caso noi morissimo l’intera campagna fallirà, e dovremo ricominciare da un salvataggio (sempre se non giocate alla modalità Pro). Ogni agente ha diverse statistiche, un unico background storico (che comprende nazionalità, lingue ed organizzazione di origine) che ne determina abilità passive ed attive. Una consistente varietà nelle missioni è individuabile in quelle di trama, che comprendono generalmente una moltitudine di obiettivi al di sopra della difficoltà media del gioco base. Molto spesso vi ritroverete a dover sparare in missioni dove la prima idea era svolgerla in silenzio: in tal caso è sempre un bene esser pronti a qualsiasi evenienza, armando i nostri operatori con le armi che preferiscono, granate, medikit e (appena potrete permetterveli) silenziatori.

Phantom Doctrine mostra la sua grinta avanzando pian piano nel gioco, dove avrete accesso a tante interessanti possibilità: una di esse è la costruzione di una struttura MK-ULTRA nella vostra sede operativa, dove lasciare gli agenti nemici catturati per eseguirli sommariamente, o piuttosto dar sfogo alla vostra creatività. Il programming della loro personalità, il brainwashing e quant’altro è tutto a vostra disposizione, lasciandovi il diritto di vita, morte o rinascita degli operatori a cui avete accesso. Altre strutture riguardano la stampa di soldi per rifornire le casse della organizzazione, il potenziamento degli agenti con droghe o stimolanti e strumenti di counter-intelligence per avere vantaggio sul nemico.

Accadrà spesso che l’informazione riguardo un [REDACTED] sarà nascosta tra le [DATA EXPUNGED] dei file.

Il tutto è incorniciato in una interfaccia grezza, disordinata, poco intuitiva e che generalmente rende più faticosa la comprensione di meccaniche altrimenti semplici. Se in-game è comunque comprensibile il meccanismo del gioco (sorvolando sulle dimensioni striminzite dei caratteri dell’UI) è nella base dove tutto diventa assurdamente più complicato. Tante sono le informazioni presenti, e altrettanto grande è la confusione con cui sono esposte.

La stessa poca cura è individuabile nelle animazioni e nella definizione della grafica del gioco: per le prime le cutscene risultano un po’ robotiche e abbastanza dimenticabili, mentre per le seconde un sacco di post-effects non necessari sbiadiscono l’immagine la rendono veramente troppo monocromatica in determinati frangenti. L’ispirazione nel setting è percepibile dai tanti dettagli nello scenario, che sono però, purtroppo, inglobati in una fotografia fin troppo desaturata. Come per ogni recente strategico che si rispetti, i 60 frame per secondo fissi sono solo un miraggio: sia la CPU che la GPU soffrono sotto lo sforzo di Phantom Doctrine, ed in cambio regala una resa tecnica che non è sicuramente al passo coi tempi, per quanta cura sia stata riposta negli assets di gioco.

Le cutscene animate pre-renderizzate fanno una bellissima figura, settando l’atmosfera del gioco perfettamente.

Altre problematiche riguardano il bilanciamento degli scontro a fuoco, sempre relegati al vantaggio intrinseco degli avversari, certe volte veramente fuori portata: la quantità di granate e di soppressione che si riceve è tanta da praticamente assicurare in certi frangenti la morte di un agente. Non ci sono tante abilità tanto forti, come su X-COM 2, da permettere di uscirne fuori da quasi ogni situazione: le possibilità sono limitate e per quanto ciò stia relativamente in linea con il concept di gioco è frustante vedere la differenza di performance tra gli operatori del giocatore e quelli della IA.

Tolti questi difetti, Phantom Doctrine rimane un gioco da tener d’occhio se siete fan del turn-based strategy o del periodo storico: entrambi sono particolarmente curati e caratterizzano pesantemente un gioco che cerca e riesce appieno nell’avere una identità ma che si perde in dettagli ben più importanti riguardanti la quality of life del prodotto. Una soluzione a ciò può essere il lavoro della fanbase, essendo il supporto allo Steam Workshop pianificato per il futuro; in questo caso la sola domanda che rimane è quanto fitta e volenterosa di lavorare sarà essa. Se tutto ciò non convince, basta sapere che la longevità è assicurata ed il replay value del gioco è considerevole, vista la possibilità di giocarlo con tre fazioni distinte e la proceduralità degli agenti che incontrerete.

Fino ad allora, però, vi toccherà rimanere all’oscuro di ciò che accade in quel mondo fatto di segreti, inganni e doppi giochi.

  • Setting e worldbuilding intriganti
  • Libertà d'azione immensa
  • Fasi stealth ed investigative riuscite
  • Non c'è un momento di calma o noia

 

  • Avremo mai uno strategico a turni ottimizzato bene?
  • Combat system altalenante
  • Interfaccia confusionaria
  • La frustazione è compresa nel prezzo

Sigla di X-Files nel background

Assuefacente come pochi

Un nuovo benchmark per i PC

NekoPolpo - Biografia

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